Fratelli d’Italia L’Italia s’è desta, Dell’elmo di ScipioS’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, Ché schiava di RomaIddio la creò.Stringiamci a coorte Siam pronti alla morte L’Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò
autore Goffredo Mameli 1827/1849 poeta soldato e volontario garibaldino
Avete letto il testo dell’inno italiano? Io lo trovo bello, adatto al nostro paese, perché racconta la nostra storia e perché dunque ci appartiene (ritorna il tema dell’appartenenza appena affrontato nel post precedente).
Non se ne parla dunque di doverlo cambiare o di doverlo sopprimere lasciando che sia solo la parte musicale a rappresentarci, visto che è stata contestata l’espressione “schiava di Roma”.
Dovremmo proprio essere fuori di testa se arrivassimo a mettere in dubbio quello che è semplicemente la nostra identità comune; contro Roma si può dire di tutto e di più, ma non può essere certo messa in discussione la sua gloria, la sua bellezza, la sua storia, il suo significato, quello che è da sempre per il mondo ancor prima che per gli italiani.
Per l’Italia rappresenta inequivocabilmente la conquista dell’unità nazionale, il nostro diventare un solo popolo sotto la stessa bandiera.
Ogni altro riferimento è e rimane fuori luogo, semplicemente polemico e non pertinente, non pertinente al contesto in cui la città eterna viene citata nell’inno.
Dopo 150 anni dall’unità del paese (relativamente pochi se confrontati con le unificazioni accadute nei paesi confinanti) purtroppo abbiamo ancora notevoli conflitti interni che dimostrano la veridicità della famosa frase pronunciata, sembra da Massimo d’Azeglio, che recitava “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”
Gli italiani, è un dato di fatto, non si sentono tutti uguali, nel senso che non si riconoscono affatto partecipi dello stesso destino; ci sono quelli del nord, quelli del centro e quelli del sud; al nord ci sono i mangia polenta e i mangia usei, i nostalgici della corona ed i fomentatori di ogni moto possibile rivoluzionario; al centro ci stanno quelli sulle rive di levante e quelli sulle rive di ponente, quelli che stanno un poco più a nord del centro e quelli che stanno un poco più a sud; al sud ci stanno quelli che lavorano quello che possono, a costo di fatiche non indifferenti e quelli che non lavorano per nulla perché si fanno mantenere dallo Stato (e guai a chi osasse pensare a un cambiamento), ci stanno quelli che piuttosto che chiedere assistenza preferiscono mangiare pane e cipolla e quelli che se non ricevono fondi dalla Comunità Europea non s’inventano nessuna “Operazione S.Gennaro” .
E poi c’è la mafia, o meglio le mafie; ogni territorio ha la propria, ci sono quelle tradizionali e di lungo percorso come quelle avanguardistiche e di nuova generazione, quelle locali e quelle importate, quelle silenziose e quelle che fanno tanto rumore…in comune hanno che non c’è stato governo politico che abbia saputo fermarle, e che anzi, coloro che hanno saputo fare molto, sono stati abbandonati proprio dallo Stato.
E poi c’è il Vaticano, particolare unico che realmente ci distingue da ogni altro stato europeo; qui i pareri si sprecherebbero, perché ci sono quelli che dicono che la sede del Vaticano in Roma è la rovina della nostra politica, come ci sono quelli che sostengono l’esatto contrario.
E poi c’è la differenza di territorio e di cultura; dalle Alpi piemontesi alle coste quasi africane della Sicilia , dai ghiacciai maestosi che sono il vanto della nostra cultura montana ai cantieri navali sempre aperti che occhieggiano dalle coste del nostro Mediterraneo; dalle metropoli superaffollate della Lombardia alle zone desertiche e disabitate della Sardegna, dalla nebbia padana delle nostre campagne antisismiche alle foreste sempre verdi ed oscure della Calabria, dai numerosi borghi antichi medioevali testimoni immutevoli del tempo alle architetture futuristiche che svettano solari e dinamiche come veri gioielli del tempo moderno.
E poi ci sono i conflitti di schieramento, terribili, mai risolti, tra chi si sente di destra o di sinistra, conservatore o riformista, moderato o terrorista, filo governativo o filo oppositore, liberale o rigidamente ideologico, pro ritorno al divieto dell’aborto e pro favorevole a che queste sacrosante conquiste sociali non vengano e non possano mai più essere perse…
Sì, l’Italia è lunga e stretta, è varia; ma non deve essere divisa e non deve dividersi.
Purtroppo in parte lo è, lo siamo, e si rischia di diventarlo più di quanto già non sia ; per questo è importante non permettere che malumori serpeggianti ma non ben identificati possano prendere il sopravvento su quello che deve rimanere un luogo dove si eserciti soprattutto la capacità di convivere e di trovare un punto dì incontro.
