Lo confesso, fino a qualche giorno fa non avevo mai sentito parlare della Giornata della Cultura popolare, che è giunta alla sua VIII edizione.
La Giornata cade proprio nel giorno di S. Lucia, divenuta protettrice della cultura popolare (oltre che patrona dei ciechi e degli oculisti). Proprio lei, il cui nome vuol dire luce, come la cultura che illumina la vita.
Il 13 dicembre è dunque da anni Giornata Internazionale della Rete Italiana di Cultura Popolare, dedicata al racconto di attività e espressioni popolari agite dal basso e promosse nel quotidiano.
Viene da chiedersi cosa si intenda per cultura popolare, poiché si tratta di un concetto quanto mai elastico. L’espressione indica, infatti, sia l’insieme delle tradizioni (in sostanza, tutto quello che la parola “folklore” può racchiudere) che l’idea di una cultura di massa.
È la cultura di tutti i giorni quella che lascia tracce nella vita; ricercarle e studiarle finiscono col diventare un’avventura interessante e impegnativa. Per questo è possibile candidare “Testimoni della Cultura Popolare” e “Cercatori di Traccia” ovvero figure di studiosi (non accademici), che verranno insigniti di un riconoscimento internazionale per la difesa (e al tempo stesso la promozione) delle radici di ogni comunità.
Partire dalle radici per arrivare alla modernità. I “Cercatori di Traccia” vanno alla ricerca di materiale demoetnoantropologico all’interno del proprio territorio di riferimento. Le informazioni raccolte saranno poi inserite negli archivi territoriali e messi in rete (sul web) grazie all’Archivio Partecipato.
Nella Giornata della Cultura Popolare numerose associazioni, gruppi o singoli si fanno sostenitori della cultura popolare attraverso mostre, incontri, visite nei musei e nelle biblioteche, così che la Cultura quotidiana possa splendere e irradiare luce. È un patrimonio, una ricchezza che merita di essere tutelata e affidata alle generazioni future.
Parlando di cultura popolare, mi è impossibile non pensare a Pier Paolo Pasolini. Lo scrittore friulano si è servito del dialetto per la sua poesia, almeno nei componimenti giovanili. Egli aveva con la lingua dialettale un legame affettivo e politico. Il primo perché gli ricordava l’infanzia e la madre; il secondo per la scelta consapevole di affidare al dialetto un valore nazionale, che andasse oltre i confini territoriali.
Il dialetto rappresentava ciò che ancora di puro e incontaminato poteva esistere, tanto che nel 1943 aprì una scuola per insegnare il friulano, tentativo che il provveditorato di Udine decise di bloccare; ma Pasolini non si arrese e ci riprovò, a distanza di due anni, con l’Accademiula di lenga friulana.
Cultura popolare ovviamente non è solo dialetto, ma esso è certamente il veicolo che permette di arrivare al sostrato autentico che poi è interesse dello studioso svelare e preservare.
Oggi più che mai, quando non ci si raccoglie più ad ascoltare racconti, a fare memoria della nostra storia. Oggi più che mai, perché a furia di correre e andar di fretta perdiamo pezzi della nostra stessa identità.
Buona Giornata della Cultura Popolare a tutti.