L’anniversario della liberazione di Napoli offre una buona sponda per parlare di questa città che assomiglia sempre di più a una gigantesca Torre di Babele, per quanto sia stata fondamentale anche nella mia infinitesimale esperienza artistica. Ho sempre provato sentimenti contrastanti per Napoli, come credo molti altri occasionali visitatori, e spesso l’ho pesantemente criticato, arrivando persino a apprezzare il cattivo gusto del compianto Giorgio Bocca che arrivò a suggerire “Il Vesuvio” come soluzione ai problemi della Campania. Uno dei motivi per cui ne ho sempre subito il fascino è la storia della sua liberazione dal Nazifascismo. Napoli è stata la prima città a insorgere con successo senza l’aiuto degli alleati, che arrivarono quando i tedeschi si erano già ritirati. C’è un film bellissimo che lo racconta, girato da Nanni Loy, si chiama “Le quattro giornate di Napoli”, i cui estratti compongono il video iniziale. Anche un altro bellissimo film, “Tutti a casa” di Comencini rievoca l’avvenimento. Peccato che poi tutto questo coraggio si sia perso, insieme ai registi italiani che insegnavano l’arte del cinema al mondo. Come infatti mi ricorda Salvatore Setola, uno dei migliori redattori musicali sparsi per lo Stivale, Napoli è:
“Una città dalle mille contraddizioni e dalle mille difficoltà economico-sociali, ma in quanto a storia, arte e cultura è seconda solo a Roma e Firenze e non ha nulla da invidiare a Venezia. Io ho ho sempre notato una cosa: la gloria di Napoli finisce con l’Unità d’Italia. Fondata dai Greci , Napoli è stata città importantissima nel Medioevo (prima gli Svevi – che fondarono la Federico II, la prima università statale della storia – e poi gli angioini – che attirarono a Napoli i maggiori “intellettuali” ed artisti del loro tempo: Petrarca, Boccaccio, Simone Martini, Giotto) e nel Rinascimento (centro importante dell’umanesimo con la sua schiera di eruditi e di collezionisti). Il Seicento è stato il secolo d’oro con il naturalismo caravaggesco, i classicisti venuti dall’Emilia, il barocco napoletano e i conservatori (la villanella napoletana spopolava in tutta Europa). Poi ci sono stati i Borbone, verso i quali la popolazione si è mostrata troppo assoggettata (nel 1800 la gente preferì il re ai francesi Rivuluzionari), ma che con Carlo III hanno dato ulteriore lustro alla città (apertura, qualche decennio prima dei francesi, della prima collezione che può dirsi statale, la collezione di Portici; statalizzazione degli scavi di Ercolano e pompei; arrivo a Capodimonte della collezione Farnese, che rende il Museo di Capodimonte uno dei più importanti musei italiani). L’Ottocento ha visto solo due movimenti artistici minori, come le scuole di Posillipo e Resina (quest’ultima proprio negli anni a cavallo dell’unità d’Italia). Dopo, Napoli sparisce dai radar della cultura perché viene tagliata fuori dai radar dell’economia. I De Filippo e i Totò dovranno spostarsi in altre città per vedere consacrato il loro talento. E considerato che ciò che spinse i Savoia ad unire l’Italia era un disperato bisogno di liquidità, io faccio 2+2 perché è inaccettabile che da una storia così gloriosa oggi restino soltanto la camorra, l’inciviltà e la monnezza. I napoletani la mosca per il naso non se la sono mai fatta passare e quando c’era da mandare affanculo i nazisti, lo hanno fatto, senza vittimisimi e senza attendere l’aiuto di terzi. Ma quando uno stato ti annette e volutamente ti dimentica, facendoti passare per il Calibano della situazione, allora nella coscienza collettiva finisci davvero per credere, come popolo, di non valere niente. E siamo arrivati agli utlimi decenni, con una parte – una parte che non è comunque la maggioranza – delle persone che effettivamente ha zero coscienza civile, con i neomelodici che hanno soppiantato la canzone classica e i Siani che bestemmiano sulla memoria dei Troisi. Questo è il grande problema di Napoli.”
Alla sua frase d’apertura “Io ho ho sempre notato una cosa: la gloria di Napoli finisce con l’Unità d’Italia.” aggiungo che Napoli non è stata l’unica ad avere in sorte questo destino. Basti pensare all’esemplare caso della Calabria, che seppur basata sul latifondo e su tutto ciò che costituiva l’Ancien Régime (che venne acriticamente abbattutto) nelle sue più varie emanazioni, era prima delle rivoluzioni industriale, illuminista e italiana la regione tra le più ricche d’Europa, mentre ora è, statistiche alla mano, tra le più povere. Ma i danni non si contano solo in termini economici, ma come fa notare Salvatore, soprattutto culturali. Eppure Napoli resta un fermento di attività stimolanti che nessuna deriva impostale dagli amministratori di turno è riuscita a cancellare del tutto. E i paragoni con Firenze e Venezia sono si stimolanti, ma non nelle possibilità di analisi di chi scrive perchè sono non nazioni, ma continenti diversi e spesso opposti, di cui conosco solo il primo lembo. Fu D’Azeglio infine a dire per primo: “Fatta l’Italia, facciamo italiani”. Hanno miseramente fallito, purtroppo e per fortuna.