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“Variazioni sul buio” di Bianca MADECCIA

Creato il 16 novembre 2010 da Fabry2010

“Variazioni sul buio” di Bianca MADECCIA

Canto con i tuoi petali in gola
signora del sentiero, antitesi del giglio,
vetro che vibri di tutti i suoni del mondo,
nuvola che appare sulle città maledette,
legno che presiedi i patiboli,
ferro forgiato dai lampi,
o rosa mistica,
preserva la nostra voce,
non restituirci
alla bianca sequenza delle ore morte
rendi fertile questa miseria
insegnaci una lingua
che questo secolo comprenda
oppure che termini ora il cantico
perché non ha più senso
questo monotono lamento
torni dunque il silenzio
a bruciare come il sale.

*

Tutto ti attraversa e tu attraversi tutto senza pena
laggiù ghiacci neve continenti mai visti prima
la sottrazione le orbite il sudario
le lenzuola al vento il bianco ossario
un mondo così alto da non avere suono
persa nel vero della chiarezza massima
come racconterai questa perfetta spina?

*

(Per le spose suicide di Kabul)

Siamo gli oscuri affilati
cresciuti all’ombra
delle chiesefabbriche di bambole,
piedi nudi su strade scoscese.

Ascolta le nostre preghiere
nell’ora in cui il tuo nome è invocato.
concedici oggi di morire a Kabul,
città di poeti e di vedove suicide
polvere tra le macerie del mondo,
ceneri in un letto di sale.

Dacci la chiarezza massima, concedici il fuoco,
perché noi ardiamo dal desiderio di vedere,
ardiamo dal desiderio di non sopravvivere
ardiamo di buio nel buio verso il buio.

Dacci oggi il kerosene della nostra morte, amen.

*

Da quale corte perduta il bianco che acceca
l’oro crudele dell’alfabeto del veggente
lo strascico del manto di rose orlato
che ci avvolgono di magnificenza mutevole
nell’ora degli incendi e delle sommosse
che ci attraversano, illuminano e ricordano
che non è l’oscurità la condizione peggiore
ma la vita che per abrasione si distacca
sotto il peso familiare del reale devastato.

*

Parole e atti sono registrati nel libro dell’ossario,
osservo corpi preoccupati più di camminare che di lasciar tracce
schiavi felici, scaltri coltivatori di bruttezze
ovunque mi volti vedo morti che camminano
che non sanno di possedere solo il nudo nome delle cose.
non ho più nascite da annunciare, con le labbra serrate
ossequiente al raziocinio, diffido delle persone troppo temerarie
dei viaggi eccessivamente rapidi, delle correnti d’aria
conservo la lunga lista delle assenze e degli addii,
i nomi, i gesti, le foto, l’elenco dei dolori piccoli e grandi,
tutti in rigoroso disordine alfabetico.

*

Le nuvole arrivano dal mare e si sfilacciano veloci
certo, ci furono battaglie campali, di strada, di piazza
ma i vasti spazi riducono le grida a mormorii
è per questo che le voci degli uomini non giungono al cielo
ma è una storia troppo lunga per iniziarla ora
sappiamo solo che i vocaboli cominciarono a sparire,
così che anche l’ultima parola rinunciò ad essere detta
il mondo si dissolse in una musica cupa che avanzava
già preannunciando l’estinzione totale della luce
le ceneri dell’alfabeto furono portate via dal soffio
del mare e sparse in ogni direzione della rosa dei venti.

*

“…Una lotta ingaggiata contro il quotidiano ciarpame che intralcia il bene morale: Madeccia denuncia la rovina contemporanea e il suo è un canto geologico, prende voce per tutta la terra, dice a nome dei sismi e dei vulcani – che sotto hanno voragini, tempeste, movimenti segreti e sussultori – rivolta. La cantica è tellurica e sovversiva, dove cede alle stelle è per meditare un delitto. Ma di quale natura? Solo – crediamo – l’uccisione della rappresentazione, dell’”oppio delle forme” per arrivare al vivo. E allora il poeta torni a essere il vulcano che sommuove la profondità della parola terra presa da un fuoco dove le parole saranno cose.
L’aspirazione è a un ordine pacifico del mondo, la poetessa chiama a raccolta forze primarie, invoca uomini e donne preistorici in un paesaggio basico e radiante. Si immagina una profezia mai pronunciata sotto forma di remota catastrofe finale che racconta come già sia avvenuta la scomparsa della parola e la caduta degli uomini in una mutaggine nera che significa il dileguarsi del lume della ragione e la resa del genere umano a una ferinità mccarthyana (La strada) se non addirittura alla famelica morte mathesoniana (Io sono leggenda): “ovunque mi volti vedo morti che camminano” e gli uomini, inginocchiati e naufraghi, hanno “ali che si oppongono al cielo”. Ma torna anche alla mente la splendida Cassandra di Christa Wolf, che tra le dissidenti dello Scamandro riunite nella casa del saggio Anchise, capisce che “tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere”.
Ci sono infatti una desolazione da fine del mondo e insieme un pathos da tragedia greca in queste poesie, a cominciare dalla forma interlocutoria e quasi orale che praticano. Sono parole assunte nel dolore per scomunicare – ed ecco le frecce e i bombardamenti della lingua – ma anche la scomunica è scagliata nella forma lampante della comunicazione.
Bianca Madeccia vuole dire: gira alle spalle lo sguardo, adesso che tutto sembra essere già successo, fissa con un dolore ribelle la storia (individuale o collettiva, l’automatismo del male è lo stesso) fino al punto nel quale si poteva ancora scegliere di non formarsi nella mente un nemico, così da non rendere inevitabile conseguenza questo feroce, questo banale e sciatto metter mano alle armi. (Dall’introduzione di Maria Grazia Calandrone)

*

Bianca MADECCIA
Variazioni sul buio
Edizioni Confronto (2010)



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