L’uva è sempre stata legata ad un mondo di dolcezza che parte dall’infanzia e conduce sino all’età che spruzza di bianco i capelli e incide rughe sulla pelle.
Lasciandosi trasportare indietro nel tempo, quando l’adolescenza irrompe negli anni e fa guardare intorno con curiosa avidità di conoscenza immediata, chiunque troverà un grappolo d’uva che occhieggia in una vigna, dorato dal sole caldo e pronto ad essere privato dai suoi acini da una mano tesa a coglierla per piluccarli e gustarne la dolcezza profumata che scivola nella bocca, mentre i denti premendo sulla polpa, la distaccano dalla buccia che resta tra le dita e che poi viene gettata a terra.
Sprazzi di memoria che aprono scenari in rapida sequenza e brillano sugli anni della fanciullezza, delle cadute dalla bicicletta, le punture di vespe e la scelta del nuovo grembiule per l’imminente inizio del nuovo anno scolastico…
Un mondo nostro, proprio, simile ad un grappolo d’uva, che in ogni acino conserva una nostra scena di vita.
Una serie di momenti legati ad un mese soprattutto, settembre, dove si congiungono i confini dell’estate e dell’autunno, e ritrovandomi a leggere le pagine di un vecchio diario dove scrissi…
Settembre è il profumo dell’uva fragola
lo annuso all’imbrunire quando il mio passo incede
nella sua penombra
brezza tiepida fragrante dolce seducente copiosa
mi afferra per pochi istanti
bramosia di quest’uva
rossa piccola zuccherina piena
e mi propongo a te
imboccandoti con i suoi chicchi dolci e gommosi
fino a spingerti nella intensa penombra
ebbra
dell’essenza
di fragola
dell’uva
vigna all’imbrunire
…E’ uno stimolo verso il mio passato legato ad odori e sapori, che riportano alla memoria Marcel Proust nella “Ricerca del tempo perduto”.
E’ una sensazione particolare, un pensiero, una riflessione forse un rimpianto…senza alcuna possibilità di filtri razionali (possiamo non voler sentire o non voler vedere, ma un odore che ci raggiunge non può essere filtrato e colpisce la nostra consapevolezza prima che ce ne possiamo render conto). Così l’uva fragola mi ha riportato in uno stato di infantile contentezza, dal cui ricordo mi lascio sorprendere, abbandonando i remi della mia barca fino a rannicchiarmi nel fondo e farmi cullare dal sciabordio tranquillo delle onde che ne accarezzano calme e languide la carena spingendomi nel regno di Morfeo…Sarà forse una chimera ? O solo desiderio di cercare, di frugare nei tasselli di un vetusto rompicapo in un tempo ormai andato che affiora nell’anima con grande dolcezza e malinconia?
La mia infanzia in costiera …paesaggi di un tempo non tanto lontano…intorno alla casa della nonna circondata da un alto muro di tufo vi era un pergolato di uva fragola e di uva di vendemmia – e tutti noi bambini ne attendevamo la raccolta.
vendemmia
L’uva fragola ci dissetava con il suo dolce sapore, colorando di rosso scuro la nostra bocca e ahimè anche i vestiti.
L’uva veniva pigiata dai grandi che rimboccavano i loro pantaloni all’altezza delle ginocchia, mentre accompagnavano il lavoro cantando e tutt’intorno si creava un clima frizzante ed allegro qualche volta, anche se raramente, noi bambini avevamo il permesso di partecipare alla pigiatura. Ricordo ancora la pungente ma piacevole sensazione di gelo lungo le gambe quando fuoriusciva il succo profumato e dolcissimo e il pizzicorino al naso …Il succo veniva raccolto nei tini in panciute damigiane e alla fine della pigiatura quel che restava erano solo le “coccole e le streppole” (le pellicine dei chicchi d’uva e i gambi del grappolo) sui quali i contadini gettavano acqua, che poi raccoglievano in bottiglioni. L’immagine scompare, si dilegua, ritorna e mi porta un nome” Isabellaaaa” che riecheggia come l’eco del rumore di un’onda in una grotta spalancata sul mare.
E’ un ricordo delle mie prime letture, tra cui il romanzo “Non m’importa se non hai trovato l’uva fragola” di Giulia Fiorn, alias Liliana Appiano Forni,tradotto anche in spagnolo col titolo El Principe y la criada. L’autrice, originaria di Montechiaro in Piemonte è scomparsa qualche anno fa all’età di 87 anni.
Medico pediatra e patologa, una vita di lavoro a Torino, con parentesi professionali nelle missioni di Capo Verde e dell’Uganda.
Le pagine che hanno attirato la mia attenzione, sono quelle che dispiegano fortemente il desiderio di maternità della Fiorn e ti immergono in un mare di tenerezza immediato per la piccola protagonista Liliana, rotonda e golosa, ribelle e
Giulia Fiorn – Non importa se ho trovato l’uva fragola
con un leggero strabismo agli occhi, ma genuina ed autentica.
