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Venezuela tra mito e realtà

Creato il 08 aprile 2014 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Manifestazioni, repressione, presunto golpe, interferenze occidentali, un calderone che rende sempre più difficile analizzare il Venezuela post Chavez

Venezuela Venezuela tra mito e realtà

Dal 4 febbraio, giorno in cui hanno avuto luogo le prime manifestazioni studentesche contro il governo di Nicolas Maduro nello stato di Tachira, al confine con la Colombia, la copertura mediatica, dentro e fuori dal Venezuela, sembra traballare. Tra le emittenti direttamente controllate dallo stato, la censura (come quella del canale colombiano Tnt24 e l’espulsione di alcuni giornalisti della Cnn) giustificata dall’accusa di cospirazione antigovernativa, e le analisi grossolane e politicamente orientate dei media occidentali, non vi è un vero spazio indipendente dentro il quale inquadrare e analizzare le proteste venezuelane.

All’interno di questo caos, le contestazioni hanno occupato strade e piazze, fino a dirigersi contro la casa del Governatore di stato, col conseguente arresto di 14 persone, di cui solo due studenti. Le manifestazioni si sono diffuse in numerose città senza però determinare un intervento delle forze dell’ordine. Almeno fino al 12 febbraio, giorno in cui i manifestanti, capeggiati da Lopez, si sono diretti verso il tribunale di Caracas, assaltandolo con bottiglie molotov, causando una forte repressione da parte della polizia. Repressione duramente condannata da quasi tutti i Paesi occidentali, capeggiati dagli Stati Uniti. Certo, la repressione violenta è sempre condannabile, ma la cosa che fa riflettere è che questo biasimo arrivi da paesi come l’Italia, il cui passato nasconde qualche scheletro in fatto di repressione da parte delle forze dell’ordine.

Un altro aspetto da sottolineare è che le prime due vittime, Bassil Da Costa, studente di 24 anni, e Juan Montoja, sono stati uccisi dalla stessa pistola di un militare in borghese, fatto che ricorda tanto il tentato colpo di stato del 2002. Inoltre, alcune delle morti avvenute durante le proteste sono attribuibili a militanti di cui non è chiaro lo schieramento, la cui identità viene politicamente manipolata a uso propagandistico sia dall’opposizione che dal governo. C’è di certo che molte delle morti attribuite alla sanguinosa repressione del governo dai media mainstream ( primo fra tutti El Pais, di cui si ricordano i legami con l’alta borghesia venezuelana) siano invece state causate dalla presenza delle barricate poste dalle forze di opposizione, consistenti spesso in un filo spinato teso tra due pali con l’obiettivo di ferire o uccidere.

Secondo alcune fonti statali, quel famoso 12 febbraio il premier Maduro avrebbe dato ordine agli uomini della Sebin (Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional) di rimanere in caserma, ma alcuni appartenenti ai servizi segreti si sono comunque recati alla manifestazione. Qualche giorno dopo, il capo della Sebin è stato arrestato. Nonostante ciò, rispetto al 2002, oggi l’esercito è in buon parte fedele al governo, e questo rende improbabile la riuscita di un colpo di stato.

Infine, l’analisi di queste proteste dovrebbe concentrarsi non solo sulle cause economica, sull’elevato tasso di criminalità  e sulla grave carenza di generi di primaria necessità, ma anche sulla matrice classista delle medesime. Se si prende in considerazione, infatti, il ruolo istituzionale degli edifici assaltati, risulterà evidente come siano stati presi di mira quei luoghi che garantiscono i programmi sociali del governo, alla base della riforma bolivariana: dall’ufficio del ministero dell’Ambiente alla sede della tv pubblica, dalla Mision Mercal (ente alla base dei programmi sociali che si occupa di distribuire cibo alle fasce più povere della società) alle cliniche ospedaliere, scandendo lo slogan  “Fuori i medici cubani” (secondo un accordo con Cuba è previsto uno scambio di medici con provvigioni di petrolio).

È evidente che qualcosa in Venezuela non stia funzionando. Le file per il pane, il latte e l’olio, l’inflazione al 57% (la più alta di tutta l’America Latina) e i problemi strutturali che minano la fornitura di acqua ed energia elettrica stanno mettendo a dura prova la pazienza dei venezuelani. Il governo denuncia un sabotaggio economico congiunto dall’opposizione, dal mondo imprenditoriale e dagli Stati Uniti, ma si dovrebbe concentrare di più sulla gestione delle proprie risorse naturali, prima tra tutte il petrolio, la cui distribuzione dei proventi a livello sociale non fa che aumentare il tasso di inflazione.

Ed è proprio questo uno dei più grandi paradossi del Venezuela: essere un dei più grandi produttori di petrolio al mondo con la volontà di non piegarsi al sistema capitalista. Paradosso che genera una devastante crisi economica con conseguente fuga di capitali e che sta spingendo sempre più il Venezuela a scegliere tra continuare a essere un’isola socialista o entrare nell’oceano liberista.




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