Asilo, sost. m.
Questa è una parola con una storia molto antica alle spalle. L’aggettivo greco asylon indicava quel luogo, solitamente un tempio – ieròn, in greco antico – o uno spazio comunque sacro, dove non c’era diritto di cattura, che in greco si dice appunto syle.
Quindi per gli antichi – e questo significato è passato nelle lingue moderne – l’asilo è l’immunità – una parola che in questi giorni torna in maniera ricorrente in Verba volant – concessa a chi, fosse uno schiavo fuggitivo o un delinquente o un prigioniero di guerra, si rifugiava in un luogo sacro. Come noto il diritto di asilo è la garanzia di inviolabilità accordata a stranieri rifugiati, per motivi politici, in territorio estero o in sedi che godono della extraterritorialità.
Partendo da questo significato, con la parola asilo si è cominciato ad indicare l’edificio destinato a ospitare, temporaneamente o permanentemente, speciali categorie di persone bisognose di ricovero, sorveglianza o assistenza.
E infine, in un caso particolare - oggetto della mia definizione di oggi – la stessa istituzione destinata alla tutela e all’assistenza di queste persone: penso in particolare – come probabilmente avrete già capito – all’asilo nido.
Probabilmente la prima struttura a chiamarsi così nel nostro paese è stato l’“asilo di carità per l’infanzia”, aperto dall’abate Ferrante Aporti a Cremona nel 1828. Quasi contemporanea è l’apertura di alcuni “presepi”, ad esempio quello in funzione dal 1842 per i figli degli operai delle cartiere Cini a San Marcello, vicino a Pistoia. Il termine presepe – che non prese piede nel nostro paese – corrisponde al termine francese crèche, che è il nome con cui viene ancora oggi chiamato l’asilo nido in Francia.
Nel 1850 a Milano viene fondato il primo “ricovero per lattanti”, ma anche in questo caso il termine non è riuscito a sfondare e infatti la parola ricovero è rimasta a indicare le strutture per ospitare gli anziani, all’altro capo della vita. Comunque già nei primissimi anni del Novecento le strutture dedicate all’infanzia hanno definitivamente cominciato a chiamarsi asili nido, nome che è rimasto tuttora a indicare questa istituzione, anche se ormai prevale, specialmente nel linguaggio familiare, il termine nido.
Ho fatto questo lungo excursus perché ho letto, seppur distrattamente, che il Comune di Bologna ha deciso di far nascere l’istituzione degli asili nido e delle scuole dell’infanzia, a cui “trasferirà” a breve tutti i servizi all’infanzia – nidi e scuole materne comunali – che ora fanno capo direttamente al Comune.
La cosa ha creato una qualche animazione nella morta gora della politica cittadina e perfino una qualche fibrillazione nella maggioranza. Di questo ovviamente mi importa assai poco. Ho una pessima opinione dell’attuale amministrazione della mia ex-città, la cui unica fortuna è quella di avere come pietra di paragone l’indifendibile amministrazione Delbono.
Confesso che non ho letto abbastanza per farmi un’opinione precisa sull’argomento. Ho l’impressione che sia un escamotage per rendere più “leggero” il bilancio del Comune, stretto dai vincoli imposti dai vari governi Napolitano che si sono succeduti in questi anni, i più centralisti dall’epoca di Bonaparte. In questo caso si tratta di un trucchetto degno del più ciarlatano degli imbroglioni da fiera, visto che alla fine i costi rimarranno sempre a carico della collettività. Qualcosa del genere hanno fatto gli amministratori di Parma che, per eludere i vincoli del patto di stabilità, hanno creato una serie di società partecipate che, sfuggite al controllo, hanno portato al fallimento di fatto del Comune qui nella città ducale. Immagino che Merola ci spiegherà che si tratta di un modo per rendere più efficiente e meno costoso il servizio; sarà, in fondo, concittadini, Virginio è un uomo d’onore.
C’è una cosa però che nella discussione di queste settimane non mi ha proprio convinto. Mi pare che sia stata tutta incentrata nel merito di questioni di carattere sindacale. Ci si è confrontati per lo più sul tema se l’istituzione avrebbe favorito o danneggiato i lavoratori – per lo più lavoratrici, a dire la verità – di quelle strutture. Il Comune spiega – e in questo gli posso anche credere – che si tratta dell’unico modo normativo per rendere stabili i contratti a termine dei lavoratori precari, mentre una parte dei lavoratori dicono che questo toglierà loro alcuni diritti, che – bisogna ammetterlo – in alcuni casi sono privilegi rispetto alla condizione di altri lavoratori. Ho visto che la Cgil ha tentato di barcamenarsi come al solito tra queste due posizioni, con discorsi molto realisti – come quello dell’ex segretario della Camera del lavoro Danilo Gruppi – che condivido. Nelle condizioni date, poter salvaguardare dei posti di lavoro è già un risultato fondamentale.
Molti anni fa, alla fine del secolo scorso, mi sono occupato un po’ di servizi all’infanzia, facendo l’assessore nel mio piccolo Comune, e so bene che la qualità di un asilo nido è legata essenzialmente alle capacità di chi
Ricordo che in quegi anni lì - e anche prima – una “nostra” battaglia era quella di trasferire le competenze sugli asili nido dal ministero che si occupava dei servizi sociali a quello della pubblica istruzione, proprio perché volevamo sottolineare che consideravamo l’asilo nido una scuola a tutti gli effetti e le “dade” vere e proprie insegnanti. Francamente mi pare che questo sia un obiettivo molto sbiadito, che si sia perso nell’affannosa ricerca di far tornare i conti. Adesso il primo obiettivo è quello di far quadrare i bilanci e, in subordine, quello di offrire servizi di qualità. E proprio in nome della compatibilità economica abbiamo rinunciato alla gestione diretta dei servizi, li abbiamo appaltati, quasi sempre al massimo ribasso, abbiamo esternalizzato, privatizzato, in pratica abbiamo rinunciato a svolgere questo ruolo educativo che per me rimane essenziale e di cui credo che le bambine e i bambini abbiano bisogno.
Lottiamo allora per il diritto di asilo. Nido.