A. e M. sono una coppia appena sposata, con una figlia di un anno, che parte a Lisbona per il viaggio di nozze. Il volo di linea Bologna- Lisbona si rivela l’inferno piombato a 20 mila metri di quota. La bimba pensa bene di dormire fino al momento del decollo, poi inizia il suo show della durata di 3 ore. Agganciata alla cintura della mamma, comincia a guardarsi attorno e a reclamare il suo diritto all’esplorazione del veivolo. Lo fa cominciando a scartabellare le istruzioni di emergenza, le riviste in portoghese, gettando tutto per terra, poi scalcia il sedile davanti cominciando a canticchiare uno strano motivetto salmodiante con cui affossa la minchia per quasi due ore ai viaggiatori che imprecano in silenzio. I due genitori cercano di far passare il tempo alla bimba in tutti i modi, cantano, recitano, accendono e spengono le luci e le prese d’aria, poi decidono di darle dei biscotti, con i quali la bimba, piuttosto che mangiarli, decide di pitturare ogni cosa che si trova a portata di mano, Decidono dunque di farla bere: il biberon con tappo salva-goccia, una volta aperto dal papà, per poco non esplode per effetto della pressione accumulata, per il 90% depositandosi in faccia al padre e per il 10% sui passeggeri davanti, i quali, vedendo acqua piovere dal cielo sono già pronti ad urlare in preda al panico.
Ma al peggio non c’è fine. Arriva il pranzo a bordo. Mentre la mamma mangia come una forsennata la sua lasagna a duemila gradi, il padre tiene la bimba che si contorce come un’odalisca, con una mano cerca di mangiare, con l’altra di evitare che la bimba si pianti un coltello in gola, e in tutto questo tiene incollato ai denti il bicchiere di plastica col vino bianco, sorseggiandolo con piccoli movimenti sussultori del collo. Quando l’aereo atterra i due genitori sono ad un solo passo dal fare una strage motivata dalla ordinaria follia. PRIMA CENA E PRIMA NOTTE A LISBONA A e M, quelli senza figli, hanno affittato un appartamento nel centralissimo quartiere della Baixa. Fuori piove e decidono di mangiare un italianissimo piatto di pasta a casa. Nel relax del silenzio appena interrotto dalla pioggia di fuori, la stanchezza del viaggio si trasforma in desiderio, e non appena i piatti vengono vuotati i due si abbandonano nel letto matrimoniale, trombando come antiche divinità greche. A e M con figlia al guinzaglio hanno affittato un appartamento nel centralissimo quartiere della Baixa. Fuori piove e decidono di mangiare un italianissimo piatto di pasta a casa. Non prima di aver fatto però mangiare la bimba che, essendo ormai passata l’ora di cena, si contorce in sguardi truci e sonorità ricche di astio. Nella casa manca un seggiolone. Questo significa che, per la sera e per tutti pranzi e le cene che verranno, la mamma imboccherà la bimba e il papà farà da sedia, tenendo ferma e impegnata la piccola anguilla che tutto vuol fare tranne che mangiare tranquilla e assennata. Infatti, per inaugurare il parquet lisbonese, la piccola piovra dà una manata al piatto di plastica e rovescia per terra la poltiglia informa dal vago sapore di lenticchie. Il padre emette inudibili maledizioni rivolte a varie divinità estintesi ennemila anni fa. La cena della bimba dura la bellezza di 45 minuti, passata ad intrattenerla cantando imperdibili pezzi rock quali il Torero Camomillo, Mi scappa la pipì e il Gatto Puzzolone. Dopo di chè la bimba viene lasciata a scoprire casa nei suoi gattonamenti, e i genitori consumano veloci il loro pasto controllando che la bimba non infili l’intera mano nelle accoglienti prese elettriche portoghesi. Conclusa la cena, arriva il tempo del riposo. La casa non possiede un lettino per bimbi e il letto matrimoniale è troppo piccolo per ospitare tutti e tre. La soluzione è ovvia: il padre dorme nel letto singolo dell’altra stanza, e lo farà fino alla fine della vacanza: posizione del kamasutra forse scomoda, ma di certo sicura. LISBONA E LA PIOGGIA. A Lisbona piove, e pioverà per due giorni quasi ininterrottamente. A e M non lo ritengono un problema. E’ una pioggia sottile, quasi una nebbiolina che avvolge la città in un’atmosfera nordico atlantica che rende omaggio alla sua posizione e alla sua storia. Bastano due ombrellini per andare in giro per la città e fare la prima scoperta dei quartieri d’intorno, e stando attenti si possono salire le scalinate che dalla Baixa conducono al Chiado e poi su al Largo do Carmo, e poi dentro fino ad arrivare al Miradouro del Jardim de San Pedro de Alcantara e godersi la prima visione di Lisbona dall’alto. Lì, nella piazzetta, sorseggiano un bicchiere di vinho verde e si sentono già irresistibilmente avvinti dall’atmosfera della città. Tornano a casa zompando e arrivativi trombano come coguari.A Lisbona piove, e pioverà per due giorni quasi ininterrottamente. A e M con figlia alle calcagna lo ritengono un dannatissimo problema. Già scarrozzare la bimba su e giù in marsupio per le salite di Lisbona sarà un accidenti di fatica, se poi ci aggiungiamo scale e ciottolato resi scivolosi dalla pioggia, l’intero affare si prospetta estenuante. E infatti il buon padre, detto piedi d’argilla, rischia di cadere due volte all’indietro, con un elevato rischio di polverizzazione dell’osso sacro. La prima volta è sulla ripida discesa che conduce al Carmo tramite la Calçada do Sacramento. Mai nome fu più azzeccato per la via, vista il fenomenale moccolo che parte dalla bocca del padre non appena la suola della scarpa scivola via dall’acciottolato e prelude al tonfo sgretola-coccige, tonfo per fortuna evitato di un pelo. La seconda scivolata avviene niente di meno che sulla scalinata della Basilica del Sè, anche qui, tonfo evitato per un pelo e microbestemmia attutita dal sollievo. Alla bimba piace il vento che si solleva sopratutto in vista del fiume, tant’è che in piena Praça do Comercio (una sorta di Piazza Unità di Trieste affacciata sul fiume anzichè sul mare) è l’unica a sorridere mentre mamma e papà di fronte alla macchina fotografica fanno facce della serie “se volevo nebbia umidità al 100% e una bastarda pioggerellina che mi entra nelle ossa me ne restavo a Bologna in Piazza VIII Agosto coi tossici”). LISBONA E GLI ELECTRICOS. I tram gialli sono il simbolo di Lisbona. Fare un giro sul tram 28 da Martim Moniz fino alla basilica dell’Estrela è l’equivalente di un giro in gondola a Venezia, solo nettamente più economico. A e M decidono dunque di non perderselo. Arrivano a Martim Moniz con la metro e attendono il loro turno tra decine di turisti e prendono posto comodamente a sedere. Il percorso offre decisamente il meglio di questa strana città fatta di saliscendi:il pittoresco quartiere di Graça, Rua Escolas Gerais che porta fino al Largo Portas del Sol e al Miradouro Santa Lucia che domina l’Alfama, più giù la Basilica del Sè, la Baixa, poi su per il Chiado, Piazza Camoes, Bica, Santa Catarina fino alla Basilica dell’Estrela. Piacevolmewnte sballottolati dall’incedere di questo mezzo novecentesco, A e M ritornano infine a casa e, non volendo fermarsi, ci danno dentro come gazzelle di Thomson. I tram gialli sono il simbolo di Lisbona. Fare un giro sul tram 28 da Martim Moniz fino alla basilica dell’Estrela è l’equivalente di un giro in gondola a Venezia, solo nettamente più economico. E dannatamente più scomodo, se il giro te lo fai in piedi. Eh si perchè A e M, con figlia in marsupio, con la pioggia che batte non possono permettersi di selezionare il tram più vuoto, e si infilano tosto nel primo tram che passa, ovviamente sovraffollato come un otre rigonfio. Non so se siete mai andati nei luna park su un trenino a binari nel tunnel dell’orrore. Bene, ricordate come accelerano e sopratutto sterzano quei cosi? Devi avere una sbarra di ferro ben stretta sulla pancia per evitare di essere scalzato dal trenino. Ora, togli qualsiasi sbarra di ferro, mettiti in piedi e considera che il tram va non a 10 ma a 40 all’ora. Serri la mano sul gancio a disposizione e per tutto il tragitto sarà come andare sul toro meccanico. Salita, brusca svolta a destra, discesa, frenata semaforo rosso, accelerazione e svolta a sinistra e poi a destra, brusca frenata per motociclista testa di cazzo, fermata a richiesta, accelerazione, stop, accelerazione, brusca svolta a gomito. M. non fa che volteggiare attorno al gancio come un ginnasta russo agli anelli, hai i polsi in fiamme e le spalle suonate come una fisarmonica. In tutto questo ci fosse almeno un civilissimo turista nordeuropeo che offre il posto quanto meno alla mamma con figlia (che nel frattempo si sta divertendo da matti). Manco per niente, i civili nordeuropei se ne stanno bellamente sprofondati sul loro seggiolino, che l’inferno li inghiotta. A e M con figlia in groppa resistono 5 minuti e scendono al Miradouro di Santa Lucia. M cerca un angolo per vomitare, A maledice nell’ordine questi dannati aggeggi demodè, l’intero secolo del novecento e quei lerci nordeuropei che la guardavano con glaciale indifferenza e invoca una ruspa che spiani i sette colli di Lisbona e faccia colare cemento su quelle maledette rotaie. La bimba invece è ancora lì che balla la cucaracha. LA GINGINHA A Lisbona si beve di tutto. D’altronde il Portogallo è regno di ottimi vini rossi e sopratutto bianchi, oltre che di impareggiabili liquori. Ma bere vinho verde o un bicchiere di porto a Lisbona è come farsi un passito di Pantelleria in un locale milanese, o scolarsi una bottiglia di Ribolla in una cenetta romana. Se vai a Lisbona devi dunque provare la ginginha, vero liquore locale, da bersi rigorosamente al banco, in piedi, in una delle micro rivendite dedite allo smercio di questo nettare di 23° al sapore di ciliegia. A e M si recano dunque ogni sera, verso le 19, come ogni vero lisbonese o lisboniano o lisboneiro che dir si voglia, a far la fila in Largo Sao Domingos, o un Rua das Portas de Santo Antao, per assaggiare la Ginginha Espinheira o la Ginginha Sem Rival. Per poco più di un euro ti danno un bicchierino pieno di liquore con due o tre ciliegie a galleggiarvi dentro. Il sapore dolciastro e intensamente alcolico richiede che i due prendano un secondo bicchierino, e poi un terzo. Il risultato immagino lo sappiate tutti. Percorrono barcollando quei trecento metri che li separano dall’appartamento, ed arrivati sopra si adagiano sul letto e trombano come dei colibrì. A e M vogliono assaggiare la ginginha, e si recano bimba al seguito presso una delle rivendite del centro. Il locale si limita ad un angusto bancone in cui un silenzioso uomo coi baffi (per inciso, in Portogallo sembra ancora di essere negli anni 70-80, la baffazza non è mai passata di moda) riempie i bicchieri da una bottiglia e sapientemente vi lascia passare tre ciliegie sotto spirito, non due, non quattro. Poi prende il denaro, ti dà il resto, e avanti il prossimo. Considerato il flusso di locali e turisti ininterrotto, ripete questo movimento almeno 1500 volte al giorno. In confronto il lavoro di un impiegato dell’Ufficio timbri è una caccia al tesoro in quanto a diversità e sfida. La rivendita, dunque è buia e frequentata da soli uomini, con un paio di ubriaconi ai lati che parlano biascicando con l’uomo coi baffi che si limita ad annuire, mentre ingollano bicchierini come se ci fosse dentro acqua di pozzo. A chiede dunque a M di prendere due bicchieri, dato che l’ambiente è più consono ad un rude maschiaccio che ad una indifesa e pettoruta signorina. “Ma ho la bimba nel marsupio”, ribatte M. “E che fa, anzi vedrai che ti prendono anche in simpatia..”. Come no. M fa dunque la fila con la bimba che si guarda attorno, e quando arriva il suo turno chiede “doisc” bicchieri di ginginha, nel suo portoghese da operetta. L’uomo coi baffi lo guarda un po’ stranito, a vederlo con la bimba in braccio, e sì che ogni giorno ha a che fare con ogni sorta di cialtrone; e gli stessi ubriaconi, probabilmente dediti alle più sordide occupazioni quotidiane, tradiscono una espressione molto simile ad un giudizio morale, del tipo “io mi ubriaco a pezza ogni giorno, picchio mia moglie quando torno a casa e mi sputtano il sussidio a bere e a giocare al videopoker, ma in confronto a te che compri ginginha portando in grembo tua figlia la mia figura paterna si eleva a quella di Bill Cosby nei Robinson”. La stessa scena si ripete ogni giorno, con diverse gradazioni di biasimo. La bimba, dal canto suo, protendendo le manine verso il bicchiere di liquore come un’assetata, non dà una grossa mano a risollevare la reputazione paterna. CENA ROMANTICA NEL BARRIO ALTO. A Lisbona è tornato ormai il sole. La temperatura è primaverile, ed invita ad uscire la sera senza particolari protezioni. Il Barrio Alto, quartiere posto in una collina al di sopra del Chiado, è il quartiere dei ristorantini e dei locali (nonchè di innocui spacciatori poco inclini alla prudenza che ti chiedono ad alta voce se ti interessa dell’hashish, e per meglio chiarire la questione te lo sventolano in faccia come se fossero bustine di zucchero). A e M non possono dunque farsi mancare una cenetta su una stradina del quartiere, in una trattoria che a prezzi modici ti fa mangiare pesce fresco e bere vino bianco. Ordinano del bacalhau assado e una dourada grelhada, con contorno di riso, patate e pomodori, e lo accompagnano con dell’ottimo vinho verde di Guimaraes. Per finire prendono un pudin flan con un bicchiere di porto. Pagato il conto continuano la loro passeggiata nelle vie della movida lisbonese, Rua do Norte, Rua Atalaia e le traverse in pendenza che le attraversano in orizzontale, bevendo sangria fino allo stordimento. Poi tornano a casa, e per uno scherzo del destino trombano come due capibàra. A e M decidono di dedicarsi una cenetta al Barrio Alto. Dopo aver fatto mangiare la bimba in appartamento, escono con il frutto del peccato ben insaccato nel marsupio alla ricerca di una trattoria. La salita verso il Chiado e poi verso il Barrio Alto pezza le ascelle paterne e fiacca il respiro materno, date le ormai residue forze vacanziere arrivate al lumicino. Dopo aver cortesemente rifiutato l’offerta di droghe pesanti da parte degli spacciatori (con la bimba che cercava di allungare le mani a catturare una simpatica bustina) trovano un localino con tavoli all’aperto. Vengono accolti da un ganimede con la voce di Amanda Lear, con con fare mellifluo e irritante fa accomodare la famigliola, parlando come il frate gobbo del Nome della Rosa nel tentativo di sfoggiare il suo confuso italiano. Offre ai genitori un seggiolino