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“Valperga”– Mary Shelley XII

Creato il 19 dicembre 2011 da Marvigar4

Mirto

Mary Shelley (1797-1851)

VALPERGA

o

La vita e le avventure di Castruccio, Principe di Lucca

Traduzione integrale di Marco Vignolo Gargini dall’originale in inglese Valperga; or the Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca

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Capitolo 12

La pace tra Lucca e Firenze. Bindo.

   Le cattive notizie avevano viaggiato velocemente. Eutanasia seppe della carcerazione di Castruccio la sera stessa in cui avvenne. La politica spietata della famiglia Faggiuola e in particolare la vile ferocia di Ranieri erano a lei ben note. I suoi timori raggiunsero un culmine angosciante: più triste del prigioniero stesso, non dormì, né provò a farlo, ma i suoi pensieri erano tesi a valutare se lei avesse potuto in qualche modo assistere l’amico. Alla fine decise di usare tutta l’influenza dovuta ai suoi beni e alle sue conoscenze per fermare la mano dell’assassino.

   La mattina presto il giovane Guinigi arrivò al castello. Se Arrigo ammirava Castruccio, adorava Eutanasia: il suo sesso e la bellezza forse avevano un potente effetto sul suo giovane cuore, la sua semplicità e purezza tendevano ad influenzare in maggior misura la sua intelligenza inesperta ma attiva più delle cortesie studiate di Castruccio. Il pallore delle gote e gli occhi pesanti indicavano i pensieri inquieti che l’assediavano, e Arrigo si affrettò a tranquillizzarli. «Non temete», disse, «lui non morirà, non può morire. I suoi amici vegliano su di lui e Ranieri ha imparato a suo tempo che è più lui prigioniero tra le guardie nel suo palazzo di Castruccio incatenato in cella.»

   Poi espose i piani del partito ghibellino per liberare il suo capo e, dopo aver un po’ calmato la pena della contessa, tornò di corsa al suo posto a Lucca.

   Eutanasia passò una giornata agitata. Era sola, se si può definire solo chi è preso da pensieri che non rassicurano la riflessione solitaria ma sono presi attivamente dall’immaginazione di eventi che accadono a poche miglia di distanza. Era una giornata tiepida d’aprile, ma senza sole, poiché il libeccio aveva velato il cielo con nubi che parevano schiacciare l’atmosfera, la quale, indifferente a qualsiasi brezza, sembrava addirittura incombere con il suo peso sui fiori, e distruggere ogni agilità sia della vita vegetale che animale. La povera Eutanasia camminava senza pace sullo spiazzo davanti alla porta del castello, i suoi occhi languidi, rivolti in direzione di Lucca, potevano ravvisare gli oggetti in lontananza, distinti, essendo la loro vista acuita dall’amore e dalla paura. Il pomeriggio vide un gruppo di soldati, che si dirigevano verso le montagne a nord, cavalcare lungo la strada sotto la rocca dove il suo castello era eretto. Immaginò di poter distinguere la rozza figura d’Uguccione spiccare tra i cavalieri che guidavano la truppa e in coda al gruppo fu sicura d’aver visto la sagoma di Ranieri.

   Adesso il suo cuore s’era risollevato da molte paure, e guardava con profonda calma il trascolorare del tramonto e la luna, cresciuta di un giorno rispetto a quello predetto da Castruccio per la caduta del tiranno. Aveva un rifugio a lei caro vicino ad una fonte che sorgeva dalla roccia sotto il castello. La montagna era quasi a perpendicolare dal punto in cui sgorgava, ed erano stati tagliati dei rozzi scalini, con cui lei saliva attraverso un’entrata. La fonte sprizzava da una crepa in alto e all’inizio ricadeva su una stretta piattaforma di roccia circa settanta passi sopra il castello. Eutanasia aveva fatto costruire un bacino che serviva per raccogliere l’acqua e lo aveva coperto con un portico luminoso, sostenuto da colonne scanalate d’ordine etrusco fatte del più bel marmo. Poche sedili ricoperti di muschio erano intorno alla fontana. Seduta, le faceva ombra la roccia, sulla cui parete sassosa non cresceva altro che la brughiera e gli arboscelli parevano trovare nutrimento e sviluppo nella pietra stessa; ma la cima era coronata da lecci e da smunti mirti. Là Eutanasia si rifugiò e contemplava la notte imminente, quando all’improvviso le sembrò di sentire un fruscio sopra, e un mazzetto di mirto cadde sul suo grembo. Guardò su e, fissando a fondo, riconobbe Castruccio, con un cespo di mirto in mano, sporgersi dall’alto del precipizio.

