Mai biglietto fu più terribile, mai silenzio fu più assordante. Sì, perché la mano dalla bella grafia che calcò nero su bianco queste parole era quella di Cesare Pavese. Un poeta, uno scrittore, un narratore, un egregio traduttore che se ne andava così, come una piuma che cadendo genera un rumore insopportabile.
Anche nel dire addio era poetico, come se l’arte fosse connaturata in lui, scritta nel suo DNA; del resto, quando un’attitudine è tua, lo è per sempre.
Quando il padrone dell’albergo Roma decise di sfondare la porta di quel cliente un po’ stralunato, dagli occhi tristi, che sembrava non volerne sapere dei colpi incessanti all’uscio, si trovò davanti un letto sfatto, una bustina di compresse di lato e sopra, vestito, Cesare Pavese. La prima pagina ingiallita de I dialoghi con Leucò è sul tavolino, testamento e testimonianza della morte prematura di un uomo infelice. All’interno un foglio con tre frasi, tra cui quella più veritiera, più emblematica: “Ho cercato me stesso”.
Cesare Pavese con Constance Dowling
In preda ad un profondo disagio esistenziale, Pavese non resse all’ultima, grande delusione della sua vita: la fine dell’amore con Constance Dowling.
E di quel 1960 di cui non riuscirà a vedere gli ultimi giorni, porterà per sempre –e noi con lui- un ricordo straziante.
Le sorelle Dowling erano giunte a Roma per tentare fortuna nel cinema italiano. Doris, la più piccola, aveva recitato in “Riso Amaro”accanto a Silvana Mangano e Constance si preparava a seguire le sue orme. Dal canto suo, Cesare Pavese si era recato nella capitale (“un crocchio di giovanotti che attendono per farsi lustrare le scarpe”) nel 1949 e qui, nel salotto di un amico, conobbe la bella attrice. Se ne innamorò ma, deluso da Roma e dal suo ambiente, scelse di tornare a Torino. Eppure Constance, con la sua chioma bionda e la sua voce, era impossibile da dimenticare. Caso (o civetteria) vuole che l’americana tutta occhi e sensualità poco tempo dopo decise di passare per il capoluogo piemontese e, rivisto Cesare, lo illuse di nuovo, convincendolo a seguirlo a Cervinia dove lui cadde in preda a un delirio d’amore. “Il passo è stato terribile, eppure è fatto. Incredibile dolcezza di lei, parole di speranza, le notti di Cervinia, le notti di Torino, è una ragazza, una normale ragazza, eppure è lei, terribile! Dal profondo del cuore non meritavo tanto”: questo annotava nel suo diario lo scrittore, senza sapere che la sua musa (le dedicherà infatti La luna e i falò, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi e s’ispirerà a lei e a Doris per Le due sorelle) aveva una relazione con Andrea Checchi.
Dedica a Constance Dowling de La luna e i falò
Constance inoltre era mutevole, e l’Italia non poteva certo soddisfarla. Hollywood era tornato ad essere una Terra Promessa e, sedotta dal miraggio della celebrità più che dall’amore, lasciò Cesare per tornare in America. Inutile dire che lo scrittore rimase amareggiato e deluso; come biglietto d’addio le inviò la dedica de La luna e i falò («For C. - Ripeness in all») sperando sempre nel suo ritorno che non si realizzò mai. Le scrisse: “Carissima, non tornerai più a me, anche se rimetterai piede in Italia. Entrambi abbiamo qualcosa da fare nella vita, che rende improbabile che c’incontriamo di nuovo. Manco a parlarne di sposarti, come ho disperatamente sperato, ma la felicità è qualcosa che si chiama Jo, Harry o John, non Cesare.”
Sapeva, ormai, di averla davvero perduta per sempre.
A nulla valse la consolazione del Premio Strega vinto nel 1950 per La bella estate.
Cesare Pavese vince il Premio Strega
Ad accompagnarlo in quell’occasione fu Doris Dowling, sorella di Constance e di certo ricordo d’amore per lui, sempre più depresso dopo che, in un estremo tentativo, aveva chiesto all'amata di sposarlo. “Durerà al massimo due anni, lo so. Due anni in più da vivere” aveva confidato ad un amico, forse sapendo già che la risposta di lei sarebbe stata negativa. Difatti la fine del castello d’illusioni arrivò presto (“Ci siamo, tutto ora crolla”) e lui, quasi profetico, ebbe a dire che “Non ci si uccide per amore di una donna, ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla”.Come andò lo sappiamo, la vicenda dell’albergo Roma (forse scelto perché, nel nome, gli ricordava il luogo del primo incontro), i colpi forsennati alla porta, i sonniferi e il biglietto, è tutto raccontato all’inizio di questo breve e certo limitato resoconto.
Ma quello che più colpisce di questa storia è la grande drammaticità, il dolore estremo che seppe trasformarsi, anche nella tragedia, in arte pura.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è un disperato canto d’amore ma, prima ancora, è paradigma dell’esistenza del poeta; l’insistenza dei verbi al futuro, infatti, mostra come per lui l’esperienza dell’amore sia impossibile nel presente, nel SUO presente.
Tutto è morte, è nulla che sostituisce la “cara speranza” di una vita felice vissuta accanto a colei che si ama. Il poeta allora attende la morte, estrema liberazione da una vita senza amore, che lo porterà lontano incarnandosi negli occhi di lei. Occhi disperati e soli che, neanche a dirlo, non fanno altro che riflettere quello che Pavese prova e che, in fondo, è ciò da cui loro lo hanno privato.Ecco allora che, per terminare questo scritto, mi appresto a riportare i versi di questa poesia, per osservare e non dimenticare mai che grande uomo (nel senso proprio di umano, prima di tutto) fu Cesare Pavese:
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi –questa morte che ci accompagnadal mattino alla sera, insonne,
L'addio di Cesare Pavese
sorda, come un vecchio rimorsoo un vizio assurdo. I tuoi occhisaranno una vana parola,un grido taciuto, un silenzio.Così li vedi ogni mattinaquando su te sola ti pieghinello specchio. O cara speranza,quel giorno sapremo anche noiche sei la vita e sei il nulla.Per tutti la morte ha uno sguardo.Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.Sarà come smettere un vizio,come vedere nello specchioriemergere un viso morto,come ascoltare un labbro chiuso.Scenderemo nel gorgo muti.
Cesare Pavese 22 marzo 1950Articolo originale di Sentieri letterari. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore. I contenuti sono distribuiti sotto licenza Creative Commons.