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Ogni parola, prima di essere pronunciata, dovrebbe passare da tre porte. Sull’arco della prima porta dovrebbe esserci scritto: È vera? Sulla seconda campeggiare la domanda: È necessaria? Sulla terza essere scolpita l’ultima richiesta: È gentile?
Questo a coronamento di un pomeriggio passato a cincischiare (ché ogni tanto è bello) e anche in tono con le mie ultime letture dedicate alla scrittura. Perché anche in questo caso bisognerebbe chiedersi: ciò che sto per dire è vero? è necessario? è gentile? Semplice e illuminante, eppure a volte così difficile. Non che uno lo faccia di proposito eh, ma è interessante: siamo subbissati di informazioni e sembra sempre che tutti abbiano qualcosa da dire, ma quanto di questo tsunami di parole è vero, necessario, e gentile?
Pensavo al fatto che, si stia scrivendo un articolo scientifico, il bugiardino delle medicine, un'inchiesta sull'immigrazione o l'etichetta per uno shampoo, questa regola vale sempre. Vale come dichiarazione di intenti e manifesto di onestà intellettuale, ma anche come regola-base di scrittura credo, e porta con sé un altro elemento importante: il saper scrivere breve, che non significa necessariamente dire tutto in tre righe, ma dire solo ciò che serve, e dirlo in modo limpido.
E qui faccio outing perché quella della necessità di ciò che si esprime è una cosa su cui rifletto di tanto in tanto perché la ritrovo non solo nella scrittura, ma anche nella danza per esempio. Anche quando componi una coreografia ogni singolo movimento, ogni gesto deve nascere da una tua necessità espressiva, è quello che rimane quando levi via tutti i fronzoli e l'autocompiacimento, spolverando a un certo punto troverai un nucleo, un puntino minuscolo del peso di qualche tonnellata in cui è racchiuso il vero senso di ciò che stai facendo e il perché. Se invece non trovi più nulla vuol dire che non era importante.
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