   «Eutanasia! Vittoria!» gridò.

   «Vittoria e sicurezza!» ripeté lei con un sospiro di gioia.

   «E gloria e ogni benedizione del Cielo!» replicò lui. Lei rispose, ma Castruccio era troppo in alto e a malapena poteva udire le sue parole. Gettò un altro rametto di mirto e disse «Domani!». E si ritirò. Eutanasia continuò a guardare su verso il punto dove lui si era proteso. Il fruscio delle foglie cessò, i mirti, che lui sporgendosi sopra aveva piegato, lentamente si rialzarono. Le sembrò ancora di ascoltare la voce di Castruccio, finché il mormorio del ruscello vicino la richiamò a se stessa e le confermò quanto fosse immobile ogni altra cosa.

   Adesso Eutanasia era felice, troppo felice, e solo le molte e frequenti lacrime alleggerirono del tutto il suo cuore. Era felice nella convinzione dell’incolumità e del trionfo del suo amico, ma era l’amore di Castruccio che la commoveva e le dava brividi di piacere. Qual è la ricompensa più dolce nella vita dell’approvazione e della sincera amicizia della persona che noi approviamo e ammiriamo? Ma essere amati da questa persona, sentire il profondo accordo degli affetti, la gradevole coscienza d’essere amati da chi è stimato da tutti, e giustifica totalmente il clamore della lode generale con l’oblio di sé, e il sacrificio eroico della felicità personale per la causa pubblica, tocca una corda, apre degli squarci a chi non ha mai conosciuto questi sentimenti e il cui cuore non s’è appassionato al sentire pubblico, o che non ha partecipato con interesse alle speranze e paure di un gruppo che lotta per la libertà. L’animo umano respinge ogni restrizione e cerca sempre di fondersi con la natura stessa, o con le menti affini; sperare e temere solo per se stessi spesso limita il cuore e la comprensione, ma se insieme a molti siamo animati da queste emozioni, legati dagli stessi desideri e dagli stessi pericoli, quella partecipazione al trionfo o al dolore esalta e rende bella ogni emozione.

   Ma il trionfo è una sensazione che opprime l’animo umano. Quello strano strumento artificiale sembra più adatto a causare sofferenza che non piacere. È più un principio passivo che attivo: la gioia straripante lo colma di malinconia, ma può suscitare piacere dalla disperazione profonda. Eutanasia era sopraffatta. Sentiva, in quel momento di soddisfazione delle sue speranze, un’agitazione e un’inquietudine dolorose che, pur dovute certamente e soltanto alla ribellione del cuore alla pace, le dettero in seguito l’idea del presentimento di una catastrofe inaspettata dopo tanta felicità.

   La sera seguente Castruccio tornò in visita e la riportò alla calma. Lui sedeva ai suoi piedi e la fissava con i suoi occhi scuri, raccontando le circostanze della sua carcerazione e liberazione. «Non ti sei meravigliata», le disse, «della visita dell’aquila ieri sera? Avrei voluto davvero essere un’aquila per potermi gettare ai tuoi piedi al posto del mirto rinsecchito che ti ho lanciato! Ieri sera, dopo gli affari del giorno, sono andato al castello di Mordecastelli, che si trova sullo stesso monte non lontano dalla Fontana Incantata e il cipresso, sotto il quale noi spesso sedevamo da bambini e che abbiamo visitato poche settimane fa risalendo la valle. Quando ho lasciato il suo castello, sono passato da quel posto e, sostandovi, ho pensato che forse potessi non solo raggiungere la cima della roccia che dà sulla tua fontana, ma in qualche modo scendere fin nella cavità e così coglierti di sorpresa nel tuo ritiro. Sono rimasto deluso: il precipizio è troppo alto… ma guardando giù ho visto un lembo del tuo vestito e allora sono stato ripagato di tanto sforzo potendoti comunicare le notizie del mio successo. Ed ora, mia cara, sii felice e sorridi contenta per me perché, ora che ho domato i miei nemici interni e ho il potere supremo in questo nostro alveare, tu mi orienterai e ci sarà la pace che ami e la concordia che tanto desideri tra noi e i fieri repubblicani, tuoi amici.»

