[…] Fu un brutto inverno, chiuso il cantiere del Romito, con nemmeno mezzo toscano nel corso di una giornata; e una giornata in cui s’incominciò e si lasciò in tronco un lavoro in Villamagna. […] Dopo tre mesi di disoccupazione, e ripugnandogli l’idea di mettersi un’altra volta a lavorare da facchino, non più soltanto mezzo sigaro gli mancava, ma giusto anche per lui era questione di pane e di fitto arretrato, di debiti da pagare, di loggione per l’Aida promesso alla fidanzata del momento, sempre che non lo animassero degli ideali.
Firenze – Monumento a Vittorio Emanuele II in piazza Vittorio
Poi, trovarsi in prima fila negli scontri di Piazza Vittorio, venne di conseguenza, sarebbe stato assurdo il contrario. Una colonna di dimostranti proveniente da San Frediano (c’era Gemignani in mezzo a loro, lo conosceva di vista, era un collega, si erano incontrati al funerale di Pallesi) l’aveva come rimorchiato. Costoro non seguivano una bara, era gente scalmanata, carica d’odio e di fame. L’ipotesi di uno scontro, più che temerla, la ignorava. Il corteo sbucò da Via Strozzi, Metello c’era entrato in mezzo da qualche minuto appena, e i militari uscirono di dietro il monumento al Re Galantuomo e di sotto i Portici dove stavano acquartierati.
Firenze – Le Murate
Fu un parapiglia, egli non fece in tempo a roteare le braccia ché un calcio di fucile gli calò sulla testa e lo stordì. Soltanto giorni e mesi dopo seppe come erano andate le cose, a Milano e nel resto d’Italia, e che a Firenze c’erano state decine di feriti, cinque morti a Sesto, uno a Ricorboli, tre alle Caldine, nove in tutto il giro dei colli che abbracciavano la città. E come avevano preso lui, avevano preso Del Buono, avevano preso Turati.
[…] Intanto Metello, si trovava ammanettato, e questa volta non se la sarebbe cavata con una notte in guardina. I più li avevano chiusi alla Fortezza da Basso; lui e altri alle Murate.
(Vasco Pratolini, Metello, Mondadori, 1960)