Il Presidente del Consiglio lascia allibito il mondo della scuola: una delle massime cariche dello Stato all’attacco della scuola dello Stato. Protestano opposizioni e studenti, mentre il ministro Gelmini nega l’accaduto. Indignati insegnanti e sindacati.
La scuola dei tre iati
di Marina Boscaino e Marco Guastavigna
La proposta è quella di aprire un dibattito. E non rispondeteci: “No, il dibattito no”, come Nanni Moretti. Vogliamo tentare, noi donne e uomini di buona volontà, di sfatare l’ipocrisia di chi dipinge un modello professionale da “Digital Prof” e di fatto ci confina – volendoci tali – in un ruolo di perenni amanuensi, possibilmente acritici e acquiescenti?
Lo iato degli iati è tra il teorico identikit professionale del docente (con tanto di dotazione, anch’essa teorica) e la condizione reale che ogni giorno ci troviamo ad affrontare nelle scuole. L’epica dell’e-book cozza con le condizioni di (in)sicurezza delle aule, dotate al massimo di un paio di prese elettriche; la mitologia della LIM si stempera nel rapporto Lavagne-classi, che in molte scuole (attuando una rotazione) consentirebbe a ciascuna classe di trovarsi al cospetto del Golem massimo 3-4 volte in un anno.
Strumenti per modificare pratiche didattiche e intercettare più efficacemente procedure cognitive o specchietti per allodole destinate a dare un lustro (temporaneo) ad iniziative glorificate dall’ingenuità dei media e dagli interessi economici che muovono? La realtà ci risponde tutti i giorni.
Introduzione, uso e prospettive delle tecnologie digitali nella scuola costituiscono un tema avvolto in mistificazioni più o meno consapevoli. Ne è testimone inequivocabile il perpetuarsi nell’immaginario collettivo dell’anteposizione dell’aggettivo “nuove” alla parola tecnologie: il rituale linguistico prende piede nella seconda metà degli anni Ottanta; poi scorrono i decenni, ma l’accostamento rimane obbligatorio, come immobilizzato in una formula automatica. A dire che nella coscienza comune il computer a scuola – sebbene introdotto, conclamato, istituzionalizzato – rappresenta costantemente il totem di una modernità ambigua: aprioristicamente positiva da una parte – ma sappiamo che l’a priori corrisponde spesso ad un sistema di credenze privo di respiro e di dimensione critica. Simbolo di un’aura di magica inaccessibilità dall’altra – a confinare l’oggetto, il suo uso, la sua rappresentazione socio-culturale e mentale nel mondo portentoso e impenetrabile degli “addetti ai lavori”.
Noi crediamo invece che sia giunto il momento di de-mistificare e di cercare di sfatare diffusissimi luoghi comuni che puntellano la scarsa consapevolezza che avvolge questa tematica, continuando ad impedire uno sdoganamento reale – e non solo teorico – delle tecnologie digitali nella scuola.
Solo atteggiamenti e intenzioni progettuali profondamente diversi da quelli adottati attualmente potranno ottimizzare queste risorse e strumentazioni e un loro contributo costante e motivato alla didattica. Solo un mutato approccio potrà conferire a questo campo di conoscenza e di attività la medesima dignità delle discipline tradizionali e non più assegnarlo ad una dimensione superficialmente tecnica, subordinata alle materie scolastiche.
Esistono comportamenti quanto meno ambigui e fuorvianti che la scuola italiana ha adottato rispetto alla ricezione, alla gestione e all’ottimizzazione delle tecnologie, per quanto riguarda sia la didattica sia la professionalità del personale.
Nella situazione caotica e disorientante che viviamo, nel conflitto tra ciò che dovrebbe essere (affidato generalmente a proclami a reti unificate degli entusiasti esegeti ministeriali della modernità) e ciò che è, ci sembra di poter individuare tre elementi – veri e propri modelli di approccio – che hanno più degli altri compromesso l’inserimento delle tecnologie in una dimensione costruttiva, dinamica, fluida.
Si tratta di tre veri e propri iati culturali, attriti sommersi ma fuorvianti, che hanno caratterizzato le politiche scolastiche e la loro attuazione.
La scuola ha infatti prevalentemente applicato in modo meccanico e fideistico le tecnologie di comunicazione su se stessa, inseguendo le “mode” via via sviluppatesi e entrando così in conflitto con la dimensione intellettuale loro assegnata in una prospettiva generale: ecco il primo iato, di natura socioculturale.
