Parola che oggi è usata sempre più spesso per indicare l’accoppiamento di cibi e vini, sia in senso generale (quando si tratta di definire il vino in assoluto più indicato ad accompagnare un certo piatto), sia nel caso concreto di un determinato pranzo (quando, sulla base di un certo menu, si devono scegliere i tipi di vino più adatti a ottenere un risultato armonico). Invece, l’abbinamento di cibi (per esempio, contorni con piatti di mezzo, tipi di pane con antipasti o pietanze) si chiama accostamento (v.).
Nel passato È importante osservare che, storicamente, l’abbinamento di cibi e vini non ha mai avuto l’attenzione che gli si dedica oggi. Una certa cura nell’accostare una determinata vivanda a un determinato vino e, più in generale, una preoccupazione di armonizzare la sequenza dei vini serviti sia fra loro sia con la sequenza dei piatti, non compaiono seriamente nella storia della gastronomia prima della metà del Settecento: si pensi che Brillat-Savarin, pur essendo un innovatore, non ha dedicato praticamente all’argomento alcuna attenzione, meritandosi, qualche decennio dopo, i rimbrotti di Baudelaire. Bisogna anche tenere conto del fatto che, fino alla metà del XIX secolo, i vini erano in gran parte rossi o liquorosi e che la “cultura del vino bianco” si è diffusa soltanto successivamente. I vini, poi, anche quelli con le stesse denominazioni oggi note, erano diversi dagli attuali: questo in parte per l’invasione della fillossera alla fine dell’Ottocento, che costrinse i viticoltori europei a innestare i vitigni su ceppi americani, con conseguente variazione delle caratteristiche organolettiche dei vini; in parte per le diverse tecniche di vinificazione e anche per il diverso gusto dei bevitori (un esempio: il Barbaresco, nell’Ottocento era un vino abboccato e “vivace”). Gli abbinamenti cominciarono a essere in qualche modo codificati nel secolo XIX, anche se con criteri molto diversi dagli attuali: fino alla seconda metà di quel secolo, per esempio, con le ostriche veniva servito un vino liquoroso, il Sauternes. Fu però soltanto verso i primi anni del Novecento che l’abbinamento cibo-vino cominciò ad avere un serio rilievo in gastronomia, anche se ancora per molti anni il vino non venne considerato elemento primario: basta leggere la classica opera di Escoffier, Il libro dei menu, e si vedrà che in coda al testo vengono proposte una serie di vini, ma senza abbinamenti indicativi. Oggi, finalmente, l’abbinamento cibo-vino ha tutta l’attenzione che merita, anche in Italia; semmai, come spesso succede, si tende a cadere nell’eccesso opposto, cioè a creare una minuziosa rete di prescrizioni che finiscono per congelare la fantasia e l’estro individuale. L’abbinamento cibo-vino deve essere, invece, una scelta personale e meditata, in conformità a punti di riferimento il più possibile oggettivi, partendo, senza pedanteria, da alcuni dati di fatto.
Cibi e vini Ogni piatto, o quasi, ha un suo accompagnamento ideale in un vino. Sebbene un cibo viva di vita propria, l’abbinamento con un vino adeguato ne esalta le caratteristiche, e crea una sintonia che sottolinea felicemente gli aspetti essenziali della preparazione gastronomica. È importante per prima cosa organizzare una corretta sequenza delle portate di un menu, definendo una successione che si apra con piatti delicati, magri, leggeri e con aroma relativo; quindi, portate leggermente più complesse e aromatiche, di media struttura, che andranno a introdurre a loro volta cibi di forte aroma, grassi, strutturati, concentrati e vellutati; si concluderà con un dessert che può spaziare dall’aromatico al coprente, dal dolce al molto dolce. Schematicamente, a questa sequenza andrà affiancata una successione di vini in armonia con le caratteristiche dei diversi cibi, e quindi nell’ordine: vini bianchi tenui, freschi, aciduli e giovani; poi vini di buona intensità, asciutti o leggermente effervescenti, equilibrati (dai bianchi ai rosati, ai rossi giovani); quindi prodotti decisi, intensi e persistenti, tannici, austeri e di buona struttura (rossi di gran corpo e invecchiati); infine, per il dessert, vini di buona intensità, aromatici e di corpo, amabili, abboccati o dolci in base alle caratteristiche del cibo. Questa guida di riferimento nasce da uno schema abbastanza chiaro, che è possibile determinare raggruppando sia i cibi sia i vini in categorie, per la precisione cinque. Per i cibi sono: aromi, grassi, struttura, riduzione (salsa), dolcezza; per i vini sono: aromi, capacità sgrassante, struttura, invecchiamento, sensazione dolce-secco. Ogni suddivisione di cibo deve armonizzarsi con la corrispondente classe per il vino, abbinandosi per similitudine o per contrasto. Nel primo gruppo, a un cibo coprente si abbinerà un vino persistente e aromatico, a un cibo speziato un vino intenso e penetrante, e cosi via scalando verso sensazioni più sfumate: si ha in questo caso un abbinamento per similitudine. Nel secondo gruppo, con un piatto molto grasso andrà un vino allappante ed effervescente, con un cibo grasso un vino tannico, con un cibo meno grasso un vino asciutto e vivace: è questo, invece, un caso di abbinamento per contrasto. L’armonia viene creata per similitudine nelle ultime tre categorie: un cibo molto strutturato sarà accompagnato con vino vellutato e corposo; un piatto concentrato con un vino austero; per i dessert un vino abboccato si abbinerà a un cibo dolce, uno molto secco a un gusto amarognolo (mandorle). Particolare è l’accostamento con i formaggi: in genere, a tipi molto piccanti ed erborinati si adattano vini decisamente liquorosi. Passando dalla teoria alla pratica, bisogna rilevare che l’equilibrio di gusto che si realizza in un abbinamento ottimale ha una forte componente soggettiva, legata alla sensibilità e all’esperienza di chi lo attua. Esistono, tuttavia, alcune regole che sono verificabili nel piacere gastronomico, per cui certe scelte hanno una ragione non solo in modelli astratti, ma nella pratica dell’assaggio, addirittura nel pranzo quotidiano. Intuire l’abbinamento negativo facilita la comprensione di quello ottimale: il Soave, abbinato alla carne di cinghiale, si “offusca”, scompare, non viene recepito, poiché le finezze e la freschezza del vino vengono coperte dalla prepotenza del piatto, dalla concentrazione aromatica della salsa (riduzione) e dalla personalità della carne. Uguale discordanza, anche se in senso opposto, si nota abbinando il Barolo ai gamberi alla griglia: la struttura, la persistenza, il tannino, il carattere austero del vino coprono la dolcezza e immediatezza dei crostacei, creando disgustosa disarmonia.
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