Anch’io, nel mio piccolo, quando mi hanno offerto di fare il capo in azienda ho accettato pur essendo iscritto al sindacato ed al Pci.
Un passo avanti sul piano economico è sempre da tenere presente, specialmente se si ha una famiglia.
Non conosco le ragioni per le quali Vauro lascia il Manifesto, si vocifera che il giornale abbia solo due mesi di vita, ed è giusto che Vauro faccia le sue scelte ma ad una condizione, che rimanga sempre con le sue idee.
Nel Fatto c’è una corrente antipolitica e grillina talmente esagerata che alla fine, per me, fa un favore al sistema.
Mettere tutti nella stessa cesta non è informazione. Troppo facile dire che sono tutti uguali per creare disaffezione ed allontanamento dall’impegno politico e per un comunista come Vauro, che saluta a pugno chiuso, credo che valga ancora il mio principio di comunista: Libertà è partecipazione.
Partecipazione non ad un sito, al mi piace, all’incensare un santone che vuole buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Partecipazione individuale ad un movimento di massa in cui riconoscersi democraticamente, senza affidarsi al salvatore della Patria di turno o di moda.
Quando fui nominato capo sapevano perfettamente come la pensavo ed hanno corso il rischio, dalla mia parte avevo il fatturato e per un padrone il fatturato è tutto anche se è prodotto da un comunista.
Posso dire alcune cose della mia esperienza, intanto i miei sottoposti si trovarono meglio, quelli che si impegnavano nel lavoro hanno avuto riconoscimenti. La mia filosofia di comunista sindacalista era questa: prima i doveri, tutti i doveri e poi i diritti, tutti i diritti.
Non puoi pretendere diritti se non hai adempiuto a tutti i tuoi doveri. Non puoi lamentarti dei politici se non hai la forza, non riesci a superare la nausea e trovare il coraggio di fare una scelta votando.
Se non ritieni nessuno degno o all’altezza di rappresentarti entra in gioco tu, scegliti un partito, un movimento che tenga alta la bandiera della partecipazione e della democrazia e datti da fare.
Non venitemi a dire che non è possibile, se nel Pd ci fosse la partecipazione che c’era nel Pci sarebbe già oggi un partito di sinistra.
Auspico che Vauro rimanga con le sue idee anche all’interno della redazione del Fatto, che io ritengo non sia un giornale di sinistra, spazia da una parte all’altra in nome dell’informazione ed il problema è che, per me, l’informazione deve essere di parte, partigiana.
Scriveva Gramsci:
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
11 febbraio 1917