La scuola si è poi troppo spesso ridotta all’addestramento dei soggetti coinvolti nell’uso delle tecnologie digitali, in piena contraddizione con le teorie dell’apprendimento ad esse connesse: si tratta del secondo iato, di natura pedagogica; infine, ha oscillato tra la rincorsa all’innovazione comunicativa e procedurale e l’introduzione muscolare di divieti onnicomprensivi, quali per esempio quello dei telefoni mobili: terzo ed ultimo iato, di natura strutturale e istituzionale.
Queste contraddizioni “strutturali” – spesso clamorose, ma altrettanto di frequente non colte – hanno avuto una responsabilità negativa:
- nel rapporto tra didattica e tecnologie;
- nel dibattito che ha inaugurato i processi di innovazione e che continua svogliatamente ad accompagnarli;
- nella proposta da parte dell’amministrazione scolastica di “nuovi” orientamenti organizzativi e di “nuove” strategie gestionali;
- nella ricezione (persino!) da parte dei docenti delle varie circolari ministeriali, sempre più infarcite di marketing lessicale, volto a inverare nell’immaginario professionale situazioni non praticate e impraticabili nella realtà quotidiana.
Questa ambiguità di prospettive, questo blob di fraintendimento e di equivoci perpetuati, hanno visto dilagare il sensazionalismo di maniera – pertanto completamente acritico e privo di respiro culturale – con cui una parte dello psicopedagogismo imperante ha salutato ogni novità nell’immissione delle tecnologie nella scuola, indipendentemente dalla loro necessità e – soprattutto – dalla loro efficacia; in questo favorito anche da un sistema di (dis)informazione dei media, che non si sono mai preoccupati di confortare il loro entusiastico supporto all’innovazione tout court con un adeguato contributo di inchieste e di indagini sul cosa e sul come si veniva “innovando”.
È per altro sopravvissuto – come è buona tradizione nella scuola italiana all’insorgere di qualsiasi fattore che ne possa turbare l’inerzia omeostatica – anche il catastrofismo nichilistico di chi continua a vedere nell’inserimento delle tecnologie insidie volte ad intaccare l’integrità di un sistema scolastico rigorosamente disciplinare, di cui conservatorismo, tradizione e immutabilità rappresenterebbero gli unici caratteri qualificanti.
Ci rivolgiamo ai digital prof: a quanti – insofferenti a facili soluzioni definitive e disposti a stemperare gli eccessi dell’una o dell’altra posizione (né apocalittici né integrati) – provano il desiderio di tentare il salto dell’ostacolo di una lettura stereotipata del rapporto tra tecnologie e didattica; siano disponibili – laicamente – ad abbandonare pre-giudizi e idiosincrasie ideologiche; intuiscano che solo la collocazione in una dimensione squisitamente intellettuale può emancipare l’uso delle tecnologie nella scuola dalla zavorra di una tecnicalità che non ha alcun motivo di continuare ad esistere. L’idea della macchina che domina l’uomo ha fatto il suo tempo e si impone la necessità di sostituire una riflessione di carattere autenticamente culturale alla pratica addestrativa, alla quale è stata subordinata la preparazione degli insegnanti e degli studenti rispetto all’uso delle tecnologie.
Affrontare il problema in prospettiva davvero critica rappresenterebbe un contributo non indifferente per cominciare ad elaborare una proposta alternativa, considerati i deludenti risultati attuali e la progressiva perdita di senso di una scuola immobile rispetto al rapidissimo mutare del suo fuori, delle condizioni dell’esistente. Proposta che non inizia e finisce in una rinnovata introduzione delle tecnologie nella didattica; ma che in questa ipotesi trova una delle sue necessarie scelte di rinnovamento.
Non è certo con il pensiero pedagogico unico (e troppo spesso bipartisan) caratterizzante le scelte che finora hanno determinato le politiche scolastiche relative all’introduzione delle tecnologie che si riuscirà ad operare il salto che auspichiamo. Sarebbe per altro illusorio sperare che il processo di “riabilitazione culturale” delle tecnologie di comunicazione da noi caldeggiato possa avviarsi senza scosse traumatiche, perché sono troppo forti i vincoli anche di carattere economico ed è troppo evidente la necessità di conservare rendite di posizione acquisite da parte di una casta di “esperti” che si nutrono del perpetuarsi dell’ambiguità.
Occorre invece tentare di scardinare paradigmi consacrati, mettere in dubbio certezze fossilizzate, provare a destabilizzare organizzazioni che vivono grazie a reciproche legittimazioni, indipendenti dalla loro funzionalità, efficacia, validità culturale.
Il pensiero pedagogico unico sull’innovazione rassicura le caste istituzionali e le lobby private e omologa gli individui, ma non può produrre risultati significativi dal punto di vista dell’emancipazione culturale dei cittadini, vero obiettivo della scuola della Repubblica e della Costituzione. Noi crediamo invece che un uso consapevole delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione non possa (e non debba) che generare cultura. E la cultura è pluralista per sua stessa natura.
Le tecnologie digitali e reticolari – intrinsecamente pluraliste e democratiche – possono rappresentare il punto di partenza per una scuola che non si faccia abbagliare dalle sirene della modernità. E che non rinunci al proprio compito.
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Dati: la popolazione italiana
In Italia, in media il 56% della popolazione non utilizza il computer. Se ci restringiamo alla sola popolazione in età lavorativa che potenzialmente potrebbe essere un insegnante, ovvero gli individui nella fascia d’età 25-65 anni, questa percentuale sale al 58% e si arriva addirittura al 64% considerando le donne nella stessa fascia d’età. Considerando che il corpo insegnante nella scuola italiana è prevalentemente femminile e che l’età media degli insegnati di ruolo è estremamente alta (gli insegnati con più di 50 anni sono più del 42% nella scuola primaria e più del 60% nella secondaria – rispetto al 30% e 33% in UE) sembra che, più che altrove la formazione degli insegnanti sia il vero aspetto cruciale.
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Le scuole e i docenti
Nel 2000 il Consiglio europeo di Lisbona fissò l’ambizioso obiettivo di trasformare quella del Vecchio continente “nell’economia più dinamica e competitiva del mondo“. Tra le tante cose da fare per centrare l’obiettivo occorre che “ciascun cittadino sia in possesso delle competenze necessarie per vivere e lavorare nella nuova società dell’informazione” e che “tutti i docenti entro la fine del 2002 possiedano le competenze necessarie per l’utilizzo di internet e delle risorse multimediali“.
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L‘informatica nella scuola primaria non esiste più! La conferma arriva dalla fonte più autorevole, il sito del Ministero dell’Istruzione, che dedica uno spazio alle domande e relative risposte sulla Riforma (le famose faq) e al quesito n° 23, posto da un genitore, leggiamo testualmente:
“Ho letto che per le classi dalla seconda in poi non cambierà nulla, a scuola invece mi dicono che mio figlio il prossimo anno non avrà le stesse maestre e soprattutto non ci sarà più la possibilità di fare il laboratorio di informatica (è una classe numerosa) a causa dell’abolizione delle compresenze. Chi ha ragione?”
“Le classi successive alla prima nel prossimo anno scolastico avranno confermato l’orario di funzionamento di quest’anno (27 o 30 ore settimanali più eventualmente la mensa).
La riduzione delle ore di compresenza comporterà qualche riassetto organizzativo, ma in linea di massima le insegnanti della classe potranno essere confermate.
La scuola, nella sua autonomia didattica e organizzativa, potrà organizzare le attività e gli insegnamenti facendo in modo di assicurare la massima funzionalità dei servizi. Ci auguriamo che anche il laboratorio di informatica possa trovare spazio tra le attività, anche se vorrà convenire che esso non costituisce, soprattutto nella scuola primaria, un insegnamento prioritario.“
Si, avete letto bene, a distanza di pochi anni una delle famose “I” su cui si basava l’intera riforma della scuola crolla miseramente e diventa improvvisamente un insegnamento non prioritario.
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Dall’indagine, spiega Silvia Landi, responsabile della ricerca, “emerge che il 73,5% delle scuole hanno un’aula di informatica ben attrezzata” e “nel 66% dei casi si dispongono di una connessione internet a scuola“, ma gli studenti ne fanno un uso molto sporadico. Il 35% entra nell’aula di informatica solo una volta a settimana e il 64% dice che i docenti non utilizzano mai il computer in aula. Dati confermati anche dai professori. L’aula di informatica è utilizzata pochissimo, nel 29% addirittura meno di una volta al mese e nel 28% non più di una volta a settimana, e in particolar modo, da docenti di materie tecniche o scientifiche…
“I ragazzi – spiega Silvia Landi – non hanno l’opportunità di utilizzare in ambito scolastico strumenti che quotidianamente utilizzano in modo autonomo in casa o dagli amici. Il pc viene usato così soltanto per scopi ludici e comunicativi e non per studiare“.
