Magazine Poesie

Vincenzo Gasparro - A che servono le rose

Da Ellisse

Vincenzo Gasparro - A che servono le rose - Ed. L'Arca Felice
Si sente,Vincenzo Gasparro - A che servono le rose in questo libretto, una decisa aria meridionale, di un messapico Sud profumato di basilico, illuminato di sole e velato di senso della tragedia e di quella particolare nostalgia che colpisce perfino chi non si è nemmeno allontanato da casa, o non ha voluto allontanarsi,  come in un vecchio film della Wertmuller. Già il testo introduttivo della raccolta dà un'idea della cosa: I' passate lu basilicole / come lu sole come lu sole. / I' passate pure la rose / come li cose come li cose. / I' passate la frasche de lore / come l'amore come l'amore. / I' passate a murtuscedde / come lu viende come lu viende.("E' passato il basilico / come il sole come il sole. / E' passata pure la rosa / come le cose come le cose. / E' passata la foglia d'alloro / come l'amore come l'amore. / E' passata la piccola morte / come il vento come il vento."). Dunque, l'interrogativo del titolo (a che servono le rose) equivale, in questa plaquette, a chiedersi a che cosa serva la poesia, specie al centro di una parabola esistenziale, di quella impermanenza di cui questo piccolo testo è metafora. Domanda che in realtà non va posta, poiché, dice l'autore, "l'alito di Dio increspa l'acqua del lago / ornato di bianco e brezza in questo giorno / felice. Ora non chiedermi più a che servono le rose." E' la bellezza costitutiva e enigmatica  che, anche senza forse salvare il mondo come nell'auspicio del Principe Myskin, è certo parte (o dovrebbe esserlo) della nostra vita. E giustamente Vincenzo Di Oronzo, nella prefazione, afferma che nel lavoro di Gasparro "gli archi di vento, le spirali di piante tra i trulli, i sassi e i cerchi scritti con la calce, gli uccelli fermi nel bianco sono gli emblemi della bellezza e della morte, le folgorazioni dell'enigma". Se la poesia, come l'autore, occupa "una posizione periferica", è pure vero che in essa "la marginalità / si traduce in confini, nell'opportunità / di trovarsi a contatto con gli orizzonti / dell'inespresso e con terre ancora non emerse". E' del tutto naturale che tutto ciò si ancori saldamente a una tradizione lirica forte (basti pensare a quel "ora non chiedermi più") in cui spirito dionisiaco e apollineo fanno i conti tra loro, visione della natura e dei fatti e necessità di collocarvisi al centro come identità e storia di sé coesistono, insieme a un dualismo tra la bellezza stessa (compresa una nuance erotica sottotraccia) e la morte, dando luogo a una riflessione pacata ma mai placata. Dunque è proprio nei testi più intimamente lirici, quelli che preferisco e che ho scelto, cioè quelli che come forma e andamento si rivelano adatti come un adagietto, è in in questi testi che più si concretizza questa idea che ogni azione, ogni evento anche epifenomenico, ogni manifestazione di uno svolgersi della vita non sono mai del tutto al di fuori di noi, estranei a noi, o muti davanti alla nostra "regolarità dello sguardo" e al nostro pensiero. (g.c.)

