I rapporti con l’editore francese, che per comodità e poco rispetto, chiamerò Jean-Cul, si stanno facendo quanto mai tragicomici.
Lui è un caffèespresso-dipendente dallo sguardo allucinato e le movenze da elefante al festival del domino con effetto a catena. Rovescia l’acqua dai bicchieri o fa cadere telefoni altrui mentre raccoglie una rivista, proprio come se non avesse la percezione esatta delle distanze. Sarà la caffeina o, come dice mia moglie, la cocaina. Niente di più facile.
È il perfetto archetipo dell’indeciso: ciò che ieri andava bene, oggi è da cambiare, quello che è cambiato lo preferiva com’era prima.
All’inizio si doveva semplicemente “localizzare” la rivista, adesso vuole qualche piccola sistemazione in alcuni articoli che non gli piacciono così come sono usciti, però quando li vede, vorrebbe che fossero “graficamente più singolari”. La coordinatrice - che si è scusata per il comportamento del traduttore - dice che Jean-Cul sta cercando di marciarci sopra. In fondo, lamentandosi degli scontorni delle foto che andrebbero sistemati, delle pagine più "graficamente singolari", o delle cromie da calibrare, non fa altro che costruire un restyling pagato sì e no, nascondendosi dietro al paravento che però le font non si cambiano, manteniamo quelle originali.
Non so, ma la mia piccola e stupida testolina non riesce a capire cos’abbia in mente questo Jean-Cul, o meglio, forse comincio a intuirlo seppur vagamente. Un francese che vuole lanciare una rivista che è impossibile definire: di moda, di consigli pratici, di copiature del look di attricette misconosciute. Senza la minima ricerca di marketing, senza lanci pubblicitari, senza avvalersi di qualcuno che abbia una vaga cognizione della moda italiana e il mondo dell’editoria. Senza un restyling degno di questo nome, senza una redazione che sappia scrivere "fa" senza l’accento sulla a, o che sappia come battere una "È" maiuscola accentata senza usare l’apostrofo, o che scrive p/e per dire pimavera/estate.
Tutto questo mi fa arrivare a fine giornata prosciugato di ogni energia, specialmente mentale. In casa è tutto un parlar francese maccheronico come: va da via el cül, tut bòn, tartufòn, Sìlvie Vartàn e roba simile.Ormai il gioco è diventato così perverso che, come Totò nello sketch su Pasquale, continuo a pensare: “Chissà ‘sto stupido dove vuole arrivare!”.