Magazine Cultura

Vivalascuola. Ho visto le emozioni prendere il volo

Creato il 10 ottobre 2011 da Fabry2010

Vivalascuola. Ho visto le emozioni prendere il volo

Lo scopo educativo e formativo del fare teatro a scuola: diventare più se stessi attraverso l’immedesimazione con un testo, un personaggio, attraverso l’incontro con qualcosa di bello… l’arte teatrale aspira ad essere una sintesi di tutte le altre arti e per questo offre a chi le si avvicina lo sconvolgimento e la messa in gioco di tutta la propria persona… Questo è il teatro: un luogo dove capisci chi sei tu e cosa sono le cose e insieme un luogo dove poter esprimere la tua scoperta. (Adriana Bagnoli)

Teatro scuola educazione
di Sebastiano Aglieco

La pratica del laboratorio teatrale nella scuola, diversamente nominata a seconda delle mode, delle epoche e dei riferimenti ministeriali, ha sicuramente rappresentato uno dei maggiori investimenti educativi degli ultimi 30 anni. E faccio riferimento, s’intende, non a una tradizione di stampo salesiano, ancora difficile da estirpare, malgrado abbia avuto la sua funzione storica (la recita più o meno folcloristica, improvvisata e ruspante), ma al tentativo di metabolizzare gli esiti delle esperienze più importanti del teatro di ricerca – in particolare per quanto riguarda i risvolti strettamente connessi alla crescita del bambino/ragazzo – con la teorizzazione di pratiche poi naturalmente diffusesi in contesti educativi non necessariamente legati alla scuola ma al territorio in generale.

Sintetizzare, qui, la storia di un movimento estremamente eterogeneo, caratterizzato da culture, atteggiamenti, pratiche non assimilabili a un modello, è praticamente impossibile.

Un punto di vista generale si potrebbe ottenere partendo da un osservatorio privilegiato qual è, ancora oggi, la rassegna di teatro della scuola di Serra San Quirico, ma anche la testimonianza di Silvano Sbarbati, assiduo collaboratore, per diversi anni, della rassegna e poi fondatore, con un gruppo di addetti ai lavori e di amici, dell’Aite, Associazione italiana di teatreducazione, il cui scopo era quello di chiarire alcuni aspetti teorici rimasti in sospeso; lavoro intensissimo, svolto in un paio d’anni di attività in un contesto di piccolo gruppo e di lavoro collettivo, sempre con la tensione di un pensiero legato al fare anima e agli interventi su un microterritorio significativo dal punto di vista delle urgenze sociali e culturali.

Varrà la pena qui, prima delle testimonianze di allievi e insegnanti che hanno incontrato, a un certo punto della loro vita, teatro e maestri, e spesso per motivazioni legate alla propria crescita personale più che per progettualità professionale, elencare una serie di punti che costituiscono i fondamenti imprescindibili per una buona pratica di teatreducazione. Per chi volesse approfondire, faccio riferimento ad alcuni materiali apparsi a suo tempo sul sito dell’Aite, e che ora ho raccolto in un mio blog. Sono riflessioni su questioni importanti, che attraversano la pratica del laboratorio teatrale, per investire questioni più ampie, di pertinenza della pedagogia e della didattica. Per esempio:

- i rischi dell’ansia performativa e della seduzione dell’operatore teatrale (vedi più sotto, il testo di Paola Picardi)
- la possibilità di fare teatro anche fuori dal teatro, attuando una riflessione a tutto campo sui processi e i risultati, o regressioni, dei propri cambiamenti (vedi il testo di Federico De Fabrizi)
- il ruolo e la figura del cosiddetto regista, da ripensare, senza demonizzarlo, in funzione di uno sguardo che, come diceva Peter Brook, si prende la responsabilità di vedere e far vedere
- la funzione degli esercizi, da intendersi come pretesto per far accadere qualcosa che li attraversi, senza mai intenderli come risultato (vedi qui).

