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"Vita di Pi" di Ang Lee

Creato il 08 gennaio 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Francesca Pegoraro

Locandina Italiana

Nelle nostre sale cinematografiche è recentemente uscito Vita di Pi, tratto dal best seller mondiale di Yann Martel, diretto dal quattro volte premio oscar Ang Lee, che ne è anche il produttore insieme a Gil Netter e David Womark, con la sceneggiatura di David Magee, gli effetti speciali della Rhythm & Hues Studios e l’interpretazione di Suraj Sharma, Adil Hussain, Irrfan Khan, Gérard Depardieu e Tabu. L'attesissimo film ha dato il via alla cinquantesima edizione del New York Film Festival giungendo sulle scene dopo una produzione tormentata iniziata nel febbraio del 2003 e che ha visto l’ingaggio e la successiva rinuncia di ben tre registi prima di arrivare al suo effettivo creatore: M. Night Shyamalan, Alfonso Cuarón e Jean-Pierre Jeunet.

Una delle locandine americane

Quando uno spettatore lascia il tepore della sua casa, oppure rinuncia a tornavi dopo una stressante giornata di lavoro, affrontando il freddo, il traffico e magari anche la pioggia per andare a vedere un film con un simile pedigree, sprofondando comodamente nell’avvolgente poltroncina del cinema ha sicuramente grandi aspettative. Quando invece abbandona la suddetta poltroncina al termine della visione, lo stato d’animo con cui riconsegna al personale di sala gli appositi occhialini per la visione in 3D non è forse così leggero e ben disposto, perché probabilmente un sottile senso di delusione, di incompletezza starà scavando nel suo animo, risvegliandolo dall’ipnosi in cui il regista l’ha indotto con la complicità dei famosi occhialetti. 

L’inconfondibile marchio della delusione sarà infatti riconoscibile al primo sguardo sui volti di tutti coloro che hanno stretto con il Pi di Martel una profonda amicizia Per non parlare dell’amarezza di chi addirittura se ne è innamorato intrecciando una relazione complicata e sicuramente anche un po’ segreta, visto il carattere di questo amante, troppo intriso di argomenti religiosi e così spietatamente veritiero nella rappresentazione della natura e delle sue leggi, e troppo scomodo per permettere di essere visti in sua compagnia alla luce del sole senza destare scandalo. 

Come appare oggi la Piscine Molitor di Parigi

La Piscine Molitor come era una volta

Dopo un inizio che fa ben sperare e che ci predispone ad assistere alla vivificazione del nostro amico-amante di carta, il carattere illusorio delle nostre speranze si palesa in tutta la sua tristezza. Ang Lee riesce subito a ipnotizzarci, con tutti quegli animali esotici che ci vengono incontro e persino a stregarci con quel magistrale colpo di genio, per mezzo del quale l’ultimo fotogramma della sigla ci mostra per la prima volta Richard Parker non direttamente, bensì attraverso un riflesso sull’acqua, legando per sempre e immantinente il destino e il significato dell’animale all’elemento equoreo che la farà tra poco da padrone. Assolutamente bellissima è poi la scena del tuffo di Mamaji, tanto bella e realistica che anche noi, al calduccio nella nostra poltroncina, tratteniamo d’istinto il fiato e sentiamo la carezza perfetta e liscia del freddo scivolare dell’acqua sulla pelle. Ma l’incanto dura poco. Non appena veniamo introdotti alla presenza dei genitori di Pi, ci rendiamo conto che il regista ha dato il nostro amico in adozione a una coppia sconosciuta dove la madre assomiglia a un incrocio fra la madre naturale e la zia, con l’aggiunta di qualche condimento esotico non meglio definito; mentre il padre ha perso tutta la sua dolcezza e accondiscendenza per trasformarsi in un individuo chiuso, ostinato e sordo, che non conosce altro modo di dimostrare la sua sollecitudine verso la famiglia che il dispotismo. Tutto questo potrebbe essere ancora, se non accettabile, quanto meno giustificabile in nome degli inevitabili tagli che si rendono necessari nel passaggio dalla carta allo schermo, ma Lee è assolutamente impenitente e ce la mette tutta per farsi negare la grazia del perdono, osando persino ritoccare una campione d’eccellenza come Pi.

La solitudine di Pi

Piscine è stato privato della sua anima o meglio all’animo di Piscine e alla sua mente non è stato dato il peso e lo spazio che essi meritavano; la profondità filosofica delle sue scelte religiose è interpretata come acriticità, incapacità di discernimento e la sua fede è presentata come esaltazione al limite dell’irrazionale, arrivando persino a mettere in bocca a Pi ciò che egli non avrebbe mai neppure osato pensare: il dubbio. In questo modo lo scopo perseguito da Martel così tenacemente, ovvero esplorare la potenza di un incredibile dispositivo di sopravvivenza come la fede, viene lasciato a bordo della nave merci Tsimtsum e con essa perisce

Pi e Richard Parker

In una siffatta rivisitazione c’è posto anche per l’invenzione e così spunta anche una fidanzatina che Piscine, al momento della partenza, abbandona in lacrime quale novello Romeo indiano. La narrazione della prima parte del naufragio, con la decisione di Pi di provare ad addestrare la tigre, è inoltre raccontata con piccole inversioni cronologiche che la rendono confusa e fanno perdere tutta la climax della presa di coscienza del protagonista in merito alla sua condizione. 

Il regista Ang Lee

Con tutte queste licenze poetiche Ang Lee ha trasformato un testo che oscilla vertiginosamente fra le più opposte pulsioni umane innalzandosi a vette himalayane da profondità oceaniche in un piatto tavoliere pugliese in modo tale che il film risulta godibile solo per chi non abbia letto e amato il libro. La pellicola presa in se stessa è infatti molto bella e non dubito che uno spettatore ignaro del testo di Martel la troverà sicuramente affascinante, riuscendo viva e movimenta anche in assenza di fatti concreti da raccontare grazie ai trucchi del 3D che allettando l’occhio distraggono la mente, ma certamente il suo protagonista non potrà suscitare l’empatia del suo omonimo cartaceo. 

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