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Strana la carriera di Simon Staho che nel 1998 appena ventiseienne firma questo Vildspor aka Wildside e poi per 5 lunghi anni, che in pratica sono 6 escludendo la mezz’ora (splendida) di Nu (2003), c’è solo silenzio, vuoto visivo. Probabilmente in quel lasso di tempo il regista danese si rimboccò le maniche per diventare un Autore con gli attributi, cosa che qua non sembra essere, poiché Vildspor alla luce dei lavori successivi non raggiunge nemmeno un centesimo della loro bellezza complessiva.
Sarà inesperienza, sarà la mancanza di una mano abile come quella di Peter Asmussen in fase di sceneggiatura, ma il primo film di Staho è di una pochezza che se non si trattasse d’opera prima definirei preoccupante. Si assiste ad una blanda vicenda drammaturgicamente impostata che non ha la minima profondità di pensiero. Teoricamente anche Dag och natt (2004) concentrava la propria luce su delle vicende umane, lo faceva però con modi originali di grande qualità, mentre qui la resa globale è mediocre, soprattutto nella prima parte che vede in scena la rimpatriata degli amici seguita dalla riemersione di vecchie ferite rimaste come tatuaggi sulla pelle, qui il film è una sequela di banalità che se non fosse per le affascinanti ambientazioni potrebbe essere tranquillamente uscito dalla factory hollywoodiana. Nella seconda parte segnata dalla separazione fra i due, la narrazione procede per rimpalli da un personaggio all’altro. Niente di che, ma almeno prende un po’ di ritmo. Tuttavia appare telefonato il modo in cui si spezza l’amicizia (una già sentita storiella di droga che coinvolge un cicciograzianesco boss mafioso) senza dimenticare l’improbabilità del fatto che un tizio svenuto in un vicolo buio venga preso e portato a casa da una ragazza che lo aveva visto di sfuggita qualche giorno prima.
Frammenti di cattiveria by Staho quando il bimbo di Jimmy per poco non ingerisce delle pastiglie di morfina, e quando alla festicciola di compleanno del suddetto figlio fa irruzione nella casa il boss che rivuole indietro il denaro. È comunque una minuscola riduzione in scala di quello che questo regista saprà fare in futuro. Tra l’altro c’è da chiedersi come sia ponderabile che su IMDb a parità di votanti Vildspor abbia una media-voto leggermente più alta di Daisy Diamond (2007) che è addirittura sotto la sufficienza.
Nel finale la delicata voce di Heather Nova sull’aeroplano che sfuma nell’orizzonte è di buon auspicio per lo Staho che verrà.
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