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Urge abolire lo statuto speciale per la Sicilia

Creato il 24 febbraio 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

Bandiera-Siciliana-che-sventola

“Eliminare gli statuti speciali delle regioni, a partire dalla Sicilia dove l’autonomia è stata usata solo per privilegi e rendite di posizione e per rubare a man bassa”: questa la proposta dell’economista Marco Vitale, avanzata in una intervista ad opera di Patrizia Penna sul Quotidiano di Sicilia del 6 febbraio. Riguardo alla questione degli stanziamenti Ue di cui potrebbe usufruire l’isola, Vitale ha affermato che il vero problema della Sicilia non risiede nella mancanza di fondi ma, come sostenevano Sturzo e Cattaneo, nella mancanza di “intelligenza, volontà, integrità”. “È la macchina politico-amministrativa della Sicilia nel suo insieme – ha dichiarato l’economista – che va smontata radicalmente”. In una regione in cui l’amministrazione è venuta meno ai suoi doveri, il contributo dei fondi europei non servirebbe a creare più occupazione o benessere ma solo “ad ingrassare sicofanti, ladri, mafiosi, amici degli amici, andando a realizzare opere inutili”.

Non a caso Vitale cita Luigi Sturzo, uno dei personaggi che più influirono, in pensiero e azione, sul progetto italiano e regionale del dopoguerra – tra le altre cose, fu membro dell’Alta Corte per la Regione Siciliana – e che propose lo statuto speciale per la Sicilia. La questione dell’eliminazione degli statuti speciali deve essere considerata proprio alla luce del pensiero sturziano, in particolare del suo concetto di regionalismo i cui obiettivi principali erano due: mitigare l’effetto dell’accentramento politico verificatosi dall’Unità d’Italia e scongiurare le istanze separatiste della Sicilia. La visione di Sturzo – delineata nel volume “La regione nella nazione” del 1949 – non era di carattere scissionistico, tutt’altro: intendeva preservare una unità ancora debole. Non solo: il decentramento, inserito nel contesto più ampio della questione meridionale, diventava il mezzo per offrire al Sud gli strumenti idonei a colmare il divario nei confronti della parte più moderna e industrializzata del Paese. Il regionalismo proposto dal sacerdote calatino era una strategia innovativa per mantenere e rafforzare l’unità nazionale preservando al tempo stesso le esigenze territoriali.

Tuttavia, nonostante la sua difesa appassionata e convinta dell’autonomia, Sturzo intuì con grande lucidità e lungimiranza il rischio che una classe dirigente non adeguata avrebbe potuto vanificare il progetto, e non mancò di denunciare il pericolo che la Sicilia divenisse “focolaio d’infezione politica”: “In questa ripresa democratica” – scrive negli anni del dopoguerra – “è stato dato un aspetto così esageratamente politico a tutta la vita pubblica (compresa quella amministrativa dei piccoli comunelli) che sarà difficile riportarla a più sano orientamento”[1].

La denuncia di Sturzo riguardava il rischio che il criterio dell’autonomia e del decentramento venisse completamente alterato dalla “pantomima dell’amministrazione centrale” da parte degli enti regionali. In cosa consisteva precisamente questa pantomima è lo stesso autore a spiegarlo: “L’Assemblea e lo stesso governo regionale siciliano sembrano affetti di mimetismo in materia di creazione di enti centrali e periferici, e tendono anche essi a fare degli assessorati un regno chiuso e incomunicabile”[2]. Allora si trattava ancora di sintomi che ben presto però si sarebbero trasformati in una realtà composta da “tale rete di uffici, tale folla di impiegati intrecciantisi con quelli dello Stato, da venirne fuori una spesa senza pari e uno sminuzzamento dei servizi che per ciò stesso porterebbe sia all’inflazione del personale come pure alla paralisi funzionale”[3]. Sturzo lamentava la continuazione di una mentalità che aveva preso piede durante il fascismo a causa della quale chi, come lui, dopo quei “tristi anni” era ritornato in Italia, “si sente spaesato e perde la pazienza al solo vedere questa folla di enti parassiti, di uffici inutili, di specializzazioni senza competenze, di complicazioni di servizi senza che il cittadino ne sia veramente servito”[4].

Per eliminare gli effetti dell’ingerenza della politica nella pubblica amministrazione, Sturzo proponeva “una dieta rigida, almeno negli Enti Locali dove la logorrea politica dovrebbe essere bandita, a vantaggio del metodo amministrativo. Ogni sforzo in questo senso sarà proficuo, specialmente per mantenere alle regioni, fin dal loro inizio, il proprio carattere”[5]. Purtroppo le parole di Sturzo furono voce nel deserto e il risultato è davanti ai nostri occhi: la previsione è divenuta realtà concreta e radicata, la complicità ingorda tra politica e amministrazione è andata sempre più accentuandosi creando un sistema clientelare che sta smarrendo, a dispetto degli scopi originari, ogni autonomia comunitaria. La conseguenza è una completa sfiducia e diffidenza da parte dei cittadini nei confronti dell’amministrazione. Proprio queste sono le ragioni alla base della proposta di Marco Vitale, esperto conoscitore del pensiero sturziano, di eliminare lo statuto speciale perché ormai inadatto, anzi controproducente per lo sviluppo di una amministrazione finalmente responsabile, trasparente e al servizio dei cittadini, quale era lo scopo originario delineato da Luigi Sturzo per la rinascita della “sua” Sicilia.

Marco Cecchini


[1] Luigi Sturzo, “La regione nella nazione”, 1949, vol. XI in Opera Omnia, Zanichelli, 1974, pag. 45. Tutte le citazioni seguenti sono tratte da questo volume.

[2] Pag. 53.

[3] Stessa pagina.

[4] Stessa pagina.

[5] Pag. 46.


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