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Vita quotidiana di un traduttore editoriale

Creato il 22 settembre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Vita quotidiana di un traduttore editoriale

Pubblicato da Redazione Vita quotidiana di un traduttore editoriale Mettere per iscritto riflessioni sull’arte della traduzione non è mai semplice. È una materia talmente vasta  “ein zu weites Feld” come amava ripetere Herr von Briest nel capolavoro di Fontane  che meriterebbe di essere affrontata anche con altri articoli. Stavolta vorrei porre l’accento sulla pratica della traduzione, non intesa come atto traduttivo in sé, ma proprio come possibilità di praticare il mestiere del traduttore vivendo di questa professione. In particolare vorrei brevemente soffermarmi su quanto viene riportato in uno studio della DGT (Directorate general for Translation) intitolato “The status of the Translation Profession in the European Union” (ovvero, lo status della professione del traduttore nell’Unione Europea). Lo studio prende in esame la situazione lavorativa dei traduttori di alcuni stati membri. Ovviamente è stata dedicata un’attenzione particolare alla categoria dei traduttori giurati, ma sono stati riportati anche dei dati (minimi, purtroppo) sui traduttori editoriali. Ed eccoli qui: lo studio inizia affermando che in tutta l’Unione il 74% dei traduttori sono dei free-lance, mentre il 60% di essi sono traduttori part-time. La retribuzione annua dei traduttori varia, ovviamente, da uno stato membro all’altro, ma quello che colpisce di più è la grande disomogeneità delle retribuzioni stesse che variano da meno di 6.000 euro l’anno a più di 50.000. Gli stati membri presi in esame per questo studio sono la Germania, il Regno Unito, la Romania, la Slovacchia e la Spagna. La maggior parte dei traduttori intervistati riferisce che nel sistema contributivo del loro paese di origine, la categoria professionale dei traduttori non esiste. I traduttori devono registrarsi o come lavoratori dipendenti o come lavoratori autonomi e quest’ultimo gruppo comprende anche i traduttori editoriali che lavorano in regime di diritto d’autore. 

In alcuni Stati però, i traduttori editoriali godono di alcuni “privilegi”. In Austria, per esempio, possono richiedere un aiuto economico per l’assicurazione sulla salute alla Literar Mechana, l’associazione che tutela chi lavora in regime di diritto d’autore; in Spagna i traduttori editoriali non pagano l’IVA, ma in generale lo studio evidenzia che i traduttori editoriali sono sottopagati anche rispetto ai traduttori tecnici che pure guadagnano poco. In Italia, i traduttori editoriali vendono alla casa editrice i loro diritti d’autore per un periodo di venti anni. Ciò significa due cose: 


  • 1. Il traduttore riceve solo il compenso pattuito nel contratto con l’editore, sia che il libro in questione venda una copia o un milione di copie (pensate alle traduttrici della trilogia delle Cinquanta sfumature. Quante copie hanno venduto quei libri? Loro di sicuro non ci hanno guadagnato altrettanto bene.) 
  • 2. Se la casa editrice in quei venti anni decide di ripubblicare il libro, al traduttore non verrà corrisposto nessun altro compenso. Basta dare uno sguardo, anche fugace, ai cataloghi delle nostre case editrici per scoprire che in Italia, più del 90% dei libri che vengono pubblicati sono tradotti. 

Bene!, potrebbe pensare l’aspirante traduttore fresco di laurea che non vede l’ora di cimentarsi nella traduzione di un’opera narrativa. In realtà non va poi così bene, perché entrare nel mondo dell’editoria come traduttore è un’impresa tra le più ardue. Questo piccolo particolare viene accuratamente “omesso” nei corsi di traduzione che si seguono all’Università. Se è per questo, nessun docente in quei corsi (che non solo dovrebbero renderti migliore come persona e come traduttore, ma che dovrebbero prepararti un minimo all’impatto col vero mondo della traduzione) si prende la briga di avvisare gli aspiranti traduttori che: 
  • 1. La maggior parte dei traduttori traduce solo come secondo lavoro, perché di sola traduzione non si può vivere (e lo studio della DGT lo riporta);
  • 2. Le tariffe praticate dalle agenzie di traduzione per traduzioni tecniche sono davvero basse e in genere si viene pagati a 90 giorni dalla consegna del lavoro o a 120 (sempre che i titolari poi non accampino scuse come “c’è la crisi, se non posso pagarti capirai…”, o che paghino quando gli torna più comodo); 
  • 3. Che quelli che si mantengono lavorando a tempo pieno come traduttori si contano sulle dita di una mano; 
  • 4. Che i traduttori editoriali sono pagati ancora meno dei traduttori “tecnici”.

