Giusto, agg.
In questi giorni Benjamin Netanyahu ha detto che la guerra di Israele contro Hamas è giusta. Da un certo punto di vista mi auguro che sia sincero, che ci creda davvero, perché se avesse scatenato quel conflitto solo per ragioni politiche o economiche o peggio elettorali, sarebbe il segno che non c’è limite alla malvagità umana. Ma per un altro verso spero stia mentendo, che sappia anche lui che quella guerra non è giusta, in questo caso infatti sarebbe probabilmente più facile fare la pace. Con un malvagio che si muove solo in base al proprio interesse, al proprio tornaconto, è più semplice trovare un accordo che con un onesto fanatico. Comunque sia, anche per Hamas la guerra contro Israele è giusta, anzi è addirittura santa. In fondo, da sempre, ognuno pensa che la propria guerra sia giusta.
Noi facciamo fatica ormai a considerare giusta una guerra, qualsiasi guerra; probabilmente anche chi è più vicino alle posizioni di Israele, chi giustifica le scelte di quel governo, in base al diritto di quel popolo di difendersi e di tutelare la propria sicurezza, non è disposto a sottoscrivere con la stessa enfasi le parole di Netanyahu.
Per la nostra sensibilità la guerra è ingiusta, sempre, anche perché abbiamo avuto la fortuna di nascere e di crescere in paesi che da decenni non conoscono un conflitto. E noi personalmente non abbiamo conosciuto la guerra, un’esperienza che invece ha toccato, drammaticamente e profondamente, i nostri genitori, i nostri nonni prima di loro e tutti i nostri avi. Noi siamo la prima generazione senza guerra.
Eppure anche noi siamo stati educati nel mito di una guerra giusta, che effettivamente è stata tale. La seconda Guerra mondiale è stata combattuta contro i fascismi e noi abbiamo imparato a credere nella bontà di quel conflitto, sia vedendo i film americani sia ascoltando le storie dei partigiani. Io non ho alcun dubbio che quella guerra sia stata giusta, non so se avrei avuto allora il coraggio di combatterla, ma quella era una guerra che bisognava fare. L’ultima guerra di cui si può dire questo.
La nostra Repubblica nasce da quella guerra, la nostra Costituzione - per cui in questi giorni siamo preoccupati e che vorremmo difendere contro gli attacchi scomposti ed eversivi che le arrivano da tante parti – è nata da quella guerra. Eppure in quella stessa Costituzione si dice che l’Italia “ripudia” la guerra. Questo verbo non è stato scelto a caso dai Padri – e dalle Madri – Costituenti: nella nostra lingua è più forte di rifiutare o condannare. C’è una sorta di contraddizione etimologica nell’art. 11, perché nel verbo ripudiare c’è la radice del termine latino pes, pedis, intendendo quindi che la cosa ripudiata è allontanata, respinta con i piedi, con un calcio. Si deve usare una parola che ha una radice di violenza, anche fisica, per indicare il nostro rifiuto totale della violenza della guerra.
Non è facile spiegare come siamo arrivati fin qui, come siamo arrivati alla scelta di quel verbo ripudiare, come siamo arrivati in sostanza all’idea che la guerra non può essere mai giusta. Non bastano a giustificare questo mutamento gli orrori del conflitto, il numero delle vittime, anche civili, la tragedia della Shoa, che pure è un elemento che ha inciso in maniera profonda nelle nostre coscienze.
Anche durante la prima Guerra mondiale le vittime civili raggiunsero un numero incalcolabile, le “nuove” armi provocarono morti e distruzioni fino ad allora impensabili - la Grande guerra è stato un conflitto completamente diverso da quelli dei secoli passati – eppure pochi anni dopo la prima c’è stata la seconda Guerra mondiale, perché l’orrore non è stato sufficiente e, a parte i sogni di alcuni utopisti, la pace non è riuscita a diventare un valore.
C’è una battuta illuminante scritta da Karl Kraus ne Gli ultimi giorni dell’umanità.
Quando uno dei suoi personaggi, l’Ottimista, comincia a dire
I popoli impareranno dalla guerra…
il Criticone lo interrompe:
… a non dimenticare di farla di nuovo.
Alla fine della seconda Guerra mondiale le cose sono cambiate. Io credo fondamentalmente per una ragione. Perché quella guerra, giusta – santa, se mai una ce n’è stata una da meritarsi un tale aggettivo – è stata conclusa con qualcosa di profondamente ingiusto, le bombe su Hiroshima e Nagasaki. Quei due ordigni hanno dimostrato, una volte per tutte, che il sostantivo guerra e l’aggettivo giusta non possono più essere legati.
Tra l’altro questo richiama alla storia etimologica di questo aggettivo, in cui si riconosce la radice indoeuropea yu, che significa appunto legare; è la stessa ad esempio che si ritrova nella parola giogo. Perché lo jus, la giustizia, è ciò che unisce gli uomini. E la guerra è ciò che li divide.