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Vasco Pratolini, In viaggio da Firenze al Cinquale

Da Paolorossi

L'indomani, per scancellarmi con opposte emozioni, l'ultimo resto di paura, Millo rimediò una vecchia Balilla. " L'ebbe in prestito, credo, dal Partito. Si rimase fuori una giornata intera. " Nela racconto di Ivana, fu un viaggio pieno di sorprese.

" Partimmo la mattina presto, un po' a caso. Si toccò Pistoia, poi Lucca; si visitò la chiesa dove c'è la statua deposta della fanciulla che sembra respiri ; sul mezzogiorno eravamo verso Pisa e s'incominciava ad aver fame. Si andò a Bocca d'Arno e lungo la tenuta reale. Dentro l'altra pineta, dalle parti di Livorno, i militari negri avevano ritrovato la giungla e ci vivevano allo stato brado, insieme a decine di sciagurate. [...] Quando le autorità si decisero a far pulizia dovettero usare i lanciafiamme, pare. I disastri della guerra, oh già, ma c'era ormai la pace! E passandoci davant, ti assicuro, non ci s'accorgeva di nulla. Tombolo era un bosco come San Rossore. Incontravamo gippe, camion: e trespoli dell'età della pietra, veri e propri macinini. Sia i soldati americani, sia i borghesi, trafficavano in piena luce; con pochi soldi avremmo potuto caricarci di roba. Ogni tanto dei cartelli: off limit, zona minata, per cui si doveva voltare. Tu sulle mie ginocchia, Milloschi alla guida, ci si distrasse tutti e tre, non c'è che dire. La verità è che in mezzo a quel fango, più che tra le nostra strade dove tante cose anche vedendole non era possibile toccarle con mano, ci si sentiva di bucato. A un certo punto la macchina si mise a starnutire. Dovemmo scendere, e mentre Milloschi spingeva, tu rimanesti sul sedile, ti davi un'aria! Finchè si raggiunse una gargotta sistemata a mo' di capanna, coi tavoli di marmo sotto le frasche e l'insegna disegnata alla buona. Me ne rammento siccome c'era scritto TRATTORIA LA BALDORIA. Molto diversa dal nostro "Cesarino". D'intorno non si vedevano che macerie; l'acqua, avanti di berla, si doveva bollire. In compenso c'era vino, birra, carne, formaggio; e whisky, cognac, naturalmente, ogni ben di Dio. Ci si dette una rinfrescata e lui armeggiò intorno al motore. Era un guasto da nulla: il tempo di cuocere la pasta, l'aveva bell'e riparato. E non c'eravamo ancora sistemati che entrò una squadra di sminatori. Per lo più giovani, dei ragazzi addirittura. E incredibile quanto fossero allegri: "Siamo a caccia dell'eredità di Baffino" dicevano. "Quest'onore gli alleati ce l'hanno lasciato volentieri". Rischiando passo passo di saltare in aria, andavano alla scoperta delle mine interrate dai tedeschi, dal litorale fin sotto le Apuane. Avevano un grande coraggio, gli si leggeva nel viso; e sia pure rivolta al bene, una larga dose d'incoscienza, ebbi questa impressione. Li pagavano, certo, ma quasi ogni giorno qualcuno di loro ci lasciava la vita. Milloschi attaccò subito discorso, te lo immagini? Un paio erano fiorentini: finimmo per fare un a sola tavolata. Io dissi d'avere il marito prigioniero che da un momento all'altro sarebbe tornato, Milloschi allora mi assecondava. Si brindò, e dopo aver mangiato, presero a cantare; la maggior parte erano stati partigiani. Ti vollero regalare un fazzoletto cremisi, te lo annodarono al collo, e t'insegnarono a dire: viva Baffone. Sembrava che per loro, tra il prima e il dopo la differenza era tutta lì, e nelle canzoni. Fu un incontro che non ho mai scordato. Così tu; invece delle macchie rosse e degli spari della liberazione, forse è proprio di quei ragazzi che hai memoria. Degli scoppi di mina che si sentivano risalendo il Cinquale, del loro fazzoletto e del loro coro. "

E del mare.

( Vasco Pratolini, La costanza della ragione, pag. 42/43 - Mondadori, 1963 )

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