
Ne Il testimone, la comunità amish a cui appartengono il dolcissimo Samuel (Lukas Haas) e l'incantevole madre Rachel (Kelly McGillis) è un'occasione imperdibile di straniamento per l'intrepido John Book (Harrison Ford) e lo spettatore. La surreale partita a "guardia e ladri" negli spazi fuori tempo di una fattoria in piena campagna della Pennsylvania ha pochi riscontri, credo, nella cinematografia moderna.
Peter Weir e gli sceneggiatori (E.W. Wallace e W. Kelley) tirano le fila di una storia fatta di silenzi e di tenerezza, di pudori e di valori estranei alla corruzione della società civile. Ma non credo che si attesti sul piano di una differenza etica così grossolana (e discutibile) il messaggio di una regia ricercata ed elegante sul piano estetico (splendida la fotografia di John Seale, e per molti aspetti inattesa, anche se qua e là un po' di maniera).

Samuel non è la promessa opaca del mondo futuro senza sostanza, dietrologia di qualche fede che cerca il consenso di una profezia: è un bambino, testimonia quel che ha visto, quel che fa, quel che è. Samuel è la fede nell'uomo, non nel Dio che ne determina la reclusione a una vita quasi monastica suggestiva, ma fuori da ogni tempo. Witness non è un documentario sulla comunità amish, ma un ulteriore messaggio di Peter Weir a proposito dell'altro, dello straniante infisso proprio tra le codificazioni e le attese spesso insensate della vita che ci aspettiamo di vivere.