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Viva l’Italia ancora da fare

Creato il 24 settembre 2010 da Dallomoantonella

 

Fratelli d’Italia L’Italia s’è desta, Dell’elmo di ScipioS’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, Ché schiava di RomaIddio la creò.Stringiamci a coorte Siam pronti alla morte L’Italia chiamò. 

Noi siamo da secoli 

Calpesti, derisi, 

Perché non siam popolo, 

Perché siam divisi. 

Raccolgaci un’unica 

Bandiera, una speme: 

Di fonderci insieme 

Già l’ora suonò. 

Stringiamci a coorte 

Siam pronti alla morte 

L’Italia chiamò. 

Uniamoci, amiamoci, 

l’Unione, e l’amore 

Rivelano ai Popoli 

Le vie del Signore; 

Giuriamo far libero 

Il suolo natìo: 

Uniti per Dio 

Chi vincer ci può? 

Stringiamci a coorte 

Siam pronti alla morte 

L’Italia chiamò. 

Dall’Alpi a Sicilia 

Dovunque è Legnano, 

Ogn’uom di Ferruccio 

Ha il core, ha la mano, 

I bimbi d’Italia 

Si chiaman Balilla, 

Il suon d’ogni squilla 

I Vespri suonò. 

Stringiamci a coorte 

Siam pronti alla morte 

L’Italia chiamò. 

Son giunchi che piegano 

Le spade vendute: 

Già l’Aquila d’Austria 

Le penne ha perdute. 

Il sangue d’Italia, 

Il sangue Polacco, 

Bevé, col cosacco, 

Ma il cor le bruciò. 

Stringiamci a coorte 

Siam pronti alla morte 

L’Italia chiamò 

autore   Goffredo Mameli  1827/1849  poeta soldato e volontario garibaldino 

Avete letto il testo dell’inno italiano? Io lo trovo bello, adatto al nostro paese, perché racconta la nostra storia  e perché dunque ci appartiene  (ritorna il tema dell’appartenenza appena affrontato nel post precedente).

Non se ne parla dunque di doverlo cambiare o di doverlo sopprimere lasciando che sia solo la parte musicale a rappresentarci,  visto che è stata contestata  l’espressione “schiava di Roma”.

Dovremmo    proprio essere fuori di testa  se arrivassimo a mettere in dubbio  quello che è semplicemente la nostra identità comune;  contro Roma si può dire di tutto e di più, ma non può essere certo messa in discussione  la sua gloria, la sua bellezza, la sua storia, il suo significato, quello che è da  sempre per il mondo ancor prima che per gli italiani.

Per l’Italia rappresenta inequivocabilmente  la conquista dell’unità nazionale, il nostro diventare un solo popolo sotto la stessa bandiera.

Ogni altro riferimento è e rimane fuori luogo, semplicemente polemico e non pertinente,  non pertinente al contesto in cui la città eterna  viene citata nell’inno.

Dopo 150 anni dall’unità  del paese (relativamente pochi se confrontati con le unificazioni  accadute nei paesi confinanti)  purtroppo abbiamo ancora notevoli conflitti interni che dimostrano la veridicità della famosa frase pronunciata,   sembra da Massimo d’Azeglio,  che recitava  “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”

Gli italiani, è un dato di fatto, non si sentono tutti uguali, nel senso che non si riconoscono affatto partecipi dello stesso  destino; ci sono quelli del nord, quelli del centro e quelli del sud; al nord ci sono i mangia polenta  e i mangia usei,   i nostalgici della corona  ed i fomentatori di ogni moto possibile rivoluzionario; al centro ci stanno quelli sulle rive di levante e quelli sulle rive di ponente,  quelli che stanno un poco più a nord del centro e quelli che stanno un poco più a sud; al sud ci stanno quelli che lavorano quello che possono,  a costo di fatiche non indifferenti  e quelli che non lavorano per nulla perché si fanno mantenere dallo Stato (e guai a chi osasse pensare a un cambiamento), ci stanno  quelli che piuttosto  che chiedere assistenza   preferiscono mangiare pane e cipolla e quelli  che se non ricevono fondi dalla Comunità  Europea non s’inventano nessuna  “Operazione  S.Gennaro” .

