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Vedere le linee

Da Marcofre

 Quando un bambino disegna non intende distorcere, bensì mettere sulla carta esattamente ciò che vede, e poiché il suo sguardo è diretto, vede le linee che creano un movimento.

Interessante questa riflessione di Flannery O’Connor. Si ricollega al ruolo autentico di chi scrive, o meglio, di quei pochi che scrivono pensandoci su. Che non si limitano a riempire le pagine di parole, ma che vedono in questo gesto un senso più ampio.

Di recente ho provato a leggere un romanzo italiano che ha avuto un buon successo di pubblico e di critica. Ho smesso dopo qualche pagina. È imbarazzante.

Dialoghi banali. Pagine dove si illustrano i protagonisti attraverso luoghi comuni, dove lui da giovane era bello e poi si è abbruttito col lavoro. E lei che si chiede perché non se ne è andata. E la figlia adolescente che non si sa chi frequenta, ma di certo i suoi amici sono tossici e via discorrendo. La solita trita divisione tra buoni e cattivi.

Naturalmente il suo autore (o autrice?) è stato acclamato, credo abbia vinto dei premi. Non sono sorpreso, anzi. È il libro perfetto per chi immagina la realtà in due colori: il bianco e il nero, e la lettura gli serve ad avere la conferma che occupa la parte giusta della barricata.

Il difetto gravissimo di questo libro è che vede le cose come sono.

A questo punto mi rendo conto che chi legge potrebbe grattarsi la testa e dire: “Ma non dici che occorre parlare di carne e sangue e viscere? E poi critichi chi invece fa quello che proclami?”.

Certo.

Però la frase in apertura aiuta a capire come la scrittura, che pure deve essere efficace, risponde anche a un altro compito. Lo so che ciascuno è libero di agire come meglio crede, ed è quello che accade. Però raccontare storie (e quel romanzo non lo fa affatto) vuol dire scorgere quello che c’è oltre la realtà.

Esatto: vedere le linee.

Dostoevskij le vedeva. Sono i grandi a vederle, e per questa ragione dopo decenni, o secoli, la loro opera continua ad avere lettori. Hanno colto in filigrana cosa c’è davvero oltre la piatta superficie dello schermo televisivo.

Nessuna stortura. Solo quello che c’è sul serio. Le linee, appunto.


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