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Violenza politica e sociale: (i) perché no?

Creato il 13 novembre 2013 da Ivano Asaro @IvanoAsaro
Violenza politica e sociale: (i) perché no?
Abbiamo chiamato la carogna del nostro tempo Berlusconi, Bush J, Sarkozy. Abbiamo gridato per il portafoglio vuoto. Abbiamo votato tutto ed il suo contrario non rendendoci conto della verità. Il male, abbiamo sempre cercato di identificarlo in tizio o caio, e questo discorso valica i confini italiani. Siamo stati stupidi fondamentalmente. Ci siamo chiesti innumerevoli volte: “se io sono, per lo più, una brava persona, come la gente che mi sta accanto, perché il mondo vira sempre di più verso l'autodistruzione?” Domanda sensata che però non guarda alla natura delle cose. 
Ci siamo persino dati una risposta: “E' la Crisi Economica”. 
Certo la difficoltà aguzza l'ingegno, trasformandolo talvolta in bieca furbizia. Ma queste non sono altro che pie illusioni di chi alla fine sta bene persino nella disperazione, piuttosto che avere l'ardire di guardarsi allo specchio. In questi anni ci siamo raccontati la storiella della crisi, che c'è per carità, ed i ristoranti non sono tutti pieni. Ma abbiamo ascritto a questo tema i nostri problemi, in ciò le ansie sociali hanno trovato un facile contenitore. “La crisi c'è: è per questo che le anime si incarogniscono”. Per qualche tempo ci ho creduto pure io. Ma poi non più. Perché i ricchi sono dissennati o privi di etica? Loro non hanno “la crisi” che affligge il popolino. Perché gente che guadagna un patrimonio ogni mese sente l'esigenza di accumulare altro denaro, evadendo le regole e la morale, specie nel settore pubblico e politico, rischiando di perdere tutto? Loro dovrebbero essere esenti dall'anima incarognita che invece dovrebbe albergare in quelle periferie suburbane dove, purtroppo, il crimine è per lo più tollerato e concesso come palliativo. 
La tesi della crisi non funziona, od almeno non è esaustiva. 
Violenza politica e sociale: (i) perché no?
Viviamo le cose intorno a noi, e non ci rendiamo conto che cambiano loro perché cambiamo noi, e vicendevolmente avviene anche il contrario. La crisi, di per se vuol dire poco. Dalla seconda rivoluzione industriale in poi i cicli economici si sono ripetuti più e più volte, e le crisi sono argomento di studio, spesso evocate dagli esperti. Qui il problema è alla radice. Nel corso degli ultimi venticinque anni, si è dato seguito ad un nuovo modo d'intendere la vita, dello stare al mondo. Potremmo dire che c'è stata una nuova concezione filosofica diffusa che ha animato il globo. Chi ne sono stati gli antesignani? Sarebbe un discorso riduttivo fare i nomi, se non appunto indicandoli come meri simboli di un processo più ampio e sicuramente complessissimo. Per farla breve il mondo è cambiato quando due figure hanno raggiunto il vertice del potere nei loro rispettivi Stati, ovvero Ronald Regan e Margaret Thatcher. Il loro potere, i loro supporti, la rete di potenze più o meno celate che li hanno sorretti nella loro azione, ha stravolto il modo di stare al mondo. Regan e Thatcher non solo hanno creato le impalcature post-sociali per ciò che ci sarebbe stato dopo la guerra fredda, ma hanno anche permesso di eliminare alcuni stereotipi su cui l'intero pianeta civile si basava. Le sponde, anche qui i nomi sono elementi simbolici, sono state sia nelle potenze economiche che avevano generato questo processo, sia in classi dirigenti a noi note, come ad esempio quelle incarnate da Andreotti e, più di lui, CraxiViolenza politica e sociale: (i) perché no? La smaterializzazione della classe dei minatori britannici, o le prime deregolamentazioni al mercato finanziario, sono mosse di quel periodo, così come la corsa al Pil, l'aumento del debito pubblico per favorire la crescita. In quegli anni si è creato un mostro, travestito da falso benessere diffuso, basato sulla materialità. Certo non è il caso di perdersi in discorsi ideologici, la lotta tra capitale ed ideologia è finita, ed ha nettamente vinto il modello capitalistico. Moralmente si è accettato, anche capillarmente tra la gente, l'idea che tutto avesse un prezzo, tutto poteva essere comprato, e che quindi tutto avesse una vendibilità. Ci ritroviamo ora, a trent'anni da quei fatti, a giustificare la tracotanza di personaggi che hanno grandi conti in banca, o l'ignoranza di chi guida la più potente nazione del mondo, sol perché dietro ha le banche d'affari più influenti. Conscio che il discorso sia catastrofico e persino difficile da accettare in alcuni suoi punti, credo che sia necessario fare l'ultimo passo di questa analisi. Se in anni ormai lontani qualcuno ha disegnato una società dove lo sviluppo si misura sui soldi, il benessere sulle proprietà, ed oggi ne piangiamo le conseguenze, cosa possiamo fare? 
Sicuramente combattere il sistema. 