e ancora:

maieutica e stupore dell’accadere (qui)
cosa insegna teatreducazione (qui)
un vocabolario minimo (qui, qui, qui)
sguardo esterno (qui)

La riflessione su questi punti, che, nel contesto del teatreducazione non è mai astratta indissolubilmente legata al fare, costituisce una fase elaborativa importante rispetto agli aspetti storici già individuati e largamente praticati a partire dagli anni Settanta:

socializzazione
interazione epistemologica
coinvolgimento emotivo
controllo del narcisismo
rilevanza del percorso piuttosto che del risultato
scrittura e autoscrittura

Ecco il mio laboratorio teatrale
Per dare idea delle ricadute di alcuni concetti sopra elencati nella pratica concretissima del laboratorio teatrale, ecco come declino alcuni concetti e parole chiave.

Maieutica: Come educatore che gestisce il laboratorio teatrale, io non so. Spesso non so veramente. A volte fingo di non sapere.

Stanze nere: Siccome non so, spesso devo affrontare dubbi, improvvisi cambiamenti di rotta, adattamenti, spinte, rallentamenti.

Lo spazio non è necessariamente uno spazio vuoto, come ci hanno insegnato. Anche perché a scuola non ci sono più spazi. Allora lo spazio è ciò che si ha: aula con banchi e sedie e armadi, il lusso di un giardino, una sedia, un buco, un contenitore pieno di oggetti.

Maieutica dello stupore: Se tu tiri fuori dalla scatola gli oggetti uno a uno, questi diventano oggetti magici: un bastone può diventare un fucile, il tronco di un albero, un palo della luce…

Scoperta e invenzione: Bandire ogni idea di scenografia, di sfondi, di alberelli e fiorellini, facciate di case. La scenografia sono gli oggetti che usiamo e che abbiamo riscoperto nel nostro percorso aperto di maieutica.

Verità: Bandire lustrini e paillettes, travestimenti, trucchi. Io sono come sono. Se rido, rido veramente. Se sono timido, sono timido veramente. Se piango, piango veramente. Se mangio una mela, la mangio veramente. Se fingo di vedere da una finestra, la vedo veramente.

Testo: Bandire il copione scritto dato apriori. Ciò che dico è mio e l’ho scoperto io.
Bandire, insomma, tutto ciò che non venga da una scoperta, da un percorso guidato.
Questa è la maieutica.
Se abbiamo una storia, un racconto, li smontiamo come un giocattolo, li coloriamo, li stravolgiamo per poi ricostruirli a nostro modo. Li scopriamo veramente, infine.
Se non abbiamo una storia ce la costruiamo.

Narrare non vuol dire necessariamente mettere delle scene in ordine cronologico. Perché, comunque, si narra sempre qualcosa di noi: attraverso un testo, un oggetto, un’immagine, una suggestione, una musica. Nel mio laboratorio di teatro non si narra: si fa “poesia”.

Sguardo esterno: Quando lavoro con i bambini, non ho paura di farmi osservare dagli altri: gli altri, se guardano bene, non giudicano, ma ti rimandano un punto di vista. Possono dirmi, per esempio, se sono stanco, se ho deciso tutto da me, se i bambini erano persone dentro un percorso oppure gli oggetti di una mia egoistica espressione artistica.

Ansia performatica: Se io permetto a qualcuno di parlarmi, di osservar/ci in totale naturalezza, per come sono, per come sono io insieme alle persone che sto conducendo, l’ansia del fare troppo, l’ansia performatica del narciso che è in me è più controllata. Non mi metto a fare teatro in un contesto educativo se questo è il mezzo e lo strumento per sfogare la mia frustrazione di artista mancato.

Consapevolezza del fare – secondo palcoscenico: Il laboratorio procede attraverso la consapevolezza del fare: “step” di riflessione e di scoperta: cosa abbiamo fatto, scoperto, come possiamo andare avanti? Che cosa, a partire da questa scoperta, sarà diverso?

