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‘Vinciamo noi, ma chi ride è Fiat’

Creato il 24 maggio 2014 da Cassintegrati @cassintegrati

Alcuni dipendenti dello stabilimento Fiat di Melfi avevano fatto ricorso per essere stati trasferiti in un reparto non idoneo alle loro condizioni di salute. Ora hanno vinto il ricorso. Ma non torneranno alla catena di montaggio. Perché nel frattempo sono stati “venduti” assieme al traferimento del loro ramo d’azienda. L’inchiesta di Michele Azzu per l’Espresso.

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“Michele Corbosiero ha cominciato a lavorare a 14 anni come apprendista meccanico in un’officina”, così dice la relazione medica di quello che oggi è un 47enne con 16 anni in Fiat dietro le spalle. Non avrebbe certo immaginato, quel ragazzino, che 33 anni più tardi, dopo un infarto e un intervento, avrebbe vinto il ricorso contro Fiat.

Già, perché se negli ultimi mesi dello stabilimento lucano della Fiat si è parlato per il video di “Happy” girato in fabbrica, o per le auto straniere impacchettate con la scritta “Ci spezzi il cuore” (la nuova campagna marketing Fiat), ci sono forse altri fatti che vanno raccontati.

Sono i ricorsi per quattro operai della Fiom spostati nel 2011 dalla catena di montaggio a un altro reparto, la ex Itca. Michele Corbosiero, che soffre di cardiopatia e ipertensione, Marco Forgione, operato per un tumore (di loro due L’Espresso scrisse qui), Sergio Gallo, anche lui cardiopatico e Michele Rauseo, ipertensione.

Tutti e quattro trasferiti nel capannone della lastratura, detto ex Itca, lontano dalla fabbrica. In mezzo ai fumi della lastratura: “Nell’agosto del 2011 ho avuto un malore, e ho aspettato l’ambulanza per mezz’ora perché la ex Itca è più lontana dal presidio medico dello stabilimento Fiat”, racconta Corbosiero.

Michele lo scorso 9 aprile ha vinto il ricorso. L’ordinanza lo ritiene non idoneo a lavorare alla ex Itca. Due anni fa il Tribunale di Melfi aveva dato ragione anche a Marco Forgione, riportandolo al montaggio. “Mi hanno offerto un posto in ufficio ma ho rifiutato per principio”, racconta. Sergio Gallo e Michele Rauseo, anche loro il 23 dicembre scorso hanno avuto l’ordinanza a favore.

La vincenda dei tre operai, però, sembrerebbe non finire qui. Perché nel frattempo la ex Itca lo scorso gennaio è stata venduta a un’altra azienda, la PMC. Un traferimento di ramo d’azienda che ha comportato anche il passaggio dei dipendenti. Così mentre Forgione ha avuto la sua sentenza nel 2012, ed è potuto tornare in catena di montaggio, i rimanenti tre ora non potranno farlo. Perché non sono più dipendenti Fiat.

QUEI TRE OPERAI LICENZIATI DOPO LO SCIOPERO

Le vicende giudiziarie dello stabilimento Fiat Sata a Melfi sono ben note. Lo scorso luglio la Cassazione ha stabilito il reintegro dei tre operai licenziati nel 2010 con l’accusa di sabotaggio dopo uno sciopero: Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte, Marco Pignatelli. Tre gradi di giudizio hanno riconosciuto il reintegro per i tre operai, assieme alla condotta antisindacale dell’azienda (L’Espresso se ne è occupato qui).

C’è un legame tra quei licenziamenti e i trasferiti alla ex Itca? Scrive l’avv. Petrucci nel reclamo all’ordinanza riguardante Sergio Gallo: Una percentuale considerevole “dei lavoratori trasferiti alla ex Itca sono tesserati Fiom”. Continua: “componenti del direttivo Fiom di fabbrica, come Michele Rauseo e Rosa Santoro, simpatizzanti Fiom, testimoni/informatori, come Marco Forgione, nella nota azione giudiziaria (…) riguardante il licenziamento di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli”.

IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO

Tuttavia, mentre per il ricorso di Forgione il giudice ha accolto la causale discriminatoria, nelle restanti tre cause (Corbosiero, Rauseo, Gallo) non è andata alla stessa maniera. Il giudice ha preso in considerazione unicamente la tutela del diritto alla salute. Ma i documenti di valutazione del rischio (DVR) non sono mai arrivati. “Il DVR serve a capire i movimenti di carico, i rischi chimici, il tempo del ciclo, le criticità come richiesto dal Testo Unico. Fiat è inadempiente dal settembre 2012″, spiega l’avvocato Petrucci. Il giudice Sciascia il 17 settembre 2012 richiamava Fiat Sata a presentare i documenti: “Ordina alla parte resistente di esibire in giudizio, entro la fissanda udienza, copia del Documento di valutazione del rischio”. Ma i documenti non verranno mai depositati.

I MONITORAGGI E IL SOPRALLUOGO

In assenza dei DVR sono stati messi agli atti una serie di monitoraggi effettuati da Fiat Sata negli scorsi anni: è a questi documenti che farà riferimento la perizia tecnica. I monitoraggi vengono commissionati da Fiat Sata nel 2010 e nel 2011 alla società Fenice S.p.A, sotto processo per l’inquinamento provocato dall’inceneritore di Melfi. Per il medico degli operai, dott. Umberto D’Orsi, si tratta di documenti inattendibili perché: “privi della necessaria condizione di attualità (…) valutazioni ambientali e lavorative non attuali non dimostrate, non indagate”.

Il 13 dicembre 2012 viene effettuato il sopralluogo alla ex Itca. Gli operai presenti si rendono conto che il reparto è stato risistemato nei giorni precedenti l’ispezione. “Abbiamo insistito perché venissero verbalizzate le modifiche – racconta l’avvocato Petrucci – perché era l’unico modo che avevamo per farlo rilevare al magistrato”. Racconta Corbosiero: “È stato pitturato a terra, sono state fatte le modifiche sugli aspiratori, l’impianto della saldatura andava piano”. Continua: “I pezzi della lavorazione sono pieni di olio, quel giorno erano tutti puliti, nemmeno una goccia”.

Ora Michele Corbosiero ha vinto il ricorso. Non dovrebbe più stare tra i fumi della saldatura della Itca. Eppure non tornerà in montaggio perché a gennaio il suo reparto è stato trasferito. Michele non è più dipendente Fiat. “Non so cosa mi faranno fare perché con la cassa integrazione ancora non mi hanno richiamato”, spiega. Ma tornare in Fiat sarà dura. Chissà se lo avrebbe immaginato da ragazzino, quando a 14 anni faceva l’apprendista meccanico, prima di passarne altri 16 in Fiat.

di Michele Azzu l’Espresso(Foto: protesta del 2010 a Melfi)

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