Detta così è chiaro che sembro riferirmi ad un retaggio di anni oscuri per nostro paese. Ci siamo resi conto che le cose non vanno ed allora protestiamo. Bisogna capire quindi contro chi protestare e cosa fare. Dilemma di non poco conto, che quasi tutti i paesi a cultura occidentalizzata hanno declinato a proprio modo. Negli Usa, la vittoria di Obama prima e De Blasio poi, ci dicono che si è sovvertito, o si tenta di farlo, l'ordine delle cose. Prima il paese poteva essere fieramente discriminante e anti-socialista, ora si vota un nero ed un quasi comunista. In Francia dopo il sogno Sarkozy, si vota Hollande, personaggio goffo che fa della sinistra idealizzata il proprio metodo, con risultati discutibili, ma di sicuro con idee palesi. In Germania, dove le cose vanno piuttosto bene, si procede semplicemente cambiando i supporti alla Merkel, che governa ad ogni elezione con maggioranze a percentuali variabili. In Spagna dopo Zapatero, quello della bolla edilizia, sopraggiunge il popolare, e molto di destra, Mariano Rajoy, con tutte le sue ambiguità. 
Ed in Italia? Da noi la voglia di cambiamento si chiama Grillo. 
Beppe Grillo, con il suo movimento, hanno incarnato lo spirito di ribellione dallo stato di catalessi ed assoggettamento del popolo. Il nemico c'è e si vede. Grillo lo ha fortemente idealizzato nella classe politica, vecchia e stagnante, che da quarant'anni si barcamena tra Camera e Senato. I suoi voti, tantissimi, ne hanno decretato la forza elettorale e decisoria. I risultati? Opinabili, come tutto in politicaViolenza politica e sociale: (i) perché no?
Il problema però nel discorso fatto non è Obama, ne De Blasio, ne tanto meno la Merkel, Mariano Rajoy o Grillo. Il vero tema, di delicatissima trattazione è: se questi simboli, presto o tardi falliranno, cosa accadrà? Se i portafogli continueranno ad alleggerirsi, le speranze a diminuire ed i suicidi ad aumentare, ci saranno altre soluzioni? Se le ultime speranze che il mondo democratico è stato in grado di fornire falliranno, che ne sarà del mondo istituzionalizzato? Difficile a dirsi. Di certo il mondo, la maggior parte di esso, guarda al problema con occhi inquisitori: c'è sempre un colpevole, qualcuno che ha la responsabilità. 
Obama e De Blasio vincono perché rappresentano la lotta ai poteri forti e finanziari; Hollande alla stupidità amministrativa di Sarkozy; la Merkel combatte contro i piagnistei dei popoli mediterranei, scansafatiche e cialtroni; Rajoy contro il socialismo idealistico di Zapatero; Grillo contro la casta politica, al grido di “tutti a casa”.  Violenza politica e sociale: (i) perché no?
Fin quando ci sarà un nemico, fin quando ci sarà il voto di pura protesta, poco o nulla cambierà in meglio. 
Il passo successivo non sarebbe altro che la violenza e la lotta politica. I moralismi non mi piacciono ne tanto meno auspico gli anni di piombo, ma se c'è un nemico, e questo non va via con le buone, presto o tardi scatteranno le cattive maniere. Non c'è da fare qui osservazioni di carattere ontologico, basti dire che è sempre avvenuto: laddove il regnante od i poteri oligarchici hanno afflitto il popolo, si è passati al tritolo ed alla presa della BastigliaSe Grillo fallirà, chi ha creduto nel suo sogno, considerando tutta la politica sbagliata e la sua vita un inferno per colpa di questa, come reagirà? Saranno tutti bonari e calmi nel rivedere le loro posizioni? Ci saranno solo coscienziosi padri di famiglia? E' evidente che il “no” sia la risposta certa. 
La violenza è il gradino successivo alla bomba sociale su cui siamo attualmente seduti.  Violenza politica e sociale: (i) perché no?
La violenza è già presente, ma ancora una volta non ci accorgiamo di essa, perché non chiamiamo violenza un figlio lontano migliaia di chilometri dal padre, un suicidio per un mutuo non pagabile, l'evasore con la Ferrari. Ancora ci culliamo nel sogno che ciò non ci sia e che non possa più accadere, e quindi ci sconvolgiamo di ciò che avviene in Val di Susa od a Roma per qualsiasi rivendicazione dal basso. Io però credo che la violenza, ancorché vicina, sia certamente da lottare perché sbagliata. La violenza, le insubordinazioni, il terrorismo, la lotta armata, sono termini imprescindibili dal mondo che abbiamo di fronte, ma che possiamo eludere se ragioniamo in modo diverso. Il problema è tutto qui a mio avviso.  Violenza politica e sociale: (i) perché no?
Dobbiamo renderci conto che il sistema del nemico non funziona. 
Il nemico, se esistesse, sarebbe facile da battere, invece non esiste. Possiamo chiamarlo mafia, terrorismo, speculazione, possiamo considerare nemici Riina, le Br, o Maddoff, ma eliminati loro, come abbiamo avuto modo di appurare, non è finita la speculazione, la corruzione o la malversazione. Il vero problema è altro. Il vero tema siamo noi stessi, il nostro egoismo. Berlusconi, Bush, Riina, Bush, Maddoff, Eta, Bin Laden, sono il frutto dell'egoismo individuale, più che sociale, che colora il mondo. Siamo noi che vogliamo il favore, la vita semplice, senza costi, con le furberie, a creare questi mostri sociali più o meno pericolosi. 
La violenza sociale verso cui andiamo in contro è eludibile solo se ci rendiamo conto che dobbiamo cambiare noi stessi per cambiare il circostante. Ciò, io credo, purtroppo che non accadrà. 
Ivano Asaro

Violenza politica e sociale: (i) perché no?

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