Ecco che anche in politica si presentano dominanti le questioni del cuore e non solo della ragione, della legge. Che poi che cos’è il cuore se non una forma di ragione personale, interna, specifica, che chiede di trovare la Sua collocazione dentro lo spazio comune, che è di tutti?
Vorrei aggiungere, per amore di completezza, solo due osservazioni rivolte direttamente ad altre due parole del testo riportato che è quello originale, come ricevuto dalla storia: nello scritto si usano la parola Balilla, alla quale parola chiaramente si riferì il fascismo, e la parola vespri, di chiaro riferimento confessionale (oltre la parola Iddio/Signore).
Ordunque, non si abbia la mala sorte di concludere con questo che l’inno è un inno di destra, e che l’inno è un inno cattolico e contrario al laicismo. Bisogna senz’altro collocare queste parole tutte (Roma, Balilla e Vespri in chiaro riferimento a Dio pronunciato più volte) in quello che sono stati i moti del 1848, in quello che era l’Italia allora, e l’Europa allora, e l’uso del linguaggio allora. Allora sarebbe stato inimmaginabile pensare ad un governo laico che avesse in avversione ogni riferimento alla chiesa (non ne esisteva ancora la necessità), senza contare che l’uso del termine vespro è da intendere in un senso elevato e sacrale, non certo riduttivamente confessionale; vespro sta per benedetto, sta per benvoluto, sta per condiviso dalla volontà di tutti, sta per “suonano le campane, è giunta l’ora”
Senza contare che laico sta per “chi non permette alla religione di diventare questione di Stato” e tra questi ci mettiamo tutti i cattolici ed i cristiani che tengono la loro religione per sè, senza rinnegarla ma senza appunto farne una questione di condizione sine qua non si possa ragionare…
Io cristiana, considero il laicismo la maggiore conquista della politica, e dopo il laicismo ci metto le conquiste radicali sul diritto all’aborto e sul diritto al divorzio. Con questo non mi sento meno cristiana di altri che si allineano sotto la posizione ufficiale della Chiesa; semplicemente dico che in un paese ognuno deve essere libero di potere esercitare la propria libertà con leggi che lo aiutano a farlo, e da qui ecco che emerge tutta la fondamentalità della Legge, quella legge che solo il cuore può fare giustamente interpretare. Traduco: non è detto che siccome c’è la legge che permette il divorzio, io abbia a divorziare; o ancora, non è detto che siccome c’è la legge che permette l’aborto io abbia un giorno ad abortire…non è detto, ma rimane aperta la via nella perfetta legalità…è questo quello che conta. Le fedi si scelgono, non possono essere imposte; l’imposizione delle fedi è l’atto più bestiale che ogni Stato ha compiuto e potrebbe tornare a compiere verso i suoi sudditi sovrani. E’ sempre il complicato e delicato rapporto legge/cuore già affrontato in chiave più psicologica nel post precedente. Le due sfere si influenzano, si rapportano in modo naturale nel singolo e condizionano la vita collettiva.
Non è detto che siccome non c’è una determinata legge, un comportamento non contemplato possa venire condannato a priori; sono le azioni nuove e a volte destabilizzanti che permettono la stessa evoluzione della legge che per sè rimane un motore lento, rigido, burocratico, al contrario del cuore che è un motore veloce, elastico, spontaneo.
E ancora, allora sarebbe stato inimmaginabile prevedere che la parola Balilla, riferita ad un giovanissmo eroe della rivoluzione del 1746 che vide Genova contro il dominio austriaco, sarebbe poi diventata più tristemente associata ad altri eventi, ad altri contesti, non altrettanto eroici…I nostri avi non possono certo essere responsabili di quello che i loro successori andranno forse un giorno ad inquinare o a manipolare.
Per favorire questo cuore, questa unità, questo senso di appartenenza (sempre lei la protagonista) non si cerchi allora di fare sempre i primi della classe quando si è solo quelli che portano a casa la sufficienza, non si continui a fare divisione quando di tutto abbiamo necessità tranne che di vedere un nuovo conflitto di classi; anzichè fomentare le idee secessioniste (strettamente legate ad un federalismo che dovesse essere solo fiscale e non culturale), si cerchi di incoraggiare le idee di uguaglianza, ogni singolo individuo (politico o non politico) si prenda il carico di se stesso in questo compito, nella misura delle sue risorse, delle sue aspettative e delle sue opportunità. Foss’anche per dire che l’inno non è perfetto ma ci racconta e ci invita all’unione, proprio l’unione che nella cultura ancora ci manca, che l’inno è legato a un tempo eroico del quale se ne sono perse le tracce, e che il problema del nostro cantare il canto di Mameli è che non abbiamo più fedi, non abbiamo più eroi, non abbiamo più bandiere pulite a cui offrire la vita. Forse.
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