Arrivai nella piazza alla controra
i piedi ulcerati dalla calura sulle chianche.
Solo il cane cercava l'ombra
rantolava pallido un vecchio pagliaccio.
E' inutile aprire le finestre
gli ultimi brandelli dell'anima
fuggono nel fruscìo delle lenzuola.
ll ventilatore é rimasto spento
e immota la casa affetta il silenzio.
Passano biciclette blu con ragazze
vestite di bianco e bimbi che giocano a palla
***
Ti vestivi d’acqua leggera nel vento
rapita mentre le dita intrecciavano il filo
sorridevi al profumo del pesco.
La chioma del faggio sfavillante
nella stella chiara del mattino
ma durò un attimo quell'acqua azzurra.
La mamma aveva mani bellissime
come quelle di un Cristo dipinto.
Anche la farfalla è stanca di lottare con la morte.
Tra le mie carte scruto un destino mentre
riordini i tuoi vestiti la gonna
la camicetta pill adeguata.
La porta di casa é sbarrata per non sentire
la città chiassosa e vedere i lampioni spenti.
***
Sono giunto alla meta la vita m'appare
un crepuscolo dai colori indefiniti.
Non so dopo tanto cercare. Ho conosciuto
più di mille uomini le scarpe si sono bagnate
i calzini fracidi. Scorre il Tevere un uomo  
lo fissa e non sa che farsene del mondo.
***
Le parole sono come le città
indicano ripari strade piazze
intrighi d'affluenti le parole
rischiarano il mondo salvano
dallo smarrimento anche se oscure
indecifrabili le parole cantano
la voluttà i sentimenti tutto
le parole sono come le città
di luci merci dolori fontane
limpide giochi d'alabastro
e di colori sguardi sul fiume silente
sono il cerchio dei sogni sono l'uomo.
***
Sono approdato nella terra di nessuno
nella casa delle sedie vuote dove
il silenzio rimbomba di fantasmi.
Scalzo sulla terra brulla inciampo tra
i solchi né disseta il succo del verdello.
Mi rimane il bianco del mandorlo
di marzo il bruco avido sul sambuco
mentre le anatre frullano su a volo insieme.
***
Amore mio la luce del mattino s'é levata
ma tu non vedi la tristezza del passero
nel giardino, né la rugiada sull'ultima rosa.
Non senti il freddo vetro di gelo.
Amore é nato un altro giorno ma non so dove
ti sei persa nell'arancet0 dei sogni nel chiarore
dell'alba trafitta dal cacciatore appostato in attesa della preda.
***
La morte arriva dall'ombra
mentre le rondini disegnano
geometrie di vento e aria.
Sono estraneo al luogo non ho
più la parola é caduta la fiducia
nel tempo. Nell'esodo permanente
dalla distanza infinita l'armonia
é coperta dall'urlo e dallo sguardo
posato sullo specchio rotto.
Non consumare l'attesa
a piedi nudi sulla palizzata.
***
Sei l'acqua dell'estuario le ultime
gocce sul vetro su transiti ciottolosi
ombre fugaci sul muro bianco
e segni evanescenti sulla sabbia bagnata.
Davanti volteggiano le foglie
nelle parole della partenza mentre
il sole declina nel patio e scruta
il profilo della notte nel volo dissennato
della rondine ingoia parole spezzate.
Non sono sicuro dei miei passi
mentre il cielo mi scruta.
***
Perla di valore inestimabile al trullo
poggiata alla pergola delle rose rampicanti
e del melo fiorito all'improvviso avevi
il volto dell'acqua fresca e cangiante
flessuosa come il ruscello nell'estate arsa
racchiusa nella conchiglia che ho aperto
mentre le stelle impazzavano discrete.
***
Sotto la regolarità dello sguardo
le ciglia hanno smarrito la musica
l'anima precipita per ogni dove
e i quadranti temporali sono sghembi.
Siamo rimasti ostaggi delle lunghe piogge
e delle partenze forse senza ritorno
l'acqua e la pianura segnata dal serpe
per nascere non ebbero bisogno di noi
ma ci danniamo per attribuire un senso.
Le tarme hanno rosicchiato la madia
le mani fredde gelano l'impasto del pane
ed é inutile strigare e strigare.
Vincenzo Gasparro é nato a Ceglie Messapica (Br).
Tra le opere di poesia: Taccuino (L’Autore Libri Firenze, 1994); Parole mai distratte (Gazebo, Firenze, 2000); Grazie  per i balconi fioriti (Bastogi, Foggia, 2001); Barchette arancio e limone (Bastogi, Foggia, 2002); Nel mattino disperso (LietoColle, Faloppio, Como, 2004); La cura di Gaia (LietoColle, Faloppio, Como, 2006); Il passero maldestro, (LietoColle, Faloppio, Como, 2008).

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :