Per quanto non ami le etichette, non posso negare che nel periodo delle superiori sono stato in parte un metallaro. Alcuni verranno a dirvi che da giovanissimo ero nerd, in quel caso non credeteci perché stanno mentendo: io odio quegli sfigati dei nerd. Tornando a noi, ascoltando musica metal sono riuscito a conoscere i peggio elementi e le ragazze più zoccole della mia città, ma ho avuto modo di appassionarmi alla mitologia norrena. Certo, inizialmente ho imparato ad amare quella greca grazie alle schede informative de Il Giornalino, eppure l'estremizzazione ancora più estrema dell'hard rock ha avuto la sua discreta influenza. Ascoltare power metal e le canzoni dei Manowar [il concerto che hanno tenuto al Gods fo Metal del 2012 me lo sogno ancora la notte!] infatti mi hanno fatto scoprire il mondo ancestrale di Odino, Loki, Thor e di tutti gli altri dei del Valhalla, decretando una passione e un immaginario che mi accompagna ancor'oggi. Certo, non me ne intendo più come un tempo, sempre che possa dire di essermi mai inteso di qualcosa che non sia l'apparire ancora più ridicolo di quanto non sono già, ma il richiamo esiste ancora, e quando scoprii che uno dei miei registi di punta aveva fatto una pellicola che nel titolo aveva la famigerata parola che è Valhalla, non resistetti. La poetica violenza e atipica di Refn immessa in un contesto a lui finora estraneo, era un'abbinazione che nella mia fantasia scatenava le più fervide ipotesi. E poi sulla locandina c'è Mads Mikkelsen...
Siamo in un tempo sconosciuto, che apparentemente sembra un medioevo fantastico. Un uomo muto e con un occhio solo ma dalla forza erculea è tenuto prigioniero da dei brutti ceffi, che lo liberano solo per dei combattimenti sostenuti da delle scommesse. Un giorno l'uomo, con l'aiuto di un ragazzino, riesce a libe-rarsi, uccide i propri persecutori e inizia a vagare per le brughiere. Troverà un gruppo di vichinghi cristiani che, dopo averlo chiamato One Eye, lo porteranno con loro in quella che è una crociata in Terra Santa. Però durante il viaggio...
Personalmente, non ho mai avuto molti problemi con la religione. Certo, bestemmio come un turco, ma questo è un genoma culturale lasciatomi dal mio essere trentino. Posso dire di aver avuto alcune bizze con Dio e con la fede però intorno ai sedici anni, ma i sedici anni sono un età in cui ce la si ha a morte con ogni cosa per esprimere un senso di ribellione che non si sa bene dove indirizzare, e si prendono quindi di mira le simbologie più potenti. Ora posso dire di aver fatto pace col mondo e di non odiare (quasi) nessuno, manco la religione. Odio le strutture che la impongono, odio la Chiesa ed i fondamentalismi islamici, ma va fatta una dovuta differenza: quelle sono le persone, non le credenze. La Bibbia e il Vangelo, così come il Corano, non hanno mai predetto la morte e l'indottrinamento forzato. Strano quindi che mi sia venuto a piacere questo film, la pellicola con la quale Refn firma quella che è la sua dichiarazione di guerra verso la religione. Non una in particolare, sotto il mirino del regista danese sono presenti tutti i culti del mondo, rei di mettere unicamente gli uni contro gli altri le persone e di fuorviare le menti delle genti. Da agnostico quale sono (fondamentalmente, credo che esista una forza superiore, ma mi affido a un dubbio nel non riconoscerla in nessuna religione) mi dissocio da un discorso così estremista, preferendo ribadire che sono le istituzioni quelle che andrebbero combattute, ma il discorso intrapreso da Refn ha una sua logica e usa un linguaggio decisamente non ortodosso od edulcorato, esprimendo un talento visivo davvero notevole e ben studiato - la fotografia è per davvero qualcosa di divino, se mi perdonate il gioco di parole. Immette nel contesto quindi un pantheon variegato e complesso come quello nordico, in un'epoca ed in uno spazio non ben definiti, che si vede contrastato da quello che è l'insorgere di un nuovo culto: il cristianesimo. Saranno i vichinghi cristiani a dare il nome al neo libero guerriero orbo, e sempre loro lo trascineranno in un pericoloso viaggio. Ed è proprio quando arrivano nella presunta Terra Promessa che per molti spettatori possono venire i primi guai, perché questo film racconta molto ma non si preoccupa di spiegare qualcosa agli spettatori meno eruditi. Non tutti infatti possono sapere che i vichinghi furono i primi a scoprire l'America, approdando sulle isole di Labrador e Terranova, e questo film strizza notevolmente l'occhio a quell'avvenimento storico, come possono far intuire gli indigeni che compaiono verso la fine della pellicola. Oltre che a questo effetto spiego-non-spiego, la pellicola si concede a molti momenti che possono mettere a dura prova lo spettatore più ingenuo, che forse dal trailer ingannatore e dal sottotitolo nostrano Regno di sangue si era aspettato un film d'azione alla Pathfinder, che si discosta non poco dagli intenti della pellicola vichinga di Refn. La grammatica cinematografica è in tutto e per tutto coerente a quello al quale il regista ci aveva finora abituati, con queste inquadrature tremolanti e un sapore decisamente casereccio per la maggior parte delle sequenze. E pur agevolati da una bellissima fotografia, il ritmo in più punti si fa davvero lento, pericolosamente lento, cosa che soprattutto sulla sequenza della nave spingerà molti a stoppare per dedicarsi ad altro. Oltre a questo vi sono numerose fasi oniriche, che predominano nella seconda parte, che non tutti potranno cogliere, andando vagamente a incasinare un messaggio che detto con parole molto più povere sarebbe potuto diventare più accessibile, ma che qui trova una sorta di esagerazione. Assoluta però la sequenza finale, dove One-Eye si sacrifica alla natura per rinascere come uomo nuovo, decretando il dominio della stessa sui falsi idoli degli esseri umani che tanto disordine, corruzione e contraddizione stanno portando, tutte cose mostrate dal comportamento dei crociati. Solo l'infanzia si salva da questo discorso, e infatti solo il piccolo ragazzo che accompagna One-Eye sarà il solo a trovare la giusta salvezza.
Strano e straniante, nonostante i mille difetti rimane un'opera curiosa che si discosta da quanto detto dagli obiettivi più banali. Si può benissimo non apprezzarlo, ma gli va riconosciuta la giusta originalità e capacità visiva. Un parto un po' folle, in attesa del capolavoro che sarebbe giunto poco dopo.