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Vietnam. I pensieri sospesi.

Creato il 15 giugno 2015 da Paola Annoni @scusateiovado

Vietnam. I pensieri sospesi.[Questo post è stato scritto mesi fa, su precisa richiesta. Mi sono sempre detta che non l'avrei mai pubblicato, perchè è quanto di più triste e intimo che si possa trovare in questo blog. Ho apportato alcune modifiche perchè già così, è come frugare dentro al mio cassetto delle mutande. Siate lievi.

A volte c'è bisogno di qualcuno che ti prenda per mano per tirare fuori certi scheletri nell'armadio. Questo è ora di tirarlo fuori, ora che è il momento. Se queste parole sanno di buono, dite grazie ad Andrea. Questo è il mio grazie per lui, che mi ha chiesto di scrivere.]

In Vietnam in realtà non ci sono stata. Non ero io.
Ho lasciato una lettera, sono partita la notte di capodanno, il primo passo verso l'ignoto, nel buio di una notte con poche stelle, uno scalo in Thailandia,l'attesa per entrare in Vietnam, il mio nome che non veniva mai chiamato.

Vietnam. I pensieri sospesi.

Ad Hanoi ho dovuto comprare una giacca perchè avevo troppo freddo, un'aria gelida inaspettata, il mio zaino preparato sbagliato. Ho imparato a dormire in letti non puliti in stanze senza finestre e ad ascoltare una voce dei ricordi che uccideva ogni giornata.
Nonostante fossi già stata in Thailandia è stato il Vietnam che mi ha messa a nudo, che mi ha fatto capire che quella strada, quella polvere, il troppo freddo, il troppo caldo, i viaggi infiniti, il cibo strano e la vera lontananza da casa... Beh, quella ero io.
Ho amato Datong e la sua casa pazza.

Ne ho fatto stampare una foto, che ho appeso vicino ad un dipinto che ho comprato a Cuba da un pittore di strada che Gianni ha sempre detto rappresentarmi. Scale che collegano case, un gran casino.
Il viaggio per Daton è stato assurdo, su un pullman scassato circondata da persone che vomitavano di qua e di là, per arrivare a quella città in cui il parco dell'amore è una delle principali attrazioni e il ricordo più violento era un messaggio che non volevo ricevere.
E poi c'è il lassi, quello al miele, quello di Phu Quoc, il migliore mai bevuto, proprio in quel ristorante indiano vicino a quello che noleggiava i motorini senza casco. Abbiamo pescato di notte e assaporato le giornate con tristezza amara, come un piatto preparato male, che è rimasto troppo tempo sul fuoco. Ho vissuto ogni istante del Vietnam, ne ho assorbito ogni dettaglio. Non volevo tornare a casa. Tutta la vita era sospesa, avevo messo in pausa i problemi, le preoccupazioni, i dolori.

Vietnam. I pensieri sospesi.
Quel mercatino di Saigon dove ho contrattato una scatola intagliata per mia madre, quei bambini all'uscita da scuola, il traffico di motorini che avevo imparato ad affrontare spavalda, come loro, che camminano certi che gli altri li schiveranno.
Era l'unica cosa in cui mi sentivo coraggiosa in quel momento. Schivare le macchine e sperare che una mi centrasse per non dover tornare a casa e prendere in faccia qualcosa di molto più grave.

La mia anima era una baracca di eterernit, su pali di legno troppo sottili. La sensazione che tutto stava crollando.

Vietnam. I pensieri sospesi.

Amo il pho, quell'ultima zuppa mangiata per strada, saturata di peperoncino che mi bruciava le vene e l'ultima colazione a Saigon, sul tetto di un hotel da cui avremmo dovuto godere di un buon panorama. Invece quello che vedevo era quello che avevo dentro, una fitta e densa nebbia.
Cucino ancora gli involtini vietnamiti che ho imparato a fare al red Bridge a Hoi An, arrotolo la carta di riso e cerco di non romperla. Appena la bagni diventa delicata e si strappa e tutto dev'essere in equilibrio oltre che della quantità giusta. Quand'è l'equilibrio? Quand'è la quantità giusta? Quando dobbiamo fermarci?
Ho lasciato scorrere quelle giornate sperando che finissero prima possibile e mi ancoravo ad ogni istante, pregando che tutto si congelasse.
In un'escursione giornaliera sul delta del Mekong, sotto ad un baracchino in paglia, ho bevuto il miglior caffè vietnamita mai provato e ho passato ore, quella notte, a guardare dalla finestra le luci di una città che non avrei mai più rivisto.
Ho le foto notturne fatte da quella finestra senza persiane, una luce che mi ricordava quella di Masturzo, sui tetti di Theran. Donne che urlano, io stavo in silenzio. La guerra si manifesta in tante maniere.
Guardo il mio zaino, quello rosa e sempre troppo piccolo che adesso è aperto accanto al mio letto: quella è stata la sua prima strada, inconsapevole che fosse la prima di tante.
Quella persona, che ha fatto il viaggio, è rimasta in Vietnam, si è persa tra l'acqua torbida del Mekong e la polvere di Saigon.
Meglio così.


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