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...stringiamci a coorte siam pronti alla morte siam pronti alla morte, l'Italia chiamò!
Il 12 Novembre di dieci anni fa, un folle si faceva esplodere a Nassiriya uccidendo ventotto persone, diciannove dei quali soldati, nostri compatrioti, in missione per normalizzare la situazione Afghana. Ho usato la parola "normalizzare" perché non ritengo assolutamente reale o realistico alcun tentativo di far passare un intervento armato quale operazione volta a esportare democrazia o a portar pace.
Tanto meno, e spero che si capisca l'intento, sono disposto a chiamare eroi i caduti, poiché nulla di eroico c'è stato in quella triste morte, nessun gesto epico da ricordare, soltanto, semplicemente, morte. La stessa, per intenderci, delle migliaia di vittime di altri attentati; persone che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Magari eroi lo erano stati per altre gesta che non conosco (e confesso, la speranza è che sia così) ma, ribadisco, non certo per il fatto di essere morti in un attentato. Spero che in questo preambolo risulti chiaro che no ho nulla contro le vittime: io stesso ho avuto esperienza di militare in uno Stato estero e mai verrà meno la mia ammirazione per coloro che si espongono a tal punto per gli interessi della Patria (che di questo e non di altro si tratta e, a mio avviso, non è neppure sbagliato): la mia è solo un'idea ben precisa di cosa sia eroico e di cosa non lo sia, al di là delle retoriche stucchevoli o della consolazione che viene proposta alle famiglie delle vittime.
Non eroi, dunque, di certo vittime, quantunque qualcuno si ostini, accecato dalla propria ideologia, ad affermare che in fondo il rischio lo conoscevano e che è piuttosto normale che una parte di soldati finisca morto ammazzato da ordigni o comunque da azioni di guerra o guerriglia.
Rifiuto questa tesi perché la ritengo indegna e del resto mi pare chiaro e sono dunque convinto di come quei soldati siano stati vittime. Vittime dell'ideologia religiosa che ha spinto un folle ad immolarsi, con la promessa di un paradiso al fine di scaraventare all'inferno gli infedeli invasori. Vittime perché, sebbene i responsabili come spesso accade in questo disastrato Paese abbiano fatto carriera, la base era tutt'altro che sicura. Vittime come i nove indigeni che consapevoli del pericolo hanno preferito collaborare con qualcuno che, invasore o meno, era disposto a dare loro un sogno, una speranza, di un Paese più libero, di una vita migliore.
Fanno specie invece le parole della deputata penta stellata E. Corda, che ribadisce come anche l'assassino suicida fosse a sua volta vittima. Non ha invero torto la deputata: è infatti drammaticamente logico che le condizioni di vita e la perversa ideologia religiosa (allora quella mussulmana, in altre parti quella indù, in altri tempi quella cristiana...) siano le vere armi che hanno provocato il massacro. Sono persino consapevole che non è del tutto vero che alla fine un uomo possa sempre scegliere: siamo troppo bene abituati, nel nostro libero occidente, per accorgerci della menzogna! Che però il carnefice vada ricordato, addirittura commemorato, è assurdo almeno quanto ripugnante. Non almeno dal popolo che ha avuto suoi servitori uccisi dilaniati in un inferno di fiamme e polvere. Lo commemorino coloro che lo hanno plasmato se la loro follia non ha ancora prosciugato l'ultima stilla di umanità. Per quanto mi riguarda, non ho lacrime da versare se non quelle per i nostri morti, senza alcuna retorica. Anche se a sentire i ragionamenti dei nostri deputati, ahimè, le lacrime agli occhi vengono eccome.
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