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Vite da Facebook

Creato il 29 dicembre 2013 da Albertocapece

0530 stl facebook.jpgAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ieri una mamma  ha annunciato la morte della figlia in un incidente d’auto  sul suo profilo di Facebook. Lo stesso hanno fatto gli amici della donna vittima dell’ex compagno, rea di essersi costruita una identità sotto falso nome sul social network. Una giovane malata che ha difeso i test sugli animali è stata oggetto di una campagna denigratoria e bersaglio di minacce crudelissime ancora su Fb.

Pare che lo strumento di comunicazione più impalpabile, aereo,  immateriale, sia quello che garantisce invece la permanenza, che nega l’oblio nel bene e nel male, a imperitura memoria di convinzioni e slealtà, di amori e tradimenti, di promesse e infedeltà, di  viltà e coraggio.

Sono arcaica, non ho gli strumenti per interpretare con lungimiranza tutto questo, del pensiero liquido mi è affine solo una frase del suo guru, genio della propaganda e geniale titolista di fenomeni artificiali a cominciare dall’estimità: il futuro non esiste, bisogno inventarselo. Per me il Pc è stato una macchina da scrivere più efficiente, anche se dell’Olivetti rimpiango il padrone e il ticchettio, non so e non voglio leggere gli e book, nutro una diffidenza insanabile per le confessioni pubbliche e le conseguenti sentenza come i processi di London, non mi accontento di un “mi piace”, sospetto delle foto ritoccate così come vengono ritoccate le proprie esistenze per renderle più accettabili agli altri ma soprattutto agli autori di vite parallele. Prendo i social network per quel che sono, preziosi ripetitori di opinioni, insostituibili, ormai, canali di informazione spontanea, quindi concorrente con i media tradizionali, ne misuro i limiti, primo tra tutti quello di offrire una comunicazione grezza, istantanea e non ragionata né verificata, ma d’altra parte avrei timore di qualsiasi forma di selezione dei dati, che sottintenda una censura, come invece piacerebbe a un ceto che twitta ma ne vorrebbe circoscrivere la portata, che pubblichino foto taroccate di insulse e inoffensive nudità o mettano sotto accusa comportamenti castali. Mi ripugna un aspetto non marginale invece, il fatto che atti squisitamente privati – gli atti privati per eccellenza – siano rivelati e esposti in pubblico, in un’ostensione offerta  a “amici” sconosciuti, come a chi si trovi a passare  in quell’arena pubblica, uno spazio aperto ad ingressi incontrollati,  per dare sfogo con spericolata voluttà a  argomento di rilevanza, interesse ed emozione assolutamente personali.

Sono arcaica ma sono anche incantata da un nuovo mondo che vede la commistione tra reale e virtuale fino a confonderne i confini, da una rivoluzione digitale che ha determinato due universi paralleli con inattesi punti di incontro, che ha fatto di noi uomini a due dimensioni, con una  vita online e una vita offline. Sono piena di sorpresa curiosità per un futuro da crearci, nel quale si muovono bambini che   crescono senza nemmeno poter immaginare che la connessione al Web possa non esserci, a rischio di sentirsi globalmente spaesati fino essere inesistenti.

Sono arcaica e mi offende che si possa ridurre la partecipazione a un clic a un mi piace a un condivido, che come il voto è stato ridimensionato a pallida imitazione, a liturgia officiata per sentirsi affini, alla   scelta di “preferiti” con le stesse modalità dei reality,  così la democrazia è sminuita a una rappresentazione, a una raffigurazione  che ne esalta gli aspetti formali e convenzionali.

Sono arcaica e mi dolgo che sia spettato ai  social network  intercettare le nostre paure,  di non essere visti, di essere soli, di non essere ascoltati, di non essere graditi, come quando da bambini il trenino, la bambola che piange, il Lego, appena regalati a Natale, ci aiutano a fare amicizia, fino ad averne 5000 sui quali abbiamo un potere assoluto, se possiamo cancellarli con un pulsante.

Sono arcaica e mi turba l’immortalità inesorabile, implacabile, che ci fa imbattere in amici che non ci sono più, imbalsamati in profili che si aggiornano meccanicamente e perversamente, che qualcuno pietosamente alimenta, che altri sfuggono come in una pratica apotropaica, in un perpetuarsi del lutto, senza ricordo e senza dolcezza.

Sono arcaica e la rete mi aiuta ma non mi basta a sentirmi vicina a chi amo, che l’amore vuole  carezze, bisbigli, sussurri, calore, sguardi, una felicità che si deve toccare, come quel futuro che dobbiamo crearci.


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