Uscite discografiche 2011: Zen Circus - Nati Per Subire

Cinico, spietato, irriverente come ha già ampiamente dimostrato di saper essere, a distanza di due anni dall'acclamato "Andate tutti affanculo", torna attesissimo da critica e fan il "circo Zen" con un album che, seppur non spiazzi completamente chi già conosce bene il trio pisano, continua a tracciare con profitto il solco iniziato dal suo predecessore in quell'impietoso atto di denuncia di una società ormai irrimediabilmente marcia.

Stile riconoscibile e consolidato, il trio Appino-Ufo-Karim affonda nuovamente il coltello nella ferita già aperta e sanguinante di una generazione che, impantanata in una realtà fatta di ignoranza ed ipocrisia, sembra aver perduto anche la voglia di sognare, fermandosì così a maledire il destino, la religione, il finto moralismo, il consumismo e tutto ciò che continua a divorarci giorno per giorno.

Il brano d'apertura, "Nel paese che sembra una scarpa", è un pugno nello stomaco, forte, diretto, da togliere il respiro con quel retrogusto amaro e malinconico che non ci si aspetterebbe di trovare in una "traccia n° 1", un canto di disillusione in cui è quasi impossibile non ritrovare i propri piccoli drammi quotidiani. "L'amorale", forse il miglior pezzo dell'album, si rivela musicalmente maturo e con un andamento da cantilena infantile che contrasta un testo duro e cinico, si inchioda in testa sin dal primo ascolto confermando, laddove ce ne fosse bisogno, la crescita di Appino e soci.

Il folk-punk-rock apparentemente più spensierato a cui gli Zen Circus ci hanno abituati ritorna nella sua veste migliore in pezzi come "Nati per subire", possibile inno di tutti coloro che non vedono vie d'uscita da una vita che non gli appartiene e che li costringe ad un eterno ruolo da miserabili comparse ("nato già fregato, amato e poi dimenticato / con la camicia blu ed il colletto inamidato / sei nato per subire, te lo ricordano i bambini"), "Atto secondo" e "Il mattino ha l'oro in bocca", sguardi impietosi su una quotidianità squallida e meschina.

Se "I qualunquisti" non brilla per originalità, volta com'è ad uno spirito punk eccessivamente adolescenziale, "La democrazia semplicemente non funziona", arricchita dal cameo di Giorgio Canali, porta alla luce il lato più riflessivo degli Zen Circus, qui attenti a quella spersonalizzazione individuale che, pur vivendola quotidianamente, spesso neppure ci accorgiamo di subire.

Cantastorie solo all'apparenza stralunati, gli Zen Circus si muovono senza difficoltà tra scenari amari e a tratti malinconici (come in "Franco", storia di un magazziniere rumeno, impreziosita nel ritornello dalla voce delicata di Alessandro Fiori) e ghignanti ritratti parodistici delle consolidate abitudini piccolo-borghesi ("Milanesi al mare"), disegnandoci spesso sul viso un sorriso che finisce per nascondere ben più profonde riflessioni.

L'epilogo dell'album è affidato a "Ragazzo eroe", ritmato pezzo beat dal sapore anni '60 che si potrebbe immaginare, senza essere troppo eretici, cantato da un Celentano o da uno Shel Shapiro d'annata, e "Cattivo pagatore", una classica ballad di chiusura costruita sulla triste figura di un personaggio che vive a metà strada tra il desiderio di apparire con i suoi costosi beni e i debiti a cui si è costretto per ottenerli ("Chissà che cos'è che non ha funzionato / il futuro te l'han pignorato, è andata così.")

Nessun miracolo, sia chiaro, ma "Nati per subire" gioca al meglio le sue carte e conferma tutti i pregi che hanno trasformato la musica degli Zen Circus in quel manifesto generazionale cupo, ironico e sfrontato di cui, in questi drammatici anni di vuoto sociale, difficilmente potremmo fare a meno.