Consapevolezza nelle relazioni, nel controllo, nella percezione dei ritmi, soggettivi e collettivi, del gruppo; consapevolezza del come sono io, del come ero, del come sono cambiato o non cambiato.

Unità dell’insegnamento: Nel mio laboratorio teatrale non c’è solo il teatro: c’è la lingua italiana, la poesia, la musica, la pittura. Il laboratorio teatrale è un’esperienza riassuntiva.

Terzo palcoscenico: Dopo, dopo lo spettacolo, niente si è esaurito. Lo spettacolo ricomincia nella riflessione successiva, nella consapevolezza dei cambiamenti della persona, dello sguardo che si è aperto e ha scoperto.

Regista: Fare il regista, vuol dire non ordinare, non imporre, ma coordinare e permettere la scoperta: (il regista vede e fa vedere). Il regista è un seminatore che prepara il campo.

Gli esercizi: non sono degli spartiti da eseguire esattamente, come in genere pensano i teatranti che si sono formati secondo una determinata scuola e per i quali, spesso, gli esercizi sono icone sacre, inviolabili. Gli esercizi sono dei pretesti per far avvenire qualcosa. Gli esercizi si variano si trasformano e si deformano partendo da una traccia di partenza. Gli esercizi si inventano.

Arte: Si può trovare un senso, un movimento, un significato, il colore di un vestito etc. partendo da un giornale da cui si ritagliano immagini, o imitando un quadro, la sua struttura architettonica, i gesti e riproducendo con il proprio corpo. Si può trovare un nuovo senso ascoltando musica, disegnando, fotografando, e poi riportando tutte queste scoperte al fare teatrale.

Si deve
Nel mio laboratorio teatrale si esercita lo spirito critico.
Si impara a dire “non concordo”.
Si impara a dire “secondo me”.
Si devono prendere decisioni.
Si deve sbagliare.

Si può
recitare senza dire neanche una parola
recitare in silenzio facendo parlare la musica
usare lo spazio vuoto dandogli senso solo attraverso i movimenti, le relazioni.

E’ vietato
sentirsi delle marionette
fingere
recitare come i bambini
fare le “mosse”.

Nel mio laboratorio teatrale avvengono un sacco di altre cose che neanche io so.

Conclusioni
Dalla lettura di alcune testimonianze che ho chiesto per questa occasione, traspare chiaramente come fare teatro ed educazione non sia per niente pratica assimilabile al teatro tout court e come gran parte del valore delle esperienze dipenda e sia imprescindibilmente legato alle figure di riferimento, alle quali spesso si chiedono comportamenti alti di professionalità e di valore umano. Sono pratiche e valori difficilmente quantificabili con misurazioni oggettive, come purtroppo accade sempre più in maniera sistematica nella scuola degli ultimi anni.

Nel teatreducazione gli interventi si misurano, piuttosto, misurando la capacità del mettersi in gioco, dell’adattamento dei “saperi” alle necessità di crescita delle persone, dell’investimento emotivo e intellettivo. A volte si potrà leggere in queste testimonianze anche l’amarezza della perdita e del fallimento o il riconoscimento dei cambiamenti subentrati nella propria vita, a dimostrare come teatreducazione, oltre che essere una pratica, rimane ancora oggi, per le persone in evoluzione e in crescita, lo strumento più potente per attraversarsi e per conoscersi.

* * *

Testimonianze

Il bello del teatro è questo: funzione del laboratorio teatrale
di Adriana Bagnoli

Al termine di un laboratorio svolto in classe sulla lettura espressiva un ragazzo mi ha scritto: “Dopo la sua lettura dell’Orlando Furioso, e dopo che anch’io ho provato a leggere ad alta voce, ho scoperto un nuovo Mattia, più sicuro e meno timoroso: ero più Mattia, perché ero stato più Medoro!”.

