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Renato s’infervora mentre mi spiega di essere una giovane mosca bianca avvicinatasi da poco alla politica grazie al “Movimento gente onesta”, e si scaglia contro l’attuale ma vecchia classe politica colpevole di aver cambiato i connotati alle proprie sedi: luoghi di discussione e formazione trasformati in sciocchi raduni di bandiera. Noiosi poltronifici incapaci di suscitare passione o interesse a far da stimolo alle nuove generazioni, ai ragazzi di oggi che domani saranno chiamati a svolgere un ruolo fondamentale nella vita dello stato. Scuote la testa, non ce la fa più ad assistere al malaffare della casta che ci tiene in pugno. E’ schifato dalla corruzione, dal clientelismo e dalla falsa ostentazione di chi in alto predica l’onestà. Parola dal significato troppo importante per essere usata dai tanti che rubano a piene mani mentre ostentano una falsa moralità. Spocchiosi gradassi che con malcelata superbia impongono soluzioni “miracolose” dall’immane sacrificio. Sacrificio per noi, la plebe. Renato mi racconta dei suoi sogni, semplici e da ragazzo perbene. Un lavoro, una casa, una famiglia. Una vita dignitosa, senza lussi o fronzoli. Una meta non ancora raggiunta perché con 600/800 euro al mese non ce la si può fare. Muratore, fabbro, barista, cameriere e … dodici ore al giorno, 6 giorni su sette. E così, mentre i nostri politici nominano scansafatiche i figli del popolo, i loro rampolli scalano i vertici degli enti più importanti, girano con la poltrona cementata al sedere in società di prestigio, o si chiodano una cattedra universitaria alla colonna vertebrale. Da gente di questo tipo non si tollerano opinioni, critiche e ciaccole da parolaio! Gli domando quale sarebbe la “ricetta del Renato” per l’occupazione, cosa avrebbe fatto lui o cosa farebbe se fosse seduto nella stanza dei bottoni. Non ci pensa due volte, parte in quarta a contestare (ancora) la Fornero, la sua legge balenga e con lei tutti quelli che l’hanno approvata. La trappola che ha incastrato sul posto di lavoro gli “anziani” in odore di pensione e bloccato, fuori la porta, i giovani che volentieri avrebbero dato loro il cambio. Vecchi e giovani ammanettati, imprigionati, umiliati, imbavagliati da un gruppetto arrogante di algidi economisti, probabilmente nemmeno capaci di amministrare la paghetta di uno scolaro delle elementari. Gli chiedo cosa pensa dell’immigrazione e lui ride, una risata amara. Scuote la testa e impallina i buonisti di questo assurdo paese con la stessa risposta logica che accomuna tanti di noi: “Stiamo sopravvivendo, lo Stato non ci tutela ma apre le frontiere agli stranieri. Non parlo da razzista… perché sono io il primo a voler aiutare chiunque. Ma qui la gente si suicida per la disperazione, le fabbriche chiudono i battenti e riaprono all’estero. Questo Stato, cieco, sordo e indifferente ai nostri lamenti, ci spreme come limoni e ci chiede sempre più soldi, tasse e sacrifici. Questo Stato ipocrita e cinico che crea false speranze ad altri poveri che vengono da lontano.”Passo a Renzi, e chiedo a Renato cosa ne pensa del nostro Fonzie fiorentino. Una smorfia di disapprovazione appare sul suo viso, e risponde che non se ne può più degli “annunci” del Premier e delle slide bullette come lui. Lui e quel suo Job Act che il Presidente “poliglotta” non è neanche in grado di pronunciare, ossia la riforma del lavoro dove il lavoro non c’è. Dei suoi famosi tagli ai costi della politica ridotti a ben poca posa: miseri taglietti, leggere scalfitture. La riforma della giustizia poi... Io e Renato abbassiamo lo sguardo. E’ indegno anche il solo pensiero di poter accostare la parola giustizia alla parola “Italia”, poiché le cronache delle terribili e ciniche ingiustizie quotidiane ci fanno ammutolire. Io e Renato stiamo per salutarci. Vorrei rassicurarlo e dirgli che tutto andrà bene, che l’Italia ce la farà, potrà ripartire e lui, ora disoccupato, potrà realizzare il suo sogno. Ma sappiamo entrambi che non sarà così, almeno per molto tempo. Gli chiedo se sarebbe disposto a cercare un’occupazione all’estero, a trasferirsi. Sconsolato, mi dice che non vuole lasciare la sua terra per colpa di questo stramaledetto lavoro che non si trova. Che la scelta di migrare deve rimanere tale, una scelta. Non un obbligo. Lui vede tanti amici partire, e non gli va giù. Ma lui ha deciso di restare, perché lui è di quelli che non si arrendono.
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