La piccola è lasciata a casa della balia nella campagna piemontese di Montechiaro, ma tutti le vogliono bene e le dimostrano attenzione, tutti escludendo madre e fratelli, a cominciare dalle serve di casa Attigliano, passando per i vari zii e le zie, terminando con la signora maestra Motta che la definisce il suo rapulìn d’Sant Martìn, il grappolo d’uva, quello che trovi nella vigna quando la vendemmia è ormai terminata da un pezzo, ed è il più bello ed il più buono perché è l’ultimo. Anche un’opera letteraria non sfugge all’incanto dell’uva,che si mostra vanitosa nei suoi colori dorati, violacei e rossastri che rivestono i suoi chicchi, custodi attenti di succhi profumati che sembrano incapsulare l’armonia olfattiva di una terra generosa e semplice nel dono di un frutto tanto comune quanto strano.
Vitis labrusca è il nome scientifico di una sua qualità, Uva americana, Isabella, Raisin de Cassis, conosciuta anche come uva fragola – è la più diffusa “vite ibrida americana” presente, quasi sempre in pochi esemplari, in molti orti, cortili e giardini del nostro Paese. Di color nero e produce grappoli di media grandezza con acini piuttosto grossi, rotondi e molto scuri; il sapore è simile a quello della fragola, così come il profumo, forte e duraturo. Nella nostra Italia dai mille dialetti e tradizioni e’ conosciuta come Vixe in Liguria, Vis, Vi Piemonte, Vit, Ua nel Veneto, Vida, Ova nell’Emilia, Vigna, Uva in Toscana, Paina nelle Marche, Vita in Abruzzo, Vitaia in Campania, Vitosa in Basilicata, Vitaccia, Igna in Puglia, Vitusa in Calabria, Racina in Sicilia, Achina, Vidda in Sardegna.
uva fragola
Risalendo alle antiche civiltà scopriamo che alla vite veniva destinato un culto particolare, gia’ in Mesopotamia i Sumeri adoravano la Dea Vite o Madre Vite, che viene menzionata anche nella saga di Gilgamesh: ed è a lei, intenta a mescere il vino, che si rivolge per chiedere il dono dell’immortalità. E come non dimenticare l’allegro e sornione Dioniso, figlio di Zeus e di Semele, che insegna la coltivazione della vite agli uomini, pianta a lui sacra che gli procurò l’appellativo di “Il Dio del vino e dei bevitori”. La sacralità della vite è confermata nelle leggi ebraiche non scritte, ma tramandate in forma orale, che la definivano simbolo della scienza del bene e del male, una sorta di albero cosmico che circonda i cieli ed in cui le stelle sono i suoi acini.
Ritorniamo di nuovo, dopo questo volo conoscitivo, con i piedi sulla terra e apriamo lo scrigno del passato per carpire un segreto delle nonne quando preparavano una grappa buonissima, deponendo un paio di bei grappoli di uva fragola maturi in un luogo ombroso e ventilato, al riparo dai raggi del sole, magari in soffitta per più di trenta giorni.
Quindi sceglievano una ventina di acini sani e li ponevano a macerare per 20 giorni nella grappa esponendo il vaso al sole, lasciando riposare il contenuto per altrettanto tempo in casa, quindi lo filtravano e lo imbottigliavano. Quanta pazienza e quanta cura e quanto tempo, (bisognava attendere 6 mesi e più ) per assaporare un aroma che avrebbe poi offerto una particolare godimento al palato.
Ma se invece della grappa vorreste realizzare un “liquore da signora”, di quelli che si servono per accompagnare, dessert, dolci o biscotti, ecco a voi la ricetta:
Liquore di uva fragola
Liquore di uva fragola
Ingredienti:
- 500 grammi di uva fragola e la stessa quantità di alcool,
- 400 ml di acqua ,
- 3 chiodi di garofano,
- una stecca di cannella
- 400 gr di zucchero (che potrete comodamente diminuire, nel caso non vi piaccia un liquore dal sapore troppo dolce)
Esecuzione: Prendete quindi i vostri bei chicchi e lavateli sotto il getto dell’acqua corrente. Fateli sgocciolare ed asciugateli con panno morbido. Sistemateli in un contenitore a chiusura ermetica e schiacciateli un po’ con le mani, aggiungete una metà dello zucchero, i chiodi di garofano e la stecca di cannella spezzettata. Fate macerare per 1 mese in un luogo buio e di tanto in tanto ricordatevi di agitare il barattolo.Trascorso questo tempo, preparate uno sciroppo con l’acqua e la rimanente parte di zucchero e fate raffreddare.Intanto filtrate il liquore con una garza sterile appoggiata all’imbuto, schiacciate gli acini e lasciate che il succo goccioli nel contenitore.
Mi preme ricordare che le antiche ricette, come questa, costituivano un’eredità preziosa, lasciti testamentari con la dicitura “in perfetta capacità di intendere e di volere…perché l’assillo della vita venga allietato da un goccio di vivificante liquore, eredità non mia ma della grande Madre Natura”.