Vick, il pacifista barbuto e tatuato, è stato fatto fuori senza neanche battere ciglio, senza nemmeno una finta e mostruosa messa in scena processuale che lo condannasse perché era un libero pensatore. E poco importa del surriscaldamento emotivo che infervora la rete, tra blog e social media, perché Vittorio Arrigoni nel suo slogan “Restiamo umani” aveva detto tutto. Aveva capito che le dittature invisibili palleggiavano tra il pugno di ferro di Israele e l’ombra bombarola di Hamas; aveva capito che la striscia di Gaza era più di una borderline: era un piccolo ombelico del mondo in cui travestiti da blogger si potevano raccontare storie quotidiane che a noi sfuggono. Arrigoni aveva preso una posizione netta che, al di là della condivisione o del’appoggio ideologico, lo aveva distanziato da chiunque volesse appropriarsi di lui.
Per rispettare la sua memoria, dobbiamo stare in guardia da chi vuole trasformare questo “agnello di Dio” in un pass-partout iconografico, spacciandosi per messaggero di pace. Sarà pure un imperdonabile sacrilegio, ma della salma di Vittorio Arrigoni poco importa, perché i liberi pensatori non finiranno rinchiusi mai in tombe buie e giammai avranno gelide lapidi. Vick è ancora lì, in quella terra straniera, tra chi vorrà essere un suo apostolo e continuare a portare avanti un pensiero, nell’ottica gaberiana della “libertà come partecipazione”. E noi non possiamo sempre tirarci indietro.