Credo che con queste semplici parole Mattia abbia sintetizzato lo scopo educativo e formativo del fare teatro a scuola: diventare più se stessi attraverso l’immedesimazione con un testo, un personaggio, attraverso l’incontro con qualcosa di bello. Da anni mi occupo di didattica teatrale nelle scuole e sempre di più vedo le potenzialità che ha il teatro per i ragazzi: l’arte teatrale aspira ad essere una sintesi di tutte le altre arti e per questo offre a chi le si avvicina lo sconvolgimento e la messa in gioco di tutta la propria persona. I ragazzi hanno bisogno di muoversi, toccare, guardare, parlare, giocare, sentire, vedere e, attraverso tutto questo, hanno urgenza di capire chi sono per poterlo dire al mondo. Questo è il teatro: un luogo dove capisci chi sei tu e cosa sono le cose e insieme un luogo dove poter esprimere la tua scoperta.

Le parole che i ragazzi leggono e i grandi autori che studiano, nel teatro si fanno evento cui partecipare: le parole si fanno carne e i personaggi diventano realtà con cui confrontarsi. Come dice il poeta russo A. Belyj “Noi siamo stati creati dalla parola e con la nostra parola creiamo, penetrandole, tutte le cose”: questo è il lavoro che l’attore fa sul testo e su se stesso.

In un momento in cui i criteri della cultura sembrano essere l’esibizionismo da una parte e la rassegnazione dall’altra è necessario fare una proposta educativa che introduca la vera arte, la vera letteratura e dunque il vero teatro. Questo vale a tutti i livelli della scuola, dalle elementari, alle superiori, ai centri di formazione professionale: il gioco teatrale immedesimativo, la scoperta del corpo in azione, la costruzione di una storia, la lettura ad alta voce e l’incontro con le parole e i personaggi dei grandi autori, rendono possibile uno studio della letteratura più vivo e appassionante, lo sviluppo delle proprie capacità creative, dell’attenzione e della responsabilità personale di fronte a chi guida. Per questo insegnanti e dirigenti scolastici dovrebbero privilegiare spettacoli e progetti di questa levatura, che favoriscono l’incontro dei ragazzi con artisti veri, attori capaci di puntare sui ragazzi e non sui bassi costi di un’attività marginale.

Portando il teatro ai ragazzi e facendolo con loro si è sempre di fronte ad una scommessa: si scommette su di loro, totalmente, e non si sa mai in anticipo cosa potrà succedere. Ma il bello del teatro è questo, esso è come afferma A. Artaud “un miracolo che avrà luogo per rivelarci tutto ciò che ignoriamo ancora e che informerà di tutta la sua vita superiore questa misera materia che ci ostiniamo a plasmare”. Questo miracolo può toccarti nel vivo e può dare vita a inaspettate amicizie, impensabili talenti possono emergere, fatiche ed entusiasmi possono convergere nella costruzione di un’opera che vale tanto da presentarla ad un pubblico che sfida quello del circuito teatrale classico.

Lavorare nella scuola e nella formazione dunque, non è altro che un cercare, un dare forma a qualcosa che già c’è in forma germinale. La formazione attraverso il teatro significa per me offrire un luogo per questa ricerca: non mediante regole, imposizioni o supposte metodologie pedagogiche, ma favorendo lo sviluppo delle potenzialità che aspettano solo di essere portate alla luce. In teatro si vive, si agisce, dunque si crea e si scopre la propria forma.
(attrice professionista e regista)

*

Questo è il teatro, difficile e dannata passione
di Livia Rosato

“C’era una volta un topino, si chiamava Erminio. Spesso si recava nello studio di un poeta… uno stanzino freddo, pieno di carte in ogni angolo, cercando qualcosa da mettere sotto i denti. Una mattina provò a rosicchiare una di quelle tante carte. Mmmm…. com’era buona la carta! Trascorsero giorni e settimane e dalla sua bocca iniziarono a sgorgare parole mai sentite, lui stesso non capiva cosa gli stesse accadendo. Erminio, cibandosi di carte… era diventato un topo poeta.”

