Una guida minimalista all’itinerario di un primo viaggio in Giappone
Scrivo questo post, ma facciamo un patto. Facciamo che continuate a scrivermi lo stesso, chiedendo consigli sul Giappone, vero?
Molte mail che ricevo mi chiedono appunto consigli su dove andare durante il primo viaggio. Adoro rispondere e confrontarmi sui viaggi e sui Paesi che amo. Ma allo stesso tempo ho pensato che fosse il caso di scriverne. E’ un post leggero, breve, sintetico perché per descrivere un itinerario così servirebbe un libro intero.
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Una visione d’insieme
Anche se molti pensano che sia piccolo, il Giappone è un Paese molto grande e dopo quattro viaggi ho ancora moltissimi posti da scoprire. Secondo me per un primo viaggio in Giappone l’asse sul quale muoversi è semplicemente uno: Tokyo-Kyoto-Hiroshima. Con due varianti: visitando due fra Nara (gita di un giorno da Kyoto), Kamakura o Nikko (visitabili in giornata da Tokyo). Oppure visitando Kanazawa, una delle città che preferisco in Giappone, ma più defilata. Ma mi concentrerò su queste tre città.
Scriverò post anche su altri itinerari e altre città, ma per ora ti rimando , alla guida di Giappone per tutti (che contiene anche numerosi itinerari-tipo) o al viaggio di Martina.
A Tokyo c’è moltissima gente (foto di Patrick Colgan)
Col Japan Rail pass è tutto più comodo perché si possono prendere gli Shinkansen, i treni veloci che consentono di coprire grandi distanze in pochissimo tempo. Ma se hai un budget ristretto e spirito di adattamento il viaggio si può fare tranquillamente in bus notturni, risparmiando sui pernottamenti. Sia sui trasporti che sui pernottamenti ho già scritto due post che ritengo esaustivi. Ribadisco un altro concetto a cui tengo: è un viaggio costoso perché vai dall’altra parte del mondo, ma non è un viaggio così caro come si dice. Con qualche accorgimento due settimane si possono fare con 1.600-1.700 euro tutto compreso e senza dormire sotto i ponti. Il calcolo è presto fatto: 450 euro di biglietto aereo più 250 di Japan rail pass (700 euro), poi 80 euro al giorno (30 di pernottamento, 20-30 euro di pasti, più gli extra).
Cinque giorni a Tokyo
Tokyo è una città assurda, tentalocare, sorprendente, una e molteplice. L’impatto è sempre frastornante, specie in piena estate quando il terribile caldo è opprimente e impedisce di godersi la città mentre si ricevono continui schiaffi in faccia dall’aria condizionata spinta di metropolitane, uffici, locali. Ma quello che stupisce è che c’è davvero un sacco di gente. Tantissima gente, intendo, su una scala che è difficile immaginare. Io non smettevo di guardarmi intorno, di osservare tutta questa gente, fotografarla. La folla è uno degli spettacoli della città e sentirsene parte per un momento è una sensazione stranamente inebriante. E alienante.
Io ho scritto dieci cose da non fare , per quello che c’è da fare non basterebbero dieci post. E’ una di quelle città che non stancano mai e che continuano a stupire ogni volta. Per me ci sono alcune cose imprescindibili. Una passeggiata ad Asakusa per fare visita al Senso-ji uno dei templi più famosi di Tokyo, una visita ad Harajuku per vedere i look più strani della città (e il sabato i famosi rockabilly che ballano senza curarsi di alcunché accada attorno intorno a loro). E poi ancora c’è Shibuya, il quartiere più giovane, della moda, del divertimento, dei centri commerciali e dell’incrocio più affollato al mondo. Ma Tokyo nasconde anche angoli più intimi, come lo strano quartiere dei microbar di Golden Gai nascosto fra i grattacieli di Shinjuku. O Kagurazaka, che sembra un piccolo paese nel grande mare della città. O ancora il piccolo delizioso parco Rikugien. E non ho ancora parlato di Akihabara, il quartiere degli otaku, dei maid cafè e delle bizzarie, strane anche per gli stessi giapponesi. Senza contare che a Tokyo bisogna esplorare anche le meraviglie gastronomiche che offre la città (e ce ne sono davvero per tutte le tasche): io di ristoranti ne propongo tre. Insomma, di giorni ne servono almeno almeno tre, ma cinque è più corretto.