per la bimba (merce rara a Lisbona, evidentemente ritengono che uscire con bimbi piccoli al seguito sia una moda freak che non merita sostegno), ma quello che vedono arrivare è un ferro vecchio incollato con lo sputo, imbottito con plastica dura come una sedia da giardino degli anni ’80, che si incastra al tavolo con un meccanismo di carrucole poco oliate. La bimba viene inserita in questa sorta di gigantesco apparecchio ortodontico, dalla quale cerca di sgusciar via manco fosse Oudini. Il risultato è la restituzione dell’amena carriola ad Amanda Lear e la bimba che viene tenuta in braccio a turno ora dal padre, ora dalla madre. La tecnica è la stessa. Chi prende il piatto più facilmente mangiabile/meno pericoloso da armeggiare con una bimba sulle ginocchia cerca di farlo in tempi non troppo prolungati, perchè non si sa mai quando un vulcano può eruttare. Chi è rimasto senza bimba non se la può godere troppo. Deve mangiare ingollando con un imbuto il cibo che ha preso in modo tale da dare il cambio al proprio consorte. Il risultato che è che il cibo e il vino ondeggiano nello stomaco di entrambi nè assaporati nè assimilati. Il conto viene pagato (manco un centesimo di mancia a quell’insopportabile damerino) e la coppia con figlia al traino prova a tornare giovane bevendo sangria nelle stradine del Barrio, per tornare a casa brilla, con il mal di stomaco e con la schiena spezzata dalle salite. Durante la notte la porta della camera in cui dorme M si spalanca e all’assonato marito appare la propria moglie che tiene in braccio la figlioletta come se si trattasse di una strega di Salem dopo un sacrificio di un bambino. “Mi scappa da pisciareeee!”, è la giustificazione di A, mentre M si prende in braccio la bimba con le mani tremanti dallo scampato infarto. ATE’ LOGO, LISBOA A e M, quelli con figlia in groppa, sono arrivati alla fine della loro vacanza. Hanno provato a vedere il possibile, a mangiare il mangiabile, a trincare il trincabile, senza farsi troppo condizionare dal piccolo batuffolo di tritolo. E’ costato lacrime e sangue, ma alla fine la vacanza se la sono goduta. Dopo decine e decine di pasteis de nata, una mazzuolata di kilometri a piedi su e giù per la città, un discreto quantitativo di bicchierini di ginginha, un bastimento di pesce cucinato bene e a buon mercato, migliaia di tram gialli passati al loro fianco, è arrivato il momento di lasciare Lisbona. All’alba, nel gate dell’aeroporto, mentre la bimba dorme nel marsupio, i due abbracciati ripensano alla loro vacanza. E mentre guardano la bimba che dorme beata, sembrano quasi dimenticare tutta la fatica spesa e i compromessi fatti per far funzionare una vacanza a tre. Sembrano, infatti. Perchè, seppur stanchi da morire si abbracciano, si guardano seriamente in faccia e si scambiano una promessa: “Ci torneremo ancora. Ma con lei, con quella”, fanno indicandola figlia come se fosse una lucertola in un vetro sotto spirito, “con quella mai più. Mai più. MAI PIU’…” Quindi si pungono gli indici con un ago e premendo le dita così ferite l’una contro l’altra, suggellano il loro patto col sangue. A e M, quelli senza figli, stanno per tornare a casa. Hanno visto, mangiato, bevuto, passeggiato e consacrato nel sesso sfrenato a loro unione matrimoniale. Ma adesso che stanno per lasciare Lisbona, sembra che qualcosa manchi. “E’ stata una vacanza splendida”, dice lei. “Ma adesso voglio un bambino! E la prossima volta che ci torniamo, promettimi che ci verremo tutti e tre!”. E quel povero, ingenuo, sventurato coglione, promise di sì.Magazine Società
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