Questa piccola storia di Giacomo Vidt, con l’aggiunta di alcune mie parole, vuole essere lo spunto per alcune riflessioni, per condividere cosa significhino per me alcune esperienze teatrali e di vita.

Nel laboratorio teatrale si utilizzano e si praticano varie tecniche creative ed espressive e grazie a questo lavoro e allenamento costante si assimilano valori, pensieri, si costruiscono e si maturano le nostre considerazioni sul mondo, su di noi, sugli altri. E’ una crescita a 360 grandi i cui effetti non sono quantificabili ma sono essenziali, perché sono un’esperienza di vita concreta, gioiosa, costruttiva, in un’azione continua fatta di esercizi, prove, spettacolo: ovvero l’evento da condividere e “donare” al pubblico e che il pubblico “ridona” attraverso la presenza e la condivisione delle emozioni.

La condivisione del lavoro e di ciò che si è costruito contribuisce a capire e interiorizzare il percorso realizzato e ad analizzare gli obiettivi raggiunti. Le emozioni sono il punto di forza del laboratorio teatrale. Esse si vivono attraverso:

  • la messa in gioco e la condivisione; esse aiutano a crescere perché influiscono direttamente nella conoscenza e nei nostri pensieri; la conoscenza avviene appunto attraverso esplorazione, stimoli, emozioni;
  •  la passione della creazione, che unisce tutti i partecipanti al processo teatrale, tutti sullo stesso piano, nessuno importante più di un altro, tutti importanti, perché tutti partecipiamo e siamo protagonisti.

Il desiderio di mettersi in gioco e condividere gli stessi obiettivi è la forza di un gruppo di lavoro.

Ricordo un po’ di anni fa alcune esperienze che mi hanno “segnata”, quando fare teatro a scuola era uno spazio di piacere e d’ascolto, dove insegnanti e presidi convenivano sugli stessi obiettivi ed il laboratorio teatrale era desiderato e programmato insieme.

Il percorso creativo veniva sostenuto dalla scuola e coinvolgeva diverse materie quali Lettere, Educazione artistica, Scienze, Musica, Educazione fisica. In scena avevamo quindi l’orchestra, le scenografie, il coro, coreografie. Il/la preside non solo trovavano il modo di finanziare il progetto ma le loro figure erano presenti durante il lavoro, nella risoluzione di eventuali problematiche, attivi per la presentazione dello spettacolo.

Nella scuola di oggi tutto ciò è un ricordo lontano. A fatica si riesce a seguire un progetto teatrale per più di un anno scolastico, e se si riesce è grazie alla testardaggine di un insegnante che spesso deve “lottare” con i presidi di turno o con alcuni genitori che sono ancora convinti che il teatro sia una perdita di tempo.

Vero è che la “costruzione” del sapere e la formazione della personalità non nascono in pochi giorni, e sono un’esperienza non visibile, che non passa attraverso saperi formali, che non si esprime in pillole, che non può rispondere a dei test. L’educazione al teatro è una passione che si forma e ti forma, ha regole precise ma non prefissate, perché si costruisce cammin facendo con varianti quali il tipo di gruppo, l’età, i desideri, la provenienza. Insegnare teatro è un lavoro come quello dell’artigiano: un calzolaio, un sarto o un falegname. Potrebbero essi mai fare quello che fanno se non sanno chi sono i loro fruitori, e anche conoscendoli, non devono sempre e comunque saper adattarsi in base alla necessità?

Questa è l’arte, la mia “difficile e dannata passione”: il piacere di creare che condivido con bambini, ragazzi, adulti. Ogni volta un viaggio nuovo, volti nuovi in cerca “della poesia” da creare insieme.
(attrice e insegnante di teatro)

*

La scuola gelminiana non garantisce teatreducazione
di Mara Catti

Nella scuola gelminiana, fatta di prove invalsi, test, misurazioni decimali ecc., non c’è posto per il teatro educazione. Sono due mondi lontani quanto Alpha Centauri e la Terra.
Per me teatro educazione è stato un cambiamento sostanziale, che ha investito in pieno anche la mia funzione di docente, mettendola profondamente in crisi e rivitalizzandola.

