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Vanni Bramati, da La squadra a Come il vento: “Sono un eclettico”

Creato il 29 novembre 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

29 novembre 2013 • 

Il suo volto inconfondibile è quello dell’agente Luciano Russo, uno dei protagonisti della serie La squadra. Sul piccolo schermo l’abbiamo visto anche in altri prodotti di grande successo come R.IS., Squadra Antimafia e Un caso di coscienza, ed ora è arrivato il suo momento in un’opera cinematografica di rilievo. Dopo l’esordio in Malèna di Giuseppe Tornatore e dopo aver recitato ne Il tramite di Stefano Reali, Vanni Bramati è pronto a farsi notare sul grande schermo con Come il vento di Marco Simon Puccioni, che racconta gli ultimi anni di vita e di carriera al servizio dello stato della direttrice carceraria Armida Miserere. Ed anche in questo film Vanni indossa la divisa, per la precisione quella di Maurizio, guardia carceraria che fa innamorare la dura Armida.

Come ti sei approcciato a questo personaggio? E’ ispirato a una persona realmente esistita?
Il film è ispirato alla vita di Armida Miserere. So che il regista Marco Simon Puccioni ha avuto accesso ai diari personali di Armida e che sulla base di questi e degli incontri che ha avuto con i suoi parenti ha ricostruito gli ultimi anni della sua vita traendo la sua storia. Sinceramente non so se Maurizio è un nome esistito o di fantasia. Sicuramente Armida nel suo tormento durato anni ha cercato di ricostruirsi una normalità affettiva, quindi credo che comunque il mio personaggio abbia dei riferimenti concreti nella realtà.

Come il vento è un chiaro esempio di buon cinema civile, come purtroppo ormai se ne fa poco in Italia…
Se ne fa poco, è vero, e si ha la sensazione di averne sempre più bisogno, dato il momento storico. Spero che si abbia coscienza che stiamo attraversando un momento di cambio epocale, che stiamo passando per delle tappe fondamentali per la nostra società, per un momento di cui si parlerà nei libri di storia. Eppure il nostro cinema sembra indirizzato verso una strada meno di impegno e più di disimpegno. Questo non vuole essere assolutamente un attacco o critica ma credo che di sicuro l’attenzione verso l’impegno civile dovrebbe restare sempre alta. Poco tempo fa ho rivisto Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e ho riflettuto sul fatto che oggi nessuno produrrebbe un film del genere. Purtroppo stiamo in una fase di regressione, per assurdo stiamo inseguendo gli anni ’60 e ‘70.

vanni bramati

Come ti sei sentito a far parte di questo progetto?
Mi sono sentito onorato, anzi doppiamente onorato perché per me è stata anche una grande occasione, visto che spesso mi propongono ruoli al servizio di storie televisive. Spesso c’è pigrizia a relegare attori in certi personaggi, e quindi ringrazio Marco per aver creduto e puntato su di me, di avermi dato l’occasione di duettare con un’attrice come Valeria Golino. E’ stata l’occasione che ho aspettato e desiderato per tanto tempo. Sono convinto che se si desiderano intensamente le cose, alla fine si avverano. Ma credo anche che bisogna stare attenti alle cose che si desiderano perché bisogna essere all’altezza di certi desideri. Da tempo volevo confrontarmi col cinema d’autore e incontrarmi sul set con un’attrice di livello, come è la Golino. Spero che dopo questo film si aprano delle porte per me.

In che modo hai lavorato con Valeria Golino per ottenere quell’intesa che è evidente sullo schermo?
A parte la sensibilità del regista che ha cercato di metterci nelle condizioni ideali per creare questa intimità, abbiamo avuto un grande complice: l’isola di Pianosa. Abbiamo girato proprio là, dove c’è il carcere di massima sicurezza ormai dismesso, e siamo stati lì dieci giorni. Questo isolamento ci ha aiutato a costruire la nostra complicità su un doppio binario, sia professionale che umano. Purtroppo però diverse scene con me e Valeria, per esigenze di lunghezza, sono state sacrificate. E’ stato un peccato perché forse attraverso queste si sarebbe potuto apprezzare di più il graduale avvicinamento dei due personaggi.

Vanni, tu oltre che attore sei anche regista. Dietro la macchina da presa hai girato dei videoclip e anche un documentario, U megghie paise…
Diciamo che professionalmente sono un eclettico, come eclettico è il mio approccio alla vita. Talvolta mi accorgo che spesso c’è una tendenza, forse per semplificazione mentale, a ragionare per categorie, a incasellare le persone. Io come attore presto spesso il mio servizio a personaggi di fiction nazional-popolari, e molte volte mi trovo a rapportarmi con persone che tendono a pensare che questi personaggi corrispondano a come sono nella vita. Nel mio caso è proprio interpretare spesso ruoli televisivi e quindi mettermi al servizio di storie più “facili” che aumenta il mio desiderio di raccontare il mio punto di vista della realtà, con la mia personale lente che spesso è anche distorta. Infatti io prediligo un approccio più surreale all’immagine e mi piace trattare temi universali. Ad esempio U mugghie paise, che usa il calcio per raccontare il tessuto sociale di Bari, porta sullo schermo una storia locale che però affronta argomenti universali.

Hai nuovi progetti da regista?
Adesso sto lavorando a un progetto cinematografico di fiction, di cui però non voglio rivelare troppi dettagli. Sarà un progetto indipendente, come i miei precedenti lavori, ma questa volta di respiro internazionale. Credo molto in questo film che avrà sempre un approccio da un lato disincantato e dall’altro surreale ma sarà qualcosa di nuovo rispetto al passato.

Quanto è stata importante per te l’esperienza televisiva?
E’ stata molto importante. Sotto l’aspetto attoriale è stata importante per la mia formazione, perché io non ho fatto un percorso attoriale istituzionale, non ho frequentato nessuna accademia né il Centro Sperimentale. Quando sono arrivato a Roma sono stato subito adottato dalla tv, con La squadra, che fu un progetto apripista, perché prima di essa nella televisione italiana non esisteva serialità, se non in soap opera. Inoltre, per me è stata un’enorme esperienza formativa anche per il mio desiderio di passare dall’altra parte, dietro la macchina da presa, perché mi ha offerto la possibilità di conoscere i meccanismi di un grande macchina produttiva.

di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net

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