Un vecchio blocco di potere entrato in crisi. Un candidato a sinistra
che rischia di togliere voti decisivi. La destra unita. La forza di 5Stelle. Ecco dove il Pd di Renzi si gioca buona parte del suo futuro (l'Espresso del 22 Maggio)
"Piacere, sono un masochista...", si avvicina Vito, un anziano iscritto all'associazione nazionale partigiani. «Mi iscrissi da giovane al Pci perché non volevo morire democristiano. E mi ritrovo nel Pd che è molto peggio della Dc». Moneglia, 2800 abitanti, ultimo comune della provincia di Genova a Levante, accessibile solo attraverso una catena di strette gallerie grazie a un semaforo che dà il segnale di via libera ogni mezz'ora. Luca Pastorino, deputato e sindaco di Bogliasco, candidato presidente di regione fuoriuscito dal Pd, il volto locale della sinistra masochista che ama perdere, come la definisce Matteo Renzi, si aggira qui alle sei del pomeriggio con un pacco di volantini in mano, si accende una sigaretta dopo l'altra, incontra un gruppo di turisti tedeschi e un paio di cani, entra nel Caffè Hemingway, all'ingresso la scritta «conta solo vincere, tutto il resto è noia», ai tavoli nessuno, «un po' smorto, in effetti», commenta il candidato, si accende un'altra sigaretta. Ad attenderlo per cena c'è il cittadino d'adozione più illustre del borgo, l'europarlamentare ex segretario della Cgil Sergio Cofferati, qui ha una casetta sul mare. Il leader storico, dopo aver perduto le primarie del centrosinistra, ha lasciato il Pd e ha scatenato il terremoto che dalla Liguria dopo il voto del 31 maggio potrebbe estendersi a Roma.
«Renzi dice che siamo la sinistra che si fa del male da sola?», finge di stupirsi il Cinese. «Il masochista è lui».
In Liguria, a Genova con i suoi svincoli micidiali come cantava Francesco De Gregori, si gioca la partita nazionale più importante delle elezioni regionali. L'Ohio per Renzi, dove si vince o si perde, in una regione in cui il Pd corre da solo, senza alleati, modello Italicum. La Scozia per Pippo Civati, Cofferati, Pastorino, la terra da cui far ripartire la sinistra fuori dal Pd. L'occasione del risultato in trasferta per la destra guidata dal coordinatore di Forza Italia Giovanni Toti, unita (unico caso in Italia) dai berlusconiani all'Ncd di Angelino Alfano passando per la Lega di Matteo Salvini. Il sogno di vincere in casa per il genovese Beppe Grillo con il Movimento 5 Stelle e la candidata Alice Salvatore.«Genova comunista, bocciofila, tempista» di Giorgio Caproni è divisa, lacerata, di cattivo umore. Per il Pd poteva essere una passeggiata, nell'ultima settimana si è trasformata in uno psicodramma, un combattimento voto per voto, sullo sfondo di un elettorato distratto. La tensione è stampata sul viso di Raffaella Paita detta Lella, 40 anni, spezzina, la candidata del Pd. Perfezionista, maniaca di numeri e cifre, un fil di ferro. Dicono che abbia perso quindici chili da quando si è candidata. «Sono stanca», ammette lei. Ha battuto Cofferati alle primarie, ma oggi si trova a fronteggiare nemici più potenti dell'oggetto misterioso Pastorino contro cui invoca il voto utile («chi sceglie lui fa un regalo alla destra») e del simpaticone Toti, «uno che in Liguria viene solo per prendere il sole a Bocca di Magra».
Il primo nemico si chiama continuità. E ha un nome e cognome: Claudio Burlando, il presidente uscente, da oltre vent'anni padre padrone del Pds-Ds-Pd ligure, rinchiuso nel bunker della regione dopo essere stato ministro a 42 anni, nel 1996, con Romano Prodi. Il capo del Bloccone: la coalizione trasversale di partito, sindacato, Finmeccanica, Fincantieri, autorità portuale, camera di commercio, Curia, Banca Carige che da due decenni comandava in città e regione e impediva ogni cambiamento. Il Bloccone controllava, nominava, gestiva il credito e le carriere. Ed è arrivato al capolinea, con la rovinosa caduta del presidente della Carige Giovanni Berneschi e i guai dei due Claudii: giudiziari quelli di Claudio Scajola sul lato Forza Italia, politici quelli di Claudio Burlando a sinistra, lo sciogliete le righe del vecchio partito tra inimicizie e odi intramontabili.
Sulla Paita si abbatte la doppia accusa degli avversari, di essere una renziana convertita che vuole svendere la storia della sinistra e al tempo stesso di aver svolto tutta la sua carriera all'ombra di Burlando. Il nuovo e il vecchio, insieme. Lella si difende come può. Invoca la novità, ma è stata assessore comunale, capogruppo in regione, assessore delle ultime giunte Burlando. Rovescia su Pastorino il sospetto di essere estraneo alla sinistra. «Io ero iscritta alla Fgci e andavo alle feste dell'Unità, lui non l'ho mai visto». Il marito è l'ex assessore della Margherita Luigi Merlo, «unico esperimento di Pd riuscito in Liguria», dicono, presidente dell'autorità portuale di Genova, dimissionario per evitare conflitti di interessi familiari. La coppia nel Bloccone è cresciuta e ha prosperato, ma ora la Paita è chiamata a smobilitarlo.
Il secondo nemico invisibile che perseguita la Paita si chiama Bisagno. Il torrente appare come un pigro serpente d'acqua adagiato nel ventre dei quartieri popolari, Marassi, San Fruttuoso, nella notte tra il 9 e il 10 ottobre 2014 è tornato a devastare e a uccidere, tra polemiche infinite sul mancato allarme e sui soldi per i lavori di messa in sicurezza mai spesi. Assessore alla protezione civile, in carica da tre mesi, era la Paita, da poco indagata per concorso in omicidio colposo e disastro colposo. «Per me è una vicenda gonfia di dolore», si accalora la candidata in un'assemblea davanti ai cittadini della valle. E giura che se il Bisagno non sarà risanato con i 379 milioni stanziati dal governo Renzi entro il 2020 lei non si ricandiderà. Sempre che vinca il 31 maggio, si intende.
L'ultimo nemico, il più pericoloso, si chiama rancore, qualcosa di più profondo della rabbia. Pronto a manifestarsi negli scontri tra i candidati. Nella disillusione dell'elettorato più tradizionale: le piazze dei comizi sono semi-deserte, perfino quello della Paita al centro della sua città La Spezia non è stato affollatissimo, le assemblee del Pd si concludono in un rosario di rivendicazioni e a volte di lacrime. Nel disimpegno della società civile: venti anni di burlandismo e di scajolismo hanno raso al suolo quel poco di buona borghesia disposta a impegnarsi per il pubblico.
Gli avversari rincorrono, senza affaticarsi troppo. «È la volta buona», grida al megafono Giovanni Toti in piazza Sant'Agostino nel cuore di La Spezia, e pazienza se è lo slogan di Renzi. Saltella all'ora dell'aperitivo da un gazebo all'altro, felice come l'orso Baloo, in ritirata soltanto quando una signora lo insegue con due cuscini da consegnare ad Arcore con le scritte Dudù e Dudina. «Li devi portare a Berlusconi. Li ho cuciti io con le mie mani!». Toti ha la possibilità di dimostrare che il centro-destra unito è competitivo con il Pd renziano. Salvini accettò di far ritirare il suo candidato Edoardo Rixi perché considerava la partita persa ed era meglio per lui che lo sconfitto fosse un dirigente nazionale di Forza Italia. Calcolo che potrebbe rivelarsi sbagliato, grazie alle divisioni a sinistra: se Toti dovesse vincere la Liguria diventerebbe un laboratorio nazionale del centrodestra alternativo a quello del Veneto guidato dalla Lega.
C'è chi prevede una vittoria dimezzata della Paita, al primo posto ma senza numeri per governare, costretta alle larghe intese con un pezzo di destra o con i ribelli della sinistra. Per questo la competizione è destinata a riscaldarsi negli ultimi giorni. Tra Palazzo Chigi e la candidata del Pd la comunicazione via WhatsApp è ininterrotta. L'ordine da Roma è: politicizzare. Renzi sa che se perde la Paita con un'emorragia di voti a sinistra sarebbe la prima sconfitta anche per lui e si prepara a tornare in Liguria per l'ultimo tour elettorale. E c'è chi guarda con timore verso piazza Martinez, nel quartiere San Fruttuoso, dove al bar Cucciolo mosse i primi passi Beppe Grillo. Lì, da quelle parti, Grillo fu contestato dopo l'alluvione dai genovesi, il Bisagno è un incubo anche per lui. Ma i voti per 5 Stelle sono in crescita, la candidata Salvatore è agguerrita. E la vecchia Liguria potrebbe anticipare il futuro della politica nazionale.
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