Ho dovuto registrare lo scollamento quasi totale da ciò che l’istituzione scolastica richiedeva alla mia funzione (ordine, disciplina, burocrazia, competitività), da ciò che io ho sempre vissuto come necessario per i ragazzi nel loro processo di crescita: l’ascolto, la presa in carico, il far emergere ciò che sta “sotto.
Riuscire a guardare ciascun allievo, anche se sono 150, come un individuo.
Sono due visioni così divergenti che il farle convivere diventa ad un certo punto impossibile.
Infatti il laboratorio, che per molti anni è stato, purtroppo, l’unico luogo di vero incontro, è chiuso, l’esperienza finita.

Finché è durata però è stata una vera allegria, invenzione, scambio di idee. Fare teatro con i ragazzi ha voluto dire esercitare la pazienza di aspettare magari per un anno il rivelarsi di qualcuno, affrontare senza pregiudizi i temi, le provocazioni, le fughe. Ha voluto dire lavorare mentalmente tutta la settimana per poi potersi incontrare per due ore. Ha voluto dire partire con un’idea e poi scoprirne altre cento strada facendo… e molto altro.
Trovo che siano stati i più bei momenti del mio essere educatrice, i più autentici. E anche se adesso il laboratorio è chiuso, rimane la trasformazione che ha operato.
(insegnante di scuola secondaria e operatrice teatrale)

*

Giocare con il teatro
di Manuela Gallina

L’amore per il teatro spesso entra nella nostra vita personale, prima che in quella professionale. L’ aspetto empatico, che si accende nella solitudine di una poltrona in una sala teatrale, probabilmente condiziona il nostro approccio al teatro quando affrontiamo questa esperienza con i nostri alunni.

Per me è stato sicuramente così. Ho iniziato a “giocare” con il teatro da piccola. Con mio padre recitavo poesie e brani di opere liriche, questi per anni sono stati i nostri giochi preferiti. Intorno a noi, nella città, si moltiplicavano le offerte di teatro politico e sperimentale. Eravamo alla fine degli anni ’60 e agli inizi degli anni’70. Brecht veniva recitato in maniera molto particolare: le voci si diffondevano nella sala atone, con una risonanza che evocava la spersonalizzazione dei personaggi e rinforzava il messaggio simbolico e politico proposto dagli attori.

Nella camera da letto dei miei genitori c’era un armadio con tre ante a specchio. Io avevo scoperto che tenendo ferma quella centrale e muovendo i due specchi laterali la mia immagine si perdeva in una moltitudine di riflessi che finivano per moltiplicarsi nello spazio, sino ad abbandonare le definizione di me stessa. Così mi specchiavo e lasciavo che, come la mia immagine, anche la mia voce uscisse riproponendo quella cantilena che tanto mi affascinava quando ascoltavo gli attori recitare Brecht, in quel modo per me tanto strano.

Anche le opere liriche a cui da bambina ho avuto la fortuna di assistere al Teatro alla Scala, erano per me un modo di scoprire il luogo della voce. Immaginavo che, non dalla gola, non dal diaframma, ma direttamente e solamente dal cuore potessero uscire voci così potenti. In questo modo ho scoperto che il teatro può dare la sensazione di perdersi in altro da sé per poi ritornare a se stessi attraverso una nuova consapevolezza.

