Viaggio alla scoperta delle Marche (Recanati parte prima).

Da Gattolona1964

Questo famosissimo paesino delle Marche è uno di quelli da me visitati nella  mia vacanza nella regione Marche. A mio vedere tra tutti quelli visitati è quello che mi ha trasmesso maggior tristezza e malinconia. E’ comunque famoso e rinomato, molto visitato dai turisti italiani e stranieri  e tale rimarrà per aver dato i natali il 29 Giugno 1798 al poeta per eccellenza Giacomo Leopardi. Primo maschio di sette figli, nato dal conte Monaldo e da Adelaide Antici, madre solo biologica. “Le uniche carezze fatte da nostra madre erano con gli occhi”, soleva dire Giacomo, non avendo mai ricevuto un gesto gentile o affettuoso dalla madre. Recanati è poco distante da Sirolo e si trova,come tanti altri paesini sulla vetta di un colle. Si entra nella parte antica tramite un arco molto alto, o porta della città,  si cammina su stradine in salita formate da sassi storici, sanpietrini e percorsi sconnessi che si snodano in vari vicoli e portano al cuore del paese. Ricordo con una sorta di melanconia struggente quei luoghi, nei quali Giacomo ha vissuto pochi anni, (m.14/06/1837 a Napoli) trascorsi tutti a studiare, a conoscere e ad imparare. Palazzo Leopardi si trova in una piazzetta a Montemorello, chiamata “Il sabato del villaggio”, la struttura esterna non è particolarmente sontuosa ed arzigogolata, ma presenta linee severe e diritte, anche se signorili. L’ultimo restauro si dice sia stato eseguito da un prozio del Poeta, tale architetto Carlo Orazio Leopardi nel settecento. Alla sinistra del Palazzo troviamo la chiesa di S. Maria di Montemorello, costruita anch’essa da un avo del sommo Poeta,  tale Pier Niccolo’ Leopardi, nel cinquecento. Di fronte all’entrata principale del Palazzo c’è ancora l’edifico dei domestici, scudieri e cocchieri di casa Leopardi. Vi abitava anche la figlia, Teresa Fattorini che ispirò la famosissima poesia “A Silvia”. Ho visitato anche i giardini, quieti, verdissimi, immensi, lunghissimi e custodi delle passeggiate di Leopardi, che sono situati nella parte posteriore del Palazzo, ho visitato l’Ermo Colle, con  la scritta incisa su pietra “SEMPRE CARO MI FU QUEST’ERMO COLLE” ed ho immaginato lui, che solo e ricurvo, si fermava a scriver le parole e ad osservare “il mar da lungi e quindi il monte”che ispirò l’altra meravigliosa poesia “L’infinito”. In quei momenti ho pensato e sentito una presenza imponente, una guida che mi metteva la solita mano sulla spalla e mi incitava ad andare avanti in questa battaglia terrena che noi tutti combattiamo ogni giorno. L’intero primo piano del Palazzo sopra alle cantine è invece occupato dalla famosa biblioteca, che contiene ad oggi circa 20.000 volumi, pur non avendoli potuti vedere tutti, dal momento che egli è morto dieci anni prima di suo padre. Che con una febbre e una fame del sapere mai placata, continuava a comperarne e a procurarsene a carovane, per lasciare ai discendenti e ai posteri quell’immenso tesoro di cui tutto il mondo può godere, studiandolo. Di questi ventimila libri, per usare un eufemismo, ma io li definirei tesori preziosi, la nostra guida ci ha detto che il poeta ne ha letti 8.400 circa, se ho ben sentito la sua voce. E’ comunque una quantità impressionante per un uomo qualunque, un numero altissimo di nozioni e conoscenze che possano rimanere tutte nel cervello di un essere umano I ventimila volumi custoditi sono stati raccolti ed ordinati per tematiche, per sala, per argomento e per volere del padre/padrone Monaldo. Il percorso da noi compiuto per accedere alle poche sale visitabili, è cambiato negli ultimi anni: in effetti non è più quello che io ricordavo quando visitai distrattamente casa Leopardi, nel 1984. Ho molta memoria visiva però e per motivi di sicurezza è stato cambiato il percorso, ma la collocazione dentro enormi scaffalature con la rete davanti non è stata variata. Non ho più rivisto il plaid scozzese e la poltrona, sulla quale dove Giacomo si addormentava con un libro in mano, stremato dai dolori della tisi, quasi cieco e stanco. Non ho rivisto le cinghie che lo legavano alla poltrona, in modo che non si alzasse, messe dal padre, che lo obbligava al sapere più immenso. Ritengo sia stata tolta e collocata al piano superiore, dove abitano gli ultimi discendenti della famiglia e per vergogna le abbiamo tolte. Sono state comunque oggetto di violenza fisica e psicologica su un ragazzo, di vessazioni che oggi non sarebbero tollerate con grande facilità. Questo ragazzo, fragilissimo e timido, seppur dotato di un’intelligenza straordinariamente fuori dall’ordinario era pur sempre un figlio ed un essere umano. Il percorso che noi visitatori abbiamo compiuto è il seguente: dopo un atrio con uno scalone in marmo bianco, forse l’unico ornamento sontuosissimo, si accede alla sala introduttiva che altro non è se non un corridoio che conduce ad una stanza preparata qualche anno fa, che contiene due teche contenenti libri che spiegano l’evoluzione della stampa nei secoli. Ho capito solo oggi che quasi tutti i volumi della Biblioteca sono stati voluti per desiderio di Monaldo,che approfittò del disfacimento di numerose chiese per portarne via “a ceste e a carretti”. Arriviamo alla sala detta dell’alcova, che è divisa in due parti ben distinte: nella prima troviamo libri scientifici e letterari, volumi molto antichi, Incunaboli e manoscritti. Invece nell’altra parte ho potuto ammirare documenti di famiglia, disegni a matita, inalterati e splendidi, che Monaldo ed i figli utilizzarono per costruire l’immenso albero genealogico esposto e scritto a mano. E’ descritto su di una lunghissima carta oramai giallastra che occupa quasi una parete, protetta dentro una cornice ed un vetro. Per non annoiarvi nella descrizione del palazzo, delle cantine con alcuni oggetti personali del Leopardi e con le altre strutture storiche di Recanati, per ora mi fermo qua, lasciandovi una riflessione importante. Silvia non esisteva come mi è stato spiegato, ma Leopardi tradusse Teresa Fattorini in Silvia, usando il nome della protagonista dell’ Aminta di Torquato Tasso: Il Sommo mette l’accento sul simbolo di una fanciulla che nel fiore della sua vita, (21 anni) viene stroncata dalla morte. La morte fisica di Silvia richiama la morte di ogni speranza, che per l’io lirico sopravviene con la verità nuda e cruda: il poeta suggella la costante del suo pensiero, ovvero la Natura che inganna i suoi figli, per poi abbandonarli alla disillusione. Anche lui morì giovane a 39 anni, di tisi. Strabiliante il paragone tra le due figure, quella di Silvia e quella di sé stesso, accomunate dalla dolce stagione della giovinezza, dalle illusioni, dalla fiducia in un futuro vago, ovvero indeterminato e insieme attraente che sembra promettere gioie invece si rivelerà crudele per entrambi. Aspetto con gioia vostre considerazioni ed i pensieri che penso vi emergeranno spontanei….Buon pranzo!Come non riportarvi la poesia?

A Silvia

Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.

Ecco a voi alcune significative fotografie prese da Internet e pubblicate al solo scopo di fare ammirare ai miei lettori/ici la bellezza dei luoghi visitati. Non sono state pubblicate da me per nessun scopo di lucro.

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