   Eutanasia sorrise e disse, «Forse è un piacere per una persona così quasi incapace come me, poter salvare la vita di qualche mio concittadino. Non sai, carissimo Castruccio, che quando sguaini la tua spada contro i fiorentini è sempre bagnata dal sangue dei miei migliori amici? Io devo davvero amarti sempre, ma so, perché lo conosco, che non unirei il mio cuore al tuo se, invece di questi pensieri di pace e concordia, tu stessi tramando la guerra e la conquista.»

   «Tu misuri il tuo amore con delle belle bilance», replicò Castruccio con aria di rimprovero. «Certo, se il tuo amore fosse così profondo come il mio, sarebbe guidato solo dalle sue stesse leggi e non dalle circostanze esterne.»

   Eutanasia rispose seriamente: «Allora il tuo amore non può stare insieme al mio. Sono stata cresciuta in una città dove non esistono fazioni interne e che, quando ottiene la pace interna, perde il fiore della sua infanzia in guerre meschine. L’odio e la paura della guerra sono perciò passioni forti e dominanti nel mio cuore, ma altri sentimenti si mischiano con questi nel mio slancio per la tua intesa con i miei conterranei. Firenze è la mia città natale, i suoi abitanti sono legati a me da legami di consanguineità e amicizia: le famiglie dei Pazzi, dei Donati, degli Spini e altri nobili o plebei fiorentini, che tu combatti quando sei in guerra con loro, hanno tutti qualcuno che io amo e onoro. Tradirei i sentimenti più alti della natura umana e andrei contro il mio paese se mi alleassi con il suo nemico: credi che io, che ho partecipato alle cerimonie pubbliche di Firenze, che da bambina ero carezzata dai fiorentini, e amata come donna, che ho presenziato ai loro matrimoni e con loro ho pianto ai funerali (quando il mio amato padre fu accompagnato alla sua tomba da questi uomini che tu chiami i tuoi nemici, e i miei dolori leniti dalla compassione delle loro figlie), credi che, così legata da ogni legame sociale, avendo pregato, gioito e pianto con loro, possa dirti, «Va’ e prospera!» mentre stai per andare ad annientarli? Carissimo Castruccio, se, unita a te, seguissi un evento del genere, allora io dovrò morire, o vivere la morte da viva.»

   Castruccio rispose solo con nuove garanzie della sua sincera volontà di pace, e con un bacio rimosse dalla fronte d’Eutanasia la nube che per un po’ l’aveva ricoperta.

   Era stato un strano compito svelare l’intimo d’Antelminelli e districare i sentimenti contraddittori che lo influenzavano in quel momento. Senza dubbio lui non poteva dimenticare i progetti di sviluppo della sua città, e aveva visto troppe corti e sentito troppo intensamente la propria superiorità rispetto agli uomini intorno a lui, per permetterci di supporre che coltivava l’idea di introdurre una libera repubblica a Lucca e di sottoporre al controllo del popolo i suoi atti e le sue intenzioni. Da tempo il suo desiderio era quello di risollevare e ripristinare il defunto partito ghibellino in Toscana, e questo non poteva realizzarsi se non attraverso l’umiliazione dei fiorentini: eppure adesso tutta la sua strategia politica era impegnata nel concludere una pace con loro, una pace che fu ratificata il seguente aprile e mantenuta per tre anni. Questi tre anni non furono spesi nell’inattività, ma nel contenere i paesi vicini e, per ultimo, nei preparativi della guerra vincente che dopo fece contro Firenze. Allora le sue proteste rivolte ad Eutanasia sono da considerare del tutto false? La sua condotta esplicita e la voce non imbarazzata proibivano per un attimo a quell’idea di varcare la sua immaginazione. Forse possiamo elaborare questa conclusione: adesso per il suo interesse lui ammetteva di concludere una pace con Firenze e faceva sì che la sincerità del suo scopo presente ammantasse le garanzie per il futuro.