E poi c’è la mafia, o meglio le mafie; ogni territorio ha la propria,  ci sono quelle tradizionali e di lungo percorso  come quelle  avanguardistiche  e  di nuova  generazione, quelle locali e quelle importate,  quelle silenziose e quelle che fanno tanto  rumore…in comune  hanno che non c’è stato governo  politico  che abbia saputo fermarle,  e che anzi, coloro che hanno saputo fare molto,  sono stati  abbandonati proprio dallo Stato.

E poi c’è il Vaticano, particolare unico  che realmente ci distingue  da ogni altro  stato  europeo;  qui i pareri si sprecherebbero,  perché ci sono quelli che dicono che la sede del   Vaticano in Roma  è la rovina della nostra politica,  come ci sono quelli che sostengono l’esatto contrario.

E poi  c’è la differenza di territorio  e di cultura; dalle Alpi  piemontesi alle coste   quasi  africane  della  Sicilia , dai ghiacciai maestosi  che   sono  il vanto  della nostra cultura montana ai cantieri navali  sempre  aperti  che occhieggiano dalle  coste  del nostro Mediterraneo;   dalle metropoli superaffollate   della  Lombardia alle zone desertiche e disabitate  della Sardegna, dalla nebbia padana  delle nostre campagne  antisismiche   alle foreste  sempre verdi ed oscure  della Calabria,  dai numerosi borghi antichi medioevali  testimoni  immutevoli del tempo  alle architetture   futuristiche   che svettano solari e  dinamiche  come veri gioielli del tempo moderno.

E poi ci sono i conflitti  di schieramento, terribili, mai risolti,  tra chi si sente di destra o di sinistra, conservatore o riformista, moderato  o terrorista, filo governativo  o  filo oppositore,  liberale o  rigidamente  ideologico, pro  ritorno al divieto dell’aborto e pro favorevole a che queste sacrosante conquiste sociali non vengano e non possano mai più essere perse…

Sì, l’Italia è lunga e stretta, è varia; ma non deve essere divisa e non deve dividersi.

Purtroppo in parte lo è, lo siamo, e si rischia  di diventarlo più di quanto già  non sia ;   per questo  è importante  non permettere che malumori  serpeggianti  ma non ben identificati  possano prendere il sopravvento su quello che deve rimanere un luogo  dove   si eserciti    soprattutto  la capacità  di  convivere e di trovare un punto  dì incontro.

Ecco che anche in politica si presentano   dominanti   le  questioni del cuore e non solo della ragione, della legge. Che poi che cos’è il cuore se non una forma di ragione personale, interna, specifica, che chiede di trovare la Sua collocazione  dentro  lo spazio comune, che è di tutti?

Vorrei  aggiungere,  per amore di completezza,  solo due osservazioni rivolte direttamente  ad altre due parole del testo  riportato che è quello originale, come ricevuto  dalla storia: nello scritto   si usano la parola Balilla,  alla  quale  parola  chiaramente si riferì il fascismo, e la parola vespri, di chiaro riferimento confessionale (oltre la parola Iddio/Signore).