I ‘Lebels’ (Rebels, con un tocco di ironia sulla pronuncia), i famosi rockabilly di Harajuku che ogni sabato pomeriggio ballano a Yoyogi koen (foto di Patrick Colgan)
La folla al Senso-Ji, uno dei templi buddisti più antichi e famosi della città. Il fumo degli incensi è ritenuto taumaturgico
(foto di Patrick Colgan)
Un pranzo al Ginza Kyubey uno dei ristoranti di sushi più famosi della città
(foto di Patrick Colgan)
Almeno cinque giorni a Kyoto
Se a Tokyo ti sei chiesto dov’è il Giappone dei sogni, dove sono i Kimono, le case basse in legno e le geisha (che poi chiamano maiko), le lanterne che brillano nel buio, la risposta la trovi a Kyoto. In alcune parti di Kyoto, intendo. Perché è una città di tre milioni di abitanti e gran parte di questa enorme distesa urbana è anonima e priva di storia e personalità come solo le città giapponesi sanno essere. Gli edifici hanno in media vent’anni e questa furia di demolire e ricostruire cancella anche il tempo e i suoi sedimenti, confonde la memoria e a volte rende le città qualcosa di simile a grandi periferie. A Kyoto è bello perdersi fra le vie del quartiere tradizionale di Gion, infilarsi in un elegante ristorante di Ponto-cho, passare la notte a bere in un locale di Kiyamachi e sorprendersi vedendo una geisha che esce da una porticina che non avevi nammeno visto e si infila in un taxi. Ma a Kyoto ci si commuove fino alle lacrime davanti al giardino zen del tempio Daisenin (all’interno del Daitokuji), ci si riempie di stupore davanti a templi come il Kinkaku-ji o il Ginkaku-ji o il Kyomizudera che domina la città dall’alto. Ci si lasciano, infine alle spalle i palazzi fra i boschi di bambù di Arashiyama e antichi templi immersi nella foresta.
E se ci capiti il 21 del mese (il che è indispensabile), fai un salto all’immenso mercato delle pulci Kobosan, del tempio Toji, non te ne pentirai (consiglio per il quale ringrazierò sempre Ivan). Quanto ai ristoranti, ne ho scritto qui.
Una maiko fra le lanterne dello Yasaka Jinja (foto di Patrick Colgan
Sannen-zaka, Kyoto (foto di Patrick Colgan)
Cikurin no hayashi, foresta di bambù ad Arasahiyama (foto di Patrick Colgan)
Giardino zen al Daitokuji (foto di Patrick Colgan)
“Questa e’ la mia migliore occasione,
ogni giorno della vita è un allenamento,
un allenamento per me stesso,
anche se il fallimento è possibile,
vivendo ogni giorno ed ogni momento con la stessa attitudine verso ogni cosa,
pronto per ogni evenienza.
Io sono vivo, io sono questo momento, il mio futuro è qui ed ora,
per cui, se non posso provare oggi, dove e quando lo farò?”
(abate del tempio zen Daisenin, in italiano)
Almeno due giorni a Hiroshima
Hiroshima porta sul suo nome il peso della bomba atomica. Quel piccolo sole che il 6 agosto del 1945 si incendiò 600 metri sopra la città e la rase al suolo, uccidendo sul colpo 80mila persone. Ma Hiroshima non è solo questo. Oggi è una città forse non bella, ma piacevole, con un’ottima gastronomia e che è la porta d’accesso per il Santuario di Itsukushima, patrimonio mondiale dell’umanità Unesco, che sorge sull’isola di Miyajima. Dovrai dormire almeno una notte a Hiroshima perché la visita dell’isola con il santuario e la salita al monte Misen richiede un giorno intero e perché il museo della Bomba atomica e il parco della pace meritano almeno una mattinata. Della bomba atomica è rimasto poco. Un edificio, l’unico rimasto in piedi nella zona dello scoppio e una statua di jizou annerita che era esattamente sotto la verticale della bomba, l’ipocentro. Un luogo che stranamente non è indicato se non con alcuni cartelli clandestini affissi agli alberi del parco della pace.
La visita del museo è agghiacciante, sconvolgente ma assolutamente necessaria. Si compie in silenzio, come quando si visita un luogo sacro, o un cimitero e si esce in silenzio. Poi ci si siede su una panchina del parco. E si osserva la vita che è tornata a scorrere, si osservano le persone che passeggiano nel parco, apparentemente senza pensare a quello che è successo quasi 70 anni fa. Pensi che la memoria sia ormai affidata solo a quel vecchio muro sfondato che resta in mezzo al parco, l’A-bomb dome, ignorato, rimosso dalla vista da parte di tutti tranne che dai turisti. Poi una ragazza, improvvisamente, si ferma e congiunge le mani davanti al memoriale.
Santuario di Itsukushima
A-bomb dome, Hiroshima (Foto di Patrick Colgan)
Post precedenti su Orizzonti:
Viaggio in Giappone (1): trasporti
Viaggio in Giappone (2): dove dormire
Viaggio in Giappone (3): il passaporto
Link collegati:
Giappone, cinque miti da sfatare (orizzonti)