Le proposte di teatro con le bambine e i bambini che ho incontrato nei miei 30 anni di scuola, so che sono state condizionate proprio dal mio approccio personale al teatro. Non ho mai utilizzato una storia per narrare solamente i fatti che in essa venivano raccontati. Ho sempre creato occasioni di immedesimazione con i personaggi solo per aprire le porte alle emozioni che nell’ascoltatore si accendono. In questo modo ho usato le storie, raccontandole e preparando uno spazio emotivo per far raccontare ai bambini tutto ciò che la storia aveva evocato. Poi ho fatto in modo che proprio i racconti, i vissuti, i pensieri dei bambini diventassero la vera trama dello spettacolo. E quando dopo l’ultimo spettacolo rappresentato dalla mia classe, un bambino che aveva assistito allo spettacolo ha chiesto ai miei alunni come avessero fatto a ricordare tutte le parole del copione, un mio alunno ha risposto: se le parole sono tue, non le devi ricordare, le conosci.
Questo è il mio modo di fare esperienza teatrale a scuola.
(insegnante di scuola primaria)

*

Ho visto le emozioni prendere il volo
di Michele Ramondino

Che dire, un connubio perfetto e per mia personale esperienza direi fondamentale.
Quando si pensa alla scuola, viene in mente un luogo di studio, compiti, maestre voti etc. e pochi si fermano a pensare che prima di tutto scuola è sinonimo di crescita, di adolescenza di confronto, insomma una vera e propria palestra di vita dove si possono fare bei muscoli e grosse spalle, anche se questo percorso non è cosi scontato o cosi facile per tutti!

La formazione scolastica, almeno per come l’ho vissuta io, è una strada difficoltosa, proprio perché caratterizzata da numerosi ostacoli che non sono solo rappresentati dalla scuola in sé, ma dalle diverse problematiche che ogni singolo individuo si trova ad affrontare soprattutto in un’età delicata come l’adolescenza! Un ragazzino delle elementari o delle medie passa circa 8 ore in classe e questo vuol dire che passa più tempo in un aula che in famiglia! Ma se questo ragazzino avesse delle difficoltà di relazioni o di integrazione a scuola, o avesse una famiglia che non lo supporta adeguatamente etc. etc. etc.?

Quando ero alle elementari ho avuto la fortuna di incontrare una persona che vedeva la scuola veramente come una palestra di vita ma che sopra ogni cosa viveva e vive la scuola come un punto di riferimento per i ragazzi per aiutarli a crescere seguendo un percorso umano, senza dover mettere nessuno nelle condizioni di dovere rimanere solo con le proprie problematiche e consentendogli di farsi spalle grosse senza dimenticare chi è veramente. Questa persona era il mio maestro di storia, geografia e studi sociali delle elementari che introdusse nei laboratori di scuola il teatro! Il teatro visto come espressione propria e individuale di noi stessi iniziò a entrarmi senza filtro consentendomi di esprimermi attraverso una modalità che fino a quel momento era sconosciuta!

Questo percorso iniziato in prima elementare continua tuttora a seguirmi nonostante sono laureato e lavoro! Il teatro mi ha aiutato e mi aiuta tuttora ad affrontare tutti quei problemi che da solo a scuola come nella vita di tutti i giorni ora, non sarei riuscito a vivere serenamente – ricordo bene come il teatro nel periodo scolastico mi aiutasse a dare un nome alle mie paure, a essere me stesso senza rendere conto alla forma, alla regola e alla programmazione! Ho visto, in un gabbiotto della scuola, le emozioni prendere il volo senza neanche cercarle; ho visto bambini e ragazzini lasciarsi andare in pianti sfrenati liberandosi da pesi che li opprimevano; ho visto delle grasse risate, ma soprattutto ho visto ragazzi trovare un punto di riferimento!

Credo che la grande magia che nasce dalla simbiosi tra scuola e teatro sia proprio quella di indirizzare e accompagnare la crescita di ogni individuo con un solido punto di riferimento. L’istruzione scolastica più il teatro come libertà di espressione, come viaggio alla scoperta di chi siamo, sono la palestra più completa per la formazione di un ragazzo.