Ordunque,  non si abbia la mala sorte di concludere con questo che l’inno è un inno di destra, e che l’inno è un inno cattolico e contrario al laicismo. Bisogna senz’altro collocare queste parole tutte  (Roma, Balilla  e Vespri in chiaro riferimento a Dio pronunciato più volte)  in quello che sono stati i moti del 1848, in quello che era l’Italia allora, e l’Europa allora, e l’uso del linguaggio allora.  Allora sarebbe stato  inimmaginabile pensare ad un governo laico che avesse in avversione ogni riferimento alla chiesa (non ne esisteva ancora la necessità), senza contare  che l’uso del termine vespro  è da intendere  in un senso elevato  e sacrale, non certo riduttivamente  confessionale;  vespro sta per benedetto, sta per benvoluto, sta per condiviso dalla volontà di tutti, sta per “suonano le campane, è giunta l’ora”

Senza  contare che laico sta  per “chi non permette alla religione di diventare questione di Stato” e tra questi ci mettiamo tutti i cattolici ed i  cristiani  che tengono la loro religione per sè, senza rinnegarla ma senza appunto farne una questione di condizione  sine qua non si possa ragionare…

Io cristiana,  considero il laicismo la maggiore conquista della politica, e dopo il laicismo ci metto le conquiste radicali sul diritto all’aborto e sul diritto al divorzio. Con questo non mi sento meno cristiana di altri  che si allineano sotto la posizione ufficiale della Chiesa; semplicemente dico che  in un paese ognuno deve essere libero di potere esercitare la propria libertà con leggi che lo aiutano a farlo, e da qui ecco che emerge tutta la fondamentalità della Legge,  quella legge che solo il cuore  può  fare giustamente interpretare.  Traduco:  non è detto che siccome c’è la legge che permette il divorzio, io abbia a divorziare; o ancora,  non è detto che siccome c’è la legge che permette l’aborto io abbia un giorno ad abortire…non è detto, ma rimane aperta la via nella perfetta legalità…è questo quello che conta. Le fedi si scelgono, non possono essere imposte; l’imposizione delle fedi è l’atto più bestiale che ogni Stato ha compiuto e potrebbe  tornare a compiere verso i suoi sudditi sovrani.  E’  sempre il complicato e delicato rapporto legge/cuore  già affrontato in chiave più psicologica nel post precedente. Le due sfere si influenzano, si rapportano in modo  naturale  nel singolo e condizionano la vita collettiva.

Non è detto che siccome non c’è una determinata legge,  un comportamento non contemplato possa venire condannato a priori;  sono le azioni nuove e a volte  destabilizzanti che permettono la stessa evoluzione della legge che per sè  rimane  un motore lento, rigido, burocratico,  al contrario del cuore che è un motore veloce, elastico, spontaneo.

E  ancora, allora sarebbe stato inimmaginabile prevedere che la parola Balilla, riferita ad un giovanissmo eroe della rivoluzione del 1746 che vide Genova  contro il dominio austriaco,   sarebbe poi diventata più tristemente associata ad altri eventi, ad altri  contesti,  non altrettanto  eroici…I  nostri avi  non possono certo essere responsabili  di quello che i loro  successori andranno forse  un giorno   ad inquinare o a manipolare.

Per favorire questo cuore, questa unità, questo senso  di appartenenza (sempre lei la protagonista) non si cerchi allora di  fare sempre i primi della classe quando si è solo quelli che portano a casa la sufficienza, non si continui  a fare divisione  quando  di tutto abbiamo necessità tranne che  di  vedere un nuovo conflitto  di  classi; anzichè fomentare  le idee secessioniste  (strettamente legate ad un federalismo  che dovesse essere solo fiscale e non culturale),  si cerchi  di incoraggiare  le idee  di uguaglianza,  ogni singolo individuo  (politico o non politico) si prenda il carico di se stesso  in questo compito, nella misura delle sue risorse, delle sue aspettative e delle sue opportunità.  Foss’anche  per dire  che l’inno non è perfetto ma  ci racconta e ci invita all’unione, proprio l’unione che  nella cultura ancora ci manca, che l’inno è legato a un tempo eroico del quale se ne sono perse le tracce, e che il problema del nostro cantare il canto di Mameli  è che non abbiamo più fedi, non abbiamo più eroi, non abbiamo più  bandiere pulite  a cui offrire la vita. Forse.

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