Italia, giorni nostri. Gemma (Penélope Cruz), sposata con Giuliano (Sergio Castellitto) e madre di un figlio sedicenne, Pietro (Pietro Castellitto), riceve una telefonata dall’amico di vecchia data Gojko (Hadnan Askovic), poeta bosniaco, il quale le dà notizia di una mostra fotografica che si terrà a Sarajevo, dedicata alle vittime della Guerra dei Balcani, dove verranno esposte anche le foto scattate al tempo da Diego (Emile Hirsch), un fotografo che la donna aveva conosciuto e sposato anni prima. Partita insieme al ragazzo, Gemma rivivrà in quei luoghi sia i ricordi gioiosi della sua giovinezza, sia il dolore sofferto a causa delle difficoltà ad avere figli, un patimento personale che era confluito, facendosi speculare, nella tragedia assurda della guerra civile, coinvolgendo i destini di più individui …
Penélope Cruz ed Emile Hirsch
Giunto alla sua quarta regia (l’esordio risale al ’99, Libero burro), Sergio Castellitto con Venuto al mondo, secondo film tratto da un romanzo della moglie, la scrittrice Margaret Mazzantini, dopo Non ti muovere, 2004, si dimostra regista sicuro, attento alla forma e a non calcare eccessivamente la mano sulla facile affettazione nel visualizzare una storia complessa, intrisa di forti tematiche quali l’amore, il desiderio di maternità (e paternità), l’amicizia, sullo sfondo della guerra e del bieco meccanismo che le è proprio, azzeratore di ogni sentimento e della pietas umana. La linea guida prescelta è quella propria del melodramma, con una costruzione impostata su un parallelismo temporale che si sviluppa su tre piani diversi (2009/1984/1992), confluenti tra loro.Penélope Cruz e Pietro Castellitto
La mia sensazione è stata che in fase di sceneggiatura (Mazzantini e Castellitto) si siano scontrate due opposte necessità, poi divenute paritetiche, scremare il più possibile e non tralasciare nulla dell’opera d’origine. Da qui al conseguente procedere per accumulo il passo è breve ed egualmente deve dirsi riguardo la caduta in tentazione di spiegare scena dopo scena le varie vicende, quasi delle lunghe didascalie apposte al film, o il dare spazio a picchi recitativi a volte sin troppo esagitati nel cercare d’ovviare a momenti statici, ricorrendo ad un uso della musica non propriamente consono al girato, anche se la forza vera e propria della pellicola è costituita senz’altro dalla storia in sé, unita alle buone interpretazioni attoriali.Saadet Isil Aksoy ed Emile Hirsch
Risalta in particolare la prova di Penélope Cruz, capace d’esprimersi efficacemente con una semplice espressione o uno sguardo, un gesto, mentre Hirsch mi è parso un po’ sopra le canoniche righe nel delineare i tratti salienti di Diego, tra candore, voli pindarici e brusca presa di contatto con il reale. Ben resa, poi, la caratterizzazione del padre di Gemma da parte di Luca De Filippo, così come quella di Saadet Isil Aksoy /Aska, in apparenza sottotono ma entrambe piuttosto vigorose, mentre la recitazione di Castellitto junior e Askovic mi è parsa troppo impostata sul teatrale, stile che d’altronde il regista asseconda spesso nella prevalenza dei dialoghi sulle immagini, riuscendo, parlo come personale impressione, ad emozionare e a creare una vera e propria empatia soprattutto nel quarto d’ora finale.Sergio e Pietro Castellitto
Quando, infatti, conosceremo, insieme a Gemma, la verità su come Pietro sia venuto al mondo, lo stile si fa più agile, meno pedante, poche e “svelte” inquadrature fanno sì che l’emozione finalmente ti prenda di pancia e non più soltanto di testa, arrivando ad una sorta di fraterno coinvolgimento con i personaggi, dal tono profondamente umano e conciliante. Protagonista diviene la capacità di superare qualsiasi barriera o conflitto, nella piena accettazione di sé e dell’altro, inteso come “prossimo” e proiezione del proprio io, condividendo ideali quali amore e libertà, nel valore fondante della diversità propria di ogni individuo. Se Castellitto avesse optato per una maggiore “pulizia” sin dall’inizio, evitando le suddette ridondanze, Venuto al mondo sarebbe stata un’opera più compiuta e definita nella sua caratterizzazione e non solo un’onesta trasposizione, da salutare comunque tra le benvenute, felici, eccezioni nel desolante e spesso asfittico panorama filmico italiano.