   Un anno intero trascorse nel sistemare il trattato. Eutanasia passava tutto il tempo al castello e il suo stato di contentezza fu turbato ancora dai successi di Castruccio, il quale nel trattare la pace non mancava di renderla più desiderabile ai suoi nemici, cogliendo ogni occasione per fiaccare le loro forze e logorare il loro paese, e la comprensione della sofferenza che queste operazioni causavano alla sua amica in alcun modo non frenavano la sua attività. Eutanasia amava Castruccio, ma il suo giudizio era acuto ed era così abituata a meditare sugli eventi e i sentimenti quotidiani che, in questo periodo, riuscì in parte a penetrare il carattere del suo amato. Castruccio era forgiato per vincere e osare più che per la magnanimità. Era svelto nel pianificare e fermo nell’esecuzione; audace, valoroso, eppure gentile nei modi; il suo spirito era vivo; la sua intuizione dell’indole degli uomini istantanea; e possedeva anche, come per istinto, la capacità di adattarsi a ogni carattere e a guadagnarsi l’affetto di tutti: gli uomini amano sempre chi li porta al successo attraverso il pericolo. Lui era morigerato nelle sue abitudini, nel contegno e, anche se all’esterno poteva sembrare acceso e perfino avventato, si poteva percepire sotto una riserva di prudenza una presenza di spirito che non gli permetteva mai di andare oltre i criteri della prudenza, e un occhio vigile che gli faceva distinguere rapidamente il pericolo dall’impraticabilità. Camminava sui pendi più pericolosi, ma il suo piede era fermo come quello del camoscio e sapeva scorgere da lontano là dove il sentiero era interrotto, e avrebbe mantenuto il controllo nel seguire la pista più rischiosa. Tutto ciò andava bene, ma, dietro un comportamento franco e un’apparente nobiltà di natura, c’era il mestiere di un anziano di corte, e a volte persino la crudeltà di un tiranno traballante. Eutanasia non vide tutto questo, però talvolta uno sguardo, un tono sembravano spalancare una miniera di male inesplorato nel carattere di Castruccio, che la facevano trasalire fin nel profondo della sua natura, anche se questa sensazione sarebbe passata e lei, pronta a dimenticare il male negli altri, non ci avrebbe pensato più.

   Quell’anno potrebbe essere definito il più felice della sua vita, pur essendo quello che per primo la addestrò al dolore e all’angoscia che in seguito avrebbe avuto la sua parte. Non c’è fiore d’amore senza spine. Lei amava ed era adorata: i suoi occhi brillavano di una luce più accesa e tutta la sua anima, perfettamente viva, sembrava sentire con un’intensità e una genuinità che non aveva saggiato mai prima. La natura era investita per lei di nuove forme e c’era una bellezza, un’anima nella brezza della sera, il cielo stellato e il sole nascente, che la colmava d’emozioni mai provate in precedenza. L’amore pareva aver fatto del suo cuore il tempio scelto e lui univa tutti i battiti alla bellezza universale che è sua madre e nutrice.

   Vi sono sentimenti che sopraffanno l’anima umana e spesso la rendono tenera e debole, se un’azione virtuosa non dà dignità alla fantasia. Eutanasia aveva molte occupazioni, tra cui quella illustre e piacevole di far felice i suoi numerosi dipendenti. Le casette e i paesi del suo presidio erano abitati da contadini contenti, che adoravano la loro contessa e approvavano il suo potere solo in virtù dei benefici che lei conferiva loro. Castruccio spesso la accompagnava nelle sue visite e, abituato com’era a contare gli uomini come numeri dell’aritmetica militare, si commoveva persino per la cura che lei portava ai malati, per i suoi modi diversi di mostrare il giudizio e la piena bontà verso la sua gente. Tuttavia delle volte lui rideva della differenza tra la sua pratica e la sua teoria e chiedeva alla giovane sovrana perché non riunisse i suoi stati in una repubblica?

   Lei sorrise, ma poi, riprendendosi, rispose seriamente: «Quando all’inizio ho ereditato il potere di mia madre, ho considerato molto questo problema, non di fare dei miei poveri villaggi una repubblica separata, ma di incorporarli, come molti nobili hanno fatto, e come indubbiamente i signori di Valperga un giorno saranno obbligati a fare, con qualche repubblica confinante e più potente. Le mie inclinazioni mi portavano ad unirmi a Firenze, ma la distanza da quella città e l’immediata vicinanza a Lucca mi dimostrarono l’impraticabilità del progetto. Valperga un giorno dovrà cadere nelle mani dei lucchesi, però, se avessi mai fatto un’alleanza con loro, avrei distrutto l’attuale felicità del mio popolo, ci sarebbe stata la guerra al posto della pace, agitazioni di parte e pesanti balzelli, invece della concordia e della ricchezza. Questo, amico mio, deve essere il pretesto per la mia tirannia, ma, quando l’alleanza tra te ed i fiorentini sarà certa, quando Lucca sarà in pace e felice come Valperga, credimi, non mi arrogherò ancora un potere per il quale non dovrei avere pretese.»