Credo che la scuola abbia il dovere di andare incontro ai ragazzi aiutandoli ad affrontare le problematiche di ogni giorno ricorrendo anche a progetti che esulino dalla normale istruzione come il teatro.
(studente universitario e fondatore dell’associazione Teatro Naturale)

*

Teatreducazione come esperienza di vita
di Mattia Oriani

Il teatro e la scuola sono due cose completamente separate, che però ogni tanto e grazie alla dedizione di qualcuno s’incontrano ed è un bene. Io ho frequentato il gruppo di teatro della scuola elementare per 5 anni e per altri gli altri 5 anni successivi ho continuato questa fantastica esperienza. La mia partecipazione al gruppo di teatro mi ha permesso di imparare come relazionarmi con gli altri e come riuscire a immedesimarmi in altri personaggi rimanendo sempre me stesso.

Ho imparato a vivere e a capire che ci sono molte difficoltà nel mondo odierno, ma che bisogna credere in se stessi e che si è sempre su un palcoscenico, in cui però non bisogna mai fingere. E’ stata un’esperienza di vita, che mi ha segnato per sempre e che mi ha fatto crescere e maturare, nonostante fossi molto piccolo e giovane, ma, come detto, è una cosa che ricordo ancora con molto piacere e devo ammettere che ogni tanto mi manca. La mia esperienza di teatro mi fa ricordare chi ero, chi sono e come lo sono diventato, mi fa riflettere e mi rende fiero di me stesso.

Tutto questo lo devo al mio maestro Sebastiano, che ha sempre creduto in questo progetto e in me, e continua a seminare la sua passione e il suo modo di essere in ogni persona che incontra.
(studente universitario)

*

I rischi della seduzione e la necessità della riflessione
di Paola Picardi

Il teatro, a partire dalla scuola. Un po’ per caso un po’ per uno strano istinto che non saprei descrivere, cominciai a frequentare il laboratorio teatrale del liceo.

Il teatro fatto a scuola aveva il sapore di un’esperienza “entusiasmante. Concedetemi questa espressione che porta con sé i superlativi propri dell’adolescenza. Quelle poche ore extracurriculari, condotte con sapiente maestria, ci introducevano in un terreno fatto di coinvolgimento emotivo totale. Ricordo le improvvisazioni, le risate, la commozione, la partecipazione, il mondo che eravamo riusciti a creare e che pensavamo fosse l’unico “possibile”. L’inganno era dietro l’angolo ma non si riusciva a scorgerlo davvero. E se s’intuiva un tranello, quel pensiero veniva rimosso all’istante. Per paura, credo. Forse, era tutta una questione di potere. Non certo potere sulle nostre coscienze, evidentemente libere, ma potere sui nostri stati dell’anima.

E come ogni forma di potere ben congegnato usava la seduzione come arma di prima scelta. Quello che non riuscivamo ad intendere, vuoi per la giovane età, vuoi per la necessità di credere che tutto fosse unico e vero, era il trucco del prestigiatore, la carta nascosta che non riesci a capire dov’è. Ma sai che c’è.

Quel trucco lo svelò il tempo. Più l’esperienza continuava più prendevo coscienza che quello che si stava facendo sembrava non avere una direzione chiara. Quello che pareva mancare era proprio la rotta, la meta da raggiungere.

Provo a spiegarmi meglio: il teatro a scuola si proponeva come attività di crescita personale. Si usavano parole come “formazione del sé”, “conoscenza di sé e degli altri”, “libertà di espressione”, etc… Che lo strumento teatro possa essere utilizzato per questi scopi, è cosa nota.

Il teatro fatto a scuola sapeva mimetizzarsi bene nelle sacre parole dell’educazione ma si guardava bene dall’andarci anche solo vicino. Si navigava molto bene intorno alla questione educazione ma ci si teneva alla larga dal vortice centrale, dalla difficoltà che l’educazione stessa porta con sé. Dai rischi che si possono correre. In estrema sintesi mancava lo scontro (e quindi l’incontro), si evitava