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I ragazzi e gli adolescenti
Gli strumenti tecnologici di più largo utilizzo fra gli adolescenti risultano essere il computer (lo usa il 92,8% del campione) e la televisione (92,7%). Il pc eguaglia dunque, per diffusione, la popolarissima e sempre accessibile Tv, a riprova della quasi totale alfabetizzazione informatica delle nuove generazioni. Il pc supera la Tv anche per intensità dei consumi: il 12,5% lo usa per oltre 4 ore al giorno, a fronte dell’8,1% dei forti consumatori televisivi. La maggior parte degli adolescenti, comunque, guarda la televisione ed usa il computer con moderazione, fino a 2 ore al giorno. Al terzo posto, fra le tecnologie più diffuse tra i ragazzi, si colloca poi Internet, usato da quasi il 90% del campione. Oltre un terzo degli adolescenti naviga più di 2 ore al giorno, il 13% più di 4 ore.
La maggior parte dei ragazzi tendono ad utilizzare da soli quasi tutte le apparecchiature tecnologiche. In particolare, usa Internet da solo il 72,7% del campione, mentre il 13,5% naviga con gli amici. Appena il 4,5% lo fa con i genitori.
Gli adolescenti utilizzano Internet soprattutto per cercare informazioni di loro interesse (lo fa l’83,1% dei navigatori), guardare filmati su YouTube (81,3%), chattare (78,1%), utilizzare Social Network (78%), scaricare musica/film/giochi/video (75,3%), cercare materiale utile per lo studio (72,9%). La netta maggioranza usa anche la posta elettronica (59,4%) e quasi la metà gioca con i videogiochi (49%). Molto meno comuni, tra i ragazzi, le altre applicazioni della Rete: il 29,4% legge un blog, il 19,9% partecipa a giochi di ruolo, il 19,8% fa acquisti online, il 15,4% legge/scrive su un forum, il 14,8% cerca/scarica materiali proibiti/vietati. I dati descrivono un utilizzo di Internet da parte dei teen agers legato soprattutto all’evasione e allo svago, ma anche alla socialità, senza però dimenticare la Rete come fondamentale fonte di ogni tipo di informazioni, anche quelle utili allo studio.
(dal Rapporto Eurispes 2010 sull’infanzia e l’adolescenza in Italia)
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L’occhio del lupo
Attenti, circolano idee!
“Nelle scuole di stato gli insegnanti inculcano idee diverse da quelle che vengono trasmesse nelle famiglie”: ha detto così. Non ero a conoscenza del fatto che nelle famiglie italiane circolassero delle idee, ma registro che l’uscita del porcello segue quella “Dal Verme” in cui il suino princeps, l’otre di lardo, sbrodolò contro la scuola pubblica e i suoi insegnanti. Disse che inculcano l’odio.
In tv ora annunciano Sgarbi, prima serata: dirà che gli insegnanti inducono il sonno, l’acquiescenza, il rigor mortis.
Segue sparatoria.
Poi riforma.
Della riforma.
Poi zero.
(michele lupo)
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La settimana scolastica
“Libertà vuol dire avere la possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori”.
Così il Presidente del Consiglio lascia allibito il mondo della scuola: non capita spesso vedere una delle massime cariche dello Stato all’attacco della scuola dello Stato. Proteste dalle opposizioni e dagli studenti, il ministro Gelmini nega l’accaduto. Indignazione di insegnanti e sindacati.
E’ il corollario di quanto sappiamo da sempre: più tagli per tutti, ma soprattutto per la scuola pubblica, che nell’ultimo triennio ha dovuto incassare un taglio drammatico di fondi, classi e insegnanti. Un trend che va avanti fin dall’insediamento dell’esecutivo:
fra il 2009 e il 2010 sono state chiuse 295 scuole statali per “razionalizzare” il sistema e contenere la spesa. Le classi tagliate sono state quasi 5mila. Cura da cavallo, poi, per gli organici: tra il 2009 e il 2011 il governo ha messo in conto 87mila cattedre e 45mila Ata (Ausiliari, tecnici e amministrativi) in meno… alla scuola statale è stata imposta una cura dimagrante pari a 8 miliardi di risparmi… l’ultima tranche di tagli (3,1 miliardi), quella più sostanziosa, vale a “decorrere dall’anno 2012”… dal 2008 ad oggi, fatta eccezione per il calo di quest’anno, i fondi per le paritarie sono sempre cresciuti… (quest’anno) A conti fatti le scuole private hanno perso solo il 2%, pari a 10 milioni.
Un interessante confronto fra le posizioni del premier e quelle di Paola Mastrocola è svolto da Giancarlo Cavinato del MCE (Movimento di Cooperazione Educativa).