Se tutto questo venisse messo in chiaro fin dall’inizio forse non ci sarebbero così tanti giovani ad affollare i corsi di traduzione. Eppure, conoscere bene almeno un paio di lingue dovrebbe costituire un gran bel punto di forza per trovare lavoro. Mi chiedo, se un parrucchiere (con tutto il rispetto per i parrucchieri) si può permettere di chiedere anche 90 euro per taglio e piega, perché mai un traduttore, che ha sicuramente studiato molto di più di un parrucchiere, viene sottopagato? 
Vita quotidiana di un traduttore editoriale Sapete quanto si riceve in media a cartella per un romanzo di circa 400 pagine dall’inglese? 3.75 euro su cui poi dovrete pagare le tasse. Per la traduzione di un romanzo dal tedesco — combinazione linguistica che dovrebbe essere mediamente pagata di più data la maggiore difficoltà nell’imparare la lingua e la conseguente “penuria” di traduttori  un collega mi riferisce che gli sono stati offerti ben 2.97 a cartella (con tempi di consegna ancora più ristretti rispetto a quanto solitamente ha a disposizione). Una cifra da capogiro, vero? Direi che siamo ben oltre la soglia dello sfruttamento. 

Chi tra voi starà leggendo questo intervento si chiederà giustamente perché ho deciso di continuare a tradurre. La risposta è molto semplice: per passione, perché è l’unica cosa che mi fa stare bene e che amo fare. E pur di continuare a farlo, pur di continuare a coltivare il sogno di poter tradurre un giorno per la casa editrice che amo più di tutte, Adelphi, sono disposta a massacrarmi otto ore al giorno lavorando fuori casa, facendo un lavoro che detesto per poter contare su uno stipendio che mi permetta di pagarmi l’affitto, e mi riduco a tradurre la notte. La mia vita sociale si è drasticamente ridotta e soprattutto sono sfinita, mentalmente e fisicamente, perché forse non esiste lavoro intellettuale più duro del tradurre. Quello che mi chiedo è: come mai in un paese tanto esterofilo i traduttori sono malpagati e trattati ancora peggio? Come mai è diventato così difficile riuscire a farsi assegnare una prova di traduzione? Perché le case editrici non si prendono la briga di rispondere quando ci si presenta chiedendo di poter fare una prova? Perché siamo troppi? Eppure senza traduttori moltissime case editrici italiane non potrebbero sopravvivere. 

Sono davvero l’unica traduttrice che ha provato a presentarsi a qualche casa editrice durante il Salone del Libro di Torino ed è stata guardata dall’alto in basso e spesso trattata con sufficienza da chi presidiava gli stand degli editori? Eppure i traduttori dovrebbero essere una delle figure professionali più importanti del mondo dell’editoria. Invece no. Siamo scocciature, che però permettono agli editori di arricchirsi. Perché vedete, cari colleghi e lettori di questo blog, in Italia (e forse anche all’estero) è ormai passato il messaggio che la traduzione può essere un hobby e come tale può anche non essere retribuito. Perché quando l’editore ti offre 2.97 euro a cartella e ti paga dopo 6/8 mesi, sta di fatto sminuendo la tua professionalità e la fatica di anni e anni di studio, salvo poi esigere traduzioni di qualità. Ci mancherebbe altro! A queste condizioni, di che tipo di qualità stiamo parlando? Mi è capitato spesso di conoscere persone che traducono “per arrotondare”? Si è mai sentito di un dentista o di un avvocato, che dopo anni di fatica e di studio, estraggono denti o discutono cause in tribunale per “arrotondare”? La professionalità di un traduttore e la qualità del suo lavoro possono davvero essere solo una questione di “arrotondamento” di bilancio? Nonostante tutto questo continuo a tradurre e faccio davvero del mio meglio per consegnare all’editore un lavoro di qualità. Sicuramente a volte posso riuscirci meglio di altre e di certo non sono immune da errori, ma l’editore cosa fa per mettermi nelle condizioni di potergli dare un lavoro di qualità?

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