   Castruccio sorrise, credeva appena alla sincerità semplice di Eutanasia. Lui capiva bene e giudicava con acume le obiezioni di compromesso in una questione di interesse, ma con lui c’era sempre il principio della decisione, che il più delle volte lo portava alla realizzazione dei suoi progetti, e raramente alla considerazione del bene e del male che riguarda gli altri. Tuttavia questo principio risultava velato persino alla sua mente da un abito gentile e tollerante, che anche in quest’epoca del mondo, spesso occupa lo spazio e assume la forma della virtù.

   Adesso Eutanasia era occupata a preparare una corte, che era decisa a tenere una volta ratificata la pace tra i poteri rivali di Toscana. Castruccio la trovò indaffarata nel duro lavoro, per lei inconsueto, di disporre sete, gioielli e tappezzerie. Lei disse: «Tu sai che i dipendenti di Valperga sono poco tassati i pochi soldi che entrano nelle mie casse sono spesi soprattutto a favore delle loro necessità: ma di quel poco io ho riservato una somma per i periodi di debolezza, carestia, o per ogni occasione più consona richiesta. Una parte di questa somma sarà spesa per la solennità presente. Non penso di danneggiare la mia buona gente con simili stravaganze: la loro gioia in questo caso sarà ancora più grande della mia, il loro orgoglio e l’amore del piacere sarà gratificato, perché nella preparazione dei divertimenti della mia corte il popolo avrà piena parte e, se noi attiriamo l’attenzione di Borsiere, Guarino e altri distinti Uomini di Corte [1], i buffoni, i giullari, i ballerini porteranno l’allegria nei paesi.»

   Il castello era più affollato del solito di dipendenti e lavoratori e il suo silenzio claustrale si trasformò nel rumore del martello e nelle voci degli italiani, sempre più forti del dovuto. Eutanasia assisteva alla loro frenesia con piacere e il suo accordo evidente con i loro sentimenti la fece adorare dai suoi servi e stipendiati. Adesso lei aveva intorno molte figlie dei suoi più ricchi sudditi che l’assistevano nella sistemazione del suo castello: ed erano riuniti nel salone uomini che nella sua tenuta avevano fatto i capelli grigi, e ricordavano la terribile battaglia di Monte Aperti, la caduta di Manfredi e la morte dell’ultimo sfortunato discendente di Federico Barbarossa. Questi raccontavano ai propri figli le prodezze e i pericoli della loro gioventù, fino a quando, tanto strani sono i sentimenti della nostra natura, la guerra, il rischio e la rovina sembravano gioie da desiderare e non minacce da evitare.

   Tra gli attendenti che serviva con più costanza Eutanasia c’era un uomo che, per la sua statura minuta e l’abbigliamento insolito, avrebbe potuto essere scambiato per il buffone o il nano tipici delle corti dei principi dell’epoca, e non aveva lo sguardo malinconico che impedisse tale ipotesi. Nonostante ciò aveva alcuni privilegi dei giullari ufficiali, perché s’intrufolava nella conversazione dei suoi superiori e i suoi commenti, generalmente incisivi, erano talvolta amari, satirici e, in effetti, si caratterizzavano in genere più per un’originalità selvatica e fantasiosa che per lo spirito, e, se a volte facevano ridere gli altri, lui non sorrideva mai. L’indole giocosa e spiritosa di Castruccio lo portava a conversare spesso con lui, a rispondergli e a cercare di provocare questo strano essere, non meno insolito nella sua persona che nella mente. Quest’uomo era della specie di cui pochi esemplari si trovano in Italia, chiamati in genere albini; la sua carnagione era bianca come il latte, i capelli bianchi, e le lunghe ciglia bianche riparavano appena i suoi occhi rossi accesi: era basso, tanto flessuoso quanto piccolo; la delicatezza dei suoi tratti e la rotondità e flessibilità degli arti, manifestavano il desiderio del vigore; la fisionomia dolce ma quasi insignificante tradiva la volontà di giudizio, di coraggio, e di tutte le virtù più virili. La sua mente, simile ai deboli guizzi della vita animale, non lo riscattava da un’immaginazione della quale egli pareva appena cosciente, ma che lo metteva contro molti incivili e rozzi contadini che lo disprezzavano. Talvolta Castruccio rideva di Eutanasia per il fatto che tenesse con sé questa strana creatura, ma lei si giustificava dicendo:

   «Tu, mio signore, non mancherai proprio di rispetto a questo mio suddito e te ne convincerò davvero un po’ quando avrò riassunto tutte le sue buone qualità. In primo luogo, egli conosce a memoria, pronto a citarle in ogni occasione adatta, tutte le profezie fatte sin dai tempi di Adamo, e comprende tutte le versioni volgari dei testi sacri. Inoltre è un adepto nella scienza degli alberi sacri, delle fonti e delle rocce, del volo degli uccelli, dei giorni fausti e infausti; ha una cultura estesa delle streghe, degli astrologi, degli stregoni e dei tempestarii [2]; conosce ogni cerimonia speciale per i giorni degni di nota, come celebrare le calende di gennaio, quelle d’agosto e le Vindemie Nolane [3]; il nostro bestiame non viene benedetto da Sant’Antonio finché lui non vi ha posto una corona di fiori; i cerimonieri del Natale, della Pasqua e di altre feste, sono tutti sotto la sua guida. Interpreta tutti i sogni del castello e predice il tempo esatto in cui avviare ogni opera. Ha una collezione meravigliosa di leggende sacre e strane reliquie, come una ciocca dei capelli d’Adamo, un po’ di segatura del lavoro di Noè quando divideva le assi per l’arca, un mattone della torre di Babele e un dente di Santa Teresa; molte di queste le ha presentate al prete di San Martino e la gente si reca ad adorare queste briciole e pezze di religione con la venerazione che solo la sua divina moralità richiede. Pur essendo d’aspetto femmineo e senza muscoli, è sano. Di fronte al miracolo tace e tra i miei chiassosi domestici lui è l’unico a muoversi senza far rumore, tanto da essermi assicurata che l’erba non si piega sotto i suoi piedi e non proietta ombre. Ma di questo tu potrai renderti conto da solo. Io credo alla sua fedeltà, anche se credo che lui non sia attaccato a nessuno, eccetto gli esseri selvaggi che la sua immaginazione investe con poteri sovrannaturali. Ma per me lui è un eccellente guida nelle mie peregrinazioni, da quando, come se avesse un filo invisibile, è in grado di trovare la strada infallibile tra i deserti più inesplorati e le foreste. Per tutte queste doti meravigliose lui è di solito visto male. Si dice che sia figlio di una strega e che abbia una propensione naturale al male, sebbene sul suo conto io non abbia mai sentito d’alcun maleficio, anche se veramente qualche evento strano che lo riguarda è accaduto, come se fosse in comunione con gli spiriti dell’aria.

   Ho detto che non è attaccato a nessuno di noi, e forse mi sbaglio. Se è sempre vicino alla mia persona è perché lui coglie ogni momento, quando gli viene permesso, per stare furtivamente con me. Una volta, quando lo lasciai durante una visita a Firenze, soffrì per un po’ la mia mancanza, tanto che tutti credevano che stesse per morire. Allora, prendendo una decisione improvvisa, come un cane che segue l’odore del suo padrone, partì a piedi e in meno di ventiquattrore arrivò mezzo morto dalla fatica al mio palazzo a Firenze.

   Ho un altro motivo per essere attaccata a lui: era un prediletto di mio padre. Lo trovò quand’era bambino in un paese non lontano da Firenze, mezzo morto di fame e maltrattato dalla gente del luogo, perché non poteva lavorare e, essendo orfano, era privo d’ogni risorsa. L’idea di avere dei genitori malfamati e il suo strano aspetto, portava i paesani ad essere anche mal disposti nei suoi confronti. Amò mio padre e quasi per il dolore cadde nella tomba quando lui morì, e all’epoca non avrebbe nemmeno lasciato la stanza dov’ero io, o se l’obbligavo ad andare, si trascinava vicino alla porta accovacciandosi come un cane aspettando di poter rientrare.»

   Questo personaggio non era molto indaffarato nei preparativi di corte, preparativi che occuparono tutte le mani e le menti di Valperga. Mentre la contessa provvedeva all’intrattenimento dei suoi ospiti, i dipendenti si esercitavano con i giochi e provavano quelli che avrebbero divertito i nobili: era tutto un andirivieni, ma nel segno della gioia e del buon umore. Castruccio ed Eutanasia si affezionarono sempre più: Castruccio comprese il benessere che era in grado di offrirle accontentando i suoi desideri, e Eutanasia era grata per il piacere goduto a lui, che amava teneramente come la sua causa.



[1] In italiano nel testo.

[2] In italiano nel testo. N.d.a. tempestarii: persone che si credeva avessero il potere di comandare gli elementi.

[3] Delle Vindimie Nolane fa menzione Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) nel suo Antiquitates italicae medii aevi, 59.



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