Un’immagine d’archivio della missione EUNIS sulla rampa di lancio. Crediti: U.S. Navy
E’ durato pressappoco un quarto d’ora il volo del razzo che il 23 aprile 2013 ha innalzato lo strumento EUNIS a più di 300 km sopra il poligono del White Sands Missile Range, in New Mexico. Non disturbato dall’atmosfera terrestre, EUNIS, che sta per Extreme Ultraviolet Normal Incidence Spectrograph, ha così potuto scandagliare a fondo una zona predeterminata sul Sole – una regione nota per essere “attiva”, cioè magneticamente complessa – per sei interi minuti. Un tempo infimo rispetto alle osservazioni continue dei satelliti, ma sufficiente a dipanare uno degli enigmi che ancora infiammano le discussioni degli scienziati: il riscaldamento della corona, la parte più alta dell’atmosfera solare, che possiede una temperatura tra 1 e 3 milioni di gradi Kelvin, 300 volte più alta rispetto alla superficie. Secondo uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal, infatti, grazie all’altissima risoluzione dei dati ottenuti da EUNIS si è potuta trovare la migliore prova a favore di una delle varie teorie sviluppate per spiegare il surriscaldamento della corona solare, i nanobrillamenti (nanoflares), la cui esistenza fu ipotizzata esattamente 50 anni fa. Secondo questa teoria, eventi di riconnessione magnetica darebbero origine a una miriade di piccolissimi brillamenti, degli “schiocchi di frusta” che riscaldano il plasma fino a 10 milioni di gradi Kelvin, per poi raffreddarsi molto rapidamente, contribuendo così a innalzare la temperatura del materiale coronale.
EUNIS è stato sintonizzato proprio per individuare una lunghezza d’onda della luce corrispondente a plasma caldo 10 milioni di gradi. Analizzando a fondo i sei minuti di osservazione, gli scienziati hanno riscontrato che lo spettrografo è stato in grado di distinguere in modo chiaro e inequivocabile le cosiddette “righe di emissione” corrispondenti al materiale estremamente caldo che andavano cercando. Secondo Jeff Brosius, scienziato spaziale alla Catholic University a Washington, D.C., e al Goddard Space Flight Center della NASA, primo firmatario del nuovo studio, l’individuazione di questa riga di emissione debole è stato il trionfo della risoluzione di EUNIS.
«Il fatto che siamo stati in grado di risolvere questa linea di emissione così chiaramente rispetto a quelle vicine è ciò che a spettroscopisti come me fa stare sveglio la notte per l’eccitazione», ha detto Brosius. «Questa debole linea osservata per una così vasta frazione di una regione attiva ci dà realmente la prova più forte mai ottenuta della presenza di nanobrillamenti».
Sono state proposte altre spiegazioni per il meccanismo all’origine del surriscaldamento della corona, ipotesi su cui si continuerà a indagare con sempre migliori strumenti. Tuttavia, nessun’altra teoria prevede l’esistenza di materiale a questa altissima temperatura nella corona: un deciso punto a favore della teoria dei nanobrillamenti. “Questa è una vera e propria pistola fumante per i nanobrillamenti”, ha infatti entusiasticamente affermato Adrian Daw, l’attuale ricercatore principale per EUNIS al Goddard. “E dimostra anche che questi piccoli ed economici razzi sonda sono davvero in grado di produrre scienza robusta”.
Guarda il video (in inglese) NASA/EUNIS Sees Evidence for Nanoflare Coronal Heating
Per saperne di più:
- Jeffrey W. Brosius, Adrian N. Daw, D. M. Rabin. PERVASIVE FAINT Fe XIX EMISSION FROM A SOLAR ACTIVE REGION OBSERVED WITH EUNIS-13: EVIDENCE FOR NANOFLARE HEATING. The Astrophysical Journal, 2014; 790 (2): 112 DOI: 10.1088/0004-637X/790/2/112
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini