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Victor Sjostrom: il grande pioniere del cinema scandinavo

Creato il 06 luglio 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

victor

( 20 Settembre 1879 , Silbodal, Svezia
3 Gennaio 1960 Stoccolma)

Victor Sjostrom: il grande pioniere del cinema scandinavo. Prima del più conosciuto Ingmar Bergman c’è lui, Victor Sjostrom a rappresentare altamente la cinematografia scandinava, specialmente quella svedese. Insieme a Mauritz Stiller è il padre di quel cinema che deve tanto al pensiero filosofico di Kierkegaard, non solo per i contenuti ma anche per il grande successo ottenuto e per lo sviluppo cinematografico in toto. Sono riconoscibilissimi gli aspetti peculiari della filmografia nordica che Sjostrom (come Bergman) ha sublimato e resi degni di emulazione e pieni di fascino: l’uso spasmodico della metafora, della maschera, il divario che si assottiglia tra finzione e realtà, il vero e il falso, la verità storica e la verosimiglianza o invenzione cinematografica stessa. Non possono mancare le riflessioni religiose, il rapporto tra fede e ragione, suggestioni esistenziali dove i personaggi sembrano vagare come delle ombre sullo sfondo di una vita quotidiana non troppo appagante.

Inizia con il teatro Victor Sjostrom, recita e dirige , prima di approdare al cinema con il suo primo film da regista nel 1913 : “Ingeborg Holm” un dramma patetico con protagonista una donna presa di mira dalla sorte; nel 1916 gira “Il bacio della morte” dove un crimine viene ricostruito a seconda di chi testimonia, attraverso il flashback e alla tecnica della doppia impressione; dello stesso anno è “Gli avvoltoi del mare” dove grande spazio è riservato alla natura; nel 1917 il regista si confronta con Ibsen portando sullo schermo il drammatico “C’era un uomo” dai toni nazionalistici (scissione tra Svezia e Norvegia). Nel 1918 il maestro si misura con un film più poderoso e ampio :”I proscritti” che narra le vicende del bandito Berg-Ejvind. Collabora con uno dei maggiori scrittori scandinavi del XX secolo, Hjalmar Bergman con il quale realizza la commedia “Il testamento di sua grazia” e “Maestro Samuele” che lo vedrà anche come protagonista nel ruolo di un avido anziano.

Reciterà anche nel più significativo “Il carretto fantasma” (dove sarà anche qui attore) del 1920, fantastico per certi versi e naturalista per altri per un’opera fortemente etica, in tensione, velata di pessimismo in quanto non fiduciosa nell’efficacia delle scelte individuali. E’ il primo film che pone l’accento sul rapporto libertà-fede e sulla logica della salvazione che tanto condizionerà i futuri cineasti. Dirige la grande Lillian Gish nei capolavori “La lettera rossa” (1926) e “Il vento” (1927), il miglior film americano del regista, che avrà l’onore di lavorare anche con la divina Greta Garbo non a caso per la realizzazione del film “La donna divina” (1928) e con Edward G. Robinson in “Notte di peccato” (1930). Concluderà la sua carriera registica con l’avventuroso “Il manto rosso” (1937).

Fatalista, rigoroso, idealista, umanista, soprattutto quando racconta le saghe familiari contadine, Victor Sjostrom ha saputo dare perfetta unità stilistica alle sue opere pur facendo un miscuglio di elementi tra artifici narrativi, adozione del verismo e naturalismo , uso dell’allegoria e a tratti del macabro e rappresentazione redentrice (spesso irrazionale) nonché stimato e apprezzato cineasta in terra hollywoodiana che gli lasciarono totale libertà sia per la realizzazione de “La lettera scarlatta” che per quella de “Il vento”.

La sua ultima apparizione da attore è del 1957, nel capolavoro del suo erede Bergman “Il posto delle fragole” che lo volle fortemente per il ruolo del professor Isak Borgm un anziano medico che parte in auto con la nuora per andare a trovare sua madre e festeggiare il suo giubileo all’università, ma durante il viaggio si intrecciano incubi, sogni e flashback con una sola certezza, la rinuncia all’egocentrismo. Un viaggio non solo nella Svezia contemporanea ma nelle mente e nell’anima; Orso d’Oro a Berlino 1958. Bergman disse: “Non avevo capito che Vicotor Sjöström si era preso il mio testo, l’aveva fatto suo e vi aveva immesso le sue esperienze… Si era impadronito della mia anima nella figura di mio padre e se ne era appropriato”.

di A. Grasso


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