Il quadro della condizione economica del Paese nel frattempo viene ancora una volta stigmatizzato dal governatore della Banca d’Italia, che lancia l’allarme rispetto ai tassi di sviluppo (1%), alla debolezza della domanda interna, a un assetto normativo inadeguato, e soprattutto rispetto alla condizione dei giovani:
“I salari d’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro, in termini reali, sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta. E il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30%. Si accentua la dipendenza, già elevata nel confronto internazionale, dalla ricchezza e dal reddito dei genitori”.
Sul tema dell’occupazione giovanile, segnaliamo anche un’inchiesta di studenti dell’università di Parma, secondo cui dopo l’università in media occorrono cinque anni per trovare lavoro, con il corollario di stage non retribuiti e lavori malpagati.
Sul fronte dei precari, due notizie arrivano dal decreto milleproroghe: nel 2011 non si applicherà la norma del collegato sul lavoro che fissa a 60 giorni (il 23 gennaio per i rapporti di lavoro antecedenti la sua entrata in vigore) il termine per l’impugnazione dei licenziamenti; inoltre nel maxiemendamento presentato e approvato alla Camera è stata stralciata la norma che prorogava fino al 31 agosto 2012 le graduatorie degli insegnanti precari, su cui si era pronunciata la Corte costituzionale e che prevedeva un vincolo per le supplenze legato alla provincia. Adesso dovrebbe essere garantito l’aggiornamento delle graduatorie e il cambio di provincia.
Fa discutere una notizia che arriva dall’Austria: il ministro dell’istruzione austriaco Claudia Schmied (Partito Socialdemocratico) ha annunciato l’abolizione delle bocciature scolastiche nel suo Paese a partire dal 2012. Così l’Austria intende unirsi ai Paesi europei che già adesso non adottano il sistema della bocciatura: Islanda, Norvegia, Gran Bretagna (e qualcun altro).
Ferve anche la discussione intorno ai test INVALSI. Un chiaro no viene dal Comitato genitori Insegnanti per la difesa della scuola pubblica di Pisa, dai Cobas, una analisi critica viene fatta su ScuolaOggi, perplessità anche da parte degli insegnanti della Gilda, dubbi sulla obbligatorietà della partecipazione. C’è anche chi li usa per farsi pubblicità.
Buone notizie dall’estero. Dalla Svizzera: il Gran Consiglio del Canton Ticino lunedì 21 febbraio 2010 ha approvato una legge che obbliga tutti i Comuni ad assicurare in modo inderogabile la scuola dell’infanzia a tutti i bambini fin dai tre anni d’età. La nuova norma entrerà in vigore dall’anno scolastico 2012/13.
Dagli Stati Uniti. I ministeri sono stati toccati dalla politica di austerità in misura diversa: Energia +18%, Reduci di guerra +11%, Dipartimento di Stato e altri programmi all’estero +8%, Tesoro +4%, Interni invariato, Difesa -3%, Sanità -3%, Casa -3%, Homeland Security (polizia, antiterrorismo) -4%, Lavoro -5%, Trasporti -9%, Agricoltura -14%, Giustizia -25%, Commercio -34%. La sorpresa: Istruzione, +21%. Per Obama ridurre le risorse alla scuola è come “alleggerire un aeroplano troppo pesante eliminando proprio il suo motore”.
Una cattiva notizia arriva da Lido di Camaiore. I fatti sono successi a ottobre ma sono stati resi noti adesso. C’è l’inaugurazione della scuola (elementare e media), alla presenza del ministro alle Infrastrutture Altero Matteoli. Ma il bidello disabile è meglio non partecipi, la preside chiede che resti a casa. La madre dell’uomo racconta oggi, tra le lacrime, la storia del figlio perché a quell’episodio, che lei definisce vessatorio, ne sono seguiti altri.
Per l’Italia una bella notizia e un esempio di civiltà arriva dagli studenti di una scuola media di Catanzaro: una dirigente impedisce a un ragazzo con handicap di partecipare ad un’escursione allora la classe rifiuta e decide di rinunciare all’attività, pur di evitare discriminazioni.
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Petizione al Presidente della Repubblica: No ai tagli, no ai finanziamenti alle private.
Il decreto Brunetta qui.
Il vademecun della CGIL sulle sanzioni disciplinari qui.
Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.
Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.
Guide alla scuola della Gelmini qui.
Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.
Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.
Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.
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Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.
Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.
Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Cub.
Spazi in rete sulla scuola qui.
(Vivalascuola è curata da Alessandro Cartoni, Michele Lupo, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)