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Vi aspettavo, di Antonella Mascali

Creato il 01 giugno 2014 da Funicelli
Vi aspettavo, di Antonella Mascali Le ultime parole di chi ha sacrificato la propria vita per tutti noi Dalla prefazione di Gian Carlo Caselli:
L’elenco delle vittime della violenza omicidiaria terroristica o mafiosa, in Italia, è purtroppo sterminato. In questo libro – bello nella sua tragica cupezza – Antonella Mascali ne rievoca molte sull’uno e sull’altro versante, dedicando a ciascuna un lucido e preciso commento, intrecciato con citazioni – anche inedite o poco conosciute – di interventi degli stessi protagonisti, spesso struggenti perché testimoniano la consapevolezza dei rischi incombenti che si sarebbero poi concretizzati in un attentato mortale. Le fasce professionali e sociali cui appartenevano le vittime sono le più diverse: preti, magistrati, giornalisti, forze dell’ordine, esponenti della società civile, amministratori e politici onesti. La scia di sangue che unisce quasi tutte le persone colpite qui ricordate dalla Mascali è segnata dalla loro solitudine, con conseguente «logica» e ineluttabile sovraesposizione alla rappresaglia criminale. 

Me l'aspettavo” sono le ultime parole pronunciate da don Pino Puglisi, rivolto ai suoi killer la sera del suo ultimo compleanno, il 15 settembre 1993. Ucciso per la sua opera pastorale nel quartiere di Brancaccio che dava così fastidio alla mafia, ai fratelli Graviano (quelli di Milano, quelli delle bombe del 1992- 1993). Sono parole che colpirono il suo assassino, Salvatore Grigoli, che poi arriverà a percorrere la via del pentimento, e forse è questo l'ultimo miracolo del prete di Brancaccio.
Don Pino Puglisi, come don Peppe Diana e gli altri protagonisti di questo lungo saggio di Antonella Mascali si aspettavano la morte. Chi per mano di un killer mafioso (come Dalla Chiesa, Ambrosoli, Borsellino e Falcone, i poliziotti Montana e Antiochia), chi per mano del terrorismo, rosso o nero (i giudici Amato e Galli, il giornalista Tobagi ..). 
Uno, Liguori, della polizia ambientale di Acerra, ucciso pure in modo ancora più subdolo: per via di un tumore contratto andando a monitorare i terreni su cui la Camorra (con la complicità delle istituzioni) aveva sversato per anni rifiuti industriali. Sapevano che il loro lavoro, il modo onesto e retto con cui stavano portando avanti il loro lavoro, nelle aulee dei tribunali, nella strada, nelle Questure (i poliziotti Beppe Montana, Roberto Antiochia), in un giornale (come Tobagi, Siani, Fava), alla radio (Peppino Impastato), in una tv locale (Mauro Rostagno), dentro una banca (l'eroe borghese Giorgio Ambrosoli), dentro una fabbrica (come Guido Rossa o Libero Grassi), nei consigli comunali, in regione, in Parlamento (Renata Forte, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Aldo Moro, Marcello Torre) o nelle aule di una università (come Galli e Bachelet) poteva costare loro la vita.
Si sono sacrificati per noi, le persone di cui parla in questo libro la giornalista Mascali: si sono sacrificati per consegnarci un paese migliore, più civile, più democratico, con meno soprusi, violenza, inciviltà.
Ma le loro vite non sono storie solo di sacrifici: sono storie anche di battaglie solitarie, lasciati soli dai colleghi, paurosi o vili come don Abbondio.
Lasciati soli dalle istituzioni che pure rappresentavano. Solitudine che in alcuni casi è anche sintomo di complicità, per queste morti: poteva la mafia da sola decidere di uccidere il superprefetto Dalla Chiesa, a soli 100 giorni dal suo insediamento a Palermo?
Poteva la Camorra trasformare parte della Campania una bomba atomica, per i rifiuti, senza il silenzio e la complicità di sindaci e assessori? Sindaci e assessori che negarono aiuti e rinforzi a Michele Liguori, ad Acerra.
Quali convergenze di interessi hanno armato la mafia degli assassini di Falcone e Borsellino? Solo la mafia o anche altri interessi, dentro la parte malata del nostro stato, dei nostri partiti, dei nostri rappresentanti, legati alla trattativa stato mafia?
Che prima, da vivi, li ha attaccati, calunniati, per poi trasformarli da eroi, post mortem.
A chi davano fastidio le inchieste di Rostagno a Trapani? Solo ai mafiosi o anche alle logge coperte che, assieme a pezzi dei servizi, avevano messo in pista un traffico di armi verso paesi del terzo mondo?
L'ostinazione con cui Renata Fonte voleva difendere le coste della sua amata Nardò dalla speculazione, non dava fastidio solo alla criminalità, ma anche a colleghi del suo stesso partito (il Partito Repubblicano).
Quanti altri sindaci hanno avuto il coraggio di resistere alle tangenti sulla ricostruzione, post terremoto, come fece Marcello Torre a Pagani?
Lo stesso discorso vale per gli altri omicidi politico mafiosi: Mattarella, La Torre volevano dare un taglio col passato dei rispettini partiti, in Sicilia. Cacciare i compagni troppo collusi con la mafia (Gioia e Lima, della corrente Andreottiana). Chiudere le cooperative rosse che facevano affari con la mafia.
Aldo Moro, poi, fu l'emblema della solitudine in cui fu lasciato morire, perfino dalla maggior parte dei colleghi che lo vollero come presidente del suo partito Democrazia Cristiana. Nelle sue ultime lettere traspare tutta la delusione per esser stato abbandonato, sacrificato verso una pena di morte, in nome di una ragione di Stato senza senso. 
Sono anche storie di coraggio: storie di uomini e donne che non si sono voltati dall'altra parte, che non hanno scelto la comoda strada del far finta di niente. A partite da Ambrosoli che scelse la strada di far prevalere il rispetto del bene comune, rispetto agli interessi privati di Sindona.
Al coraggio di Antiochia, Cassarà, Montana che, diversamente da altri colleghi in polizia, scelsero dare la caccia ai mafiosi. Con mezzi propri, pagando di tasca loro confidenti, sapendo che stesso all'interno della questura di Palermo c'erano colleghi che li spiavano, li sorvegliavano. Coraggio dimostrato dai giudici Amato, Livatino, Minervini, Galli, consapevoli del rischio che le loro indagini (su terrorismo e mafia) potevano portargli, non smisero di andare avanti. Come non smisero di fare il loro mestiere, di giornalista che racconta i fatti, che denuncia i malaffari, nemmeno Peppino Impastato e Giancarlo Siani.

Sono storie di uomini soli, ma anche uomini liberi.
I magistrati

Mario Amato, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Guido Galli, Rosario Livatino, Girolamo Minervini
I giornalisti Giuseppe Fava, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Walter Tobagi
I preti Don Peppe Diana, Don Pino Puglisi
I professori Vittorio Bachelet, Marco Biagi
Gli avvocati Giorgio Ambrosoli
Gli imprenditori Libero Grassi
I politici Renata Fonte, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Aldo Moro, Marcello Torre
Gli investigatori Roberto Antiochia, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Michele Liguori, Giuseppe Montana
I sindacalisti Guido Rossa

Antonella Mascali presenta il suo libro La scheda del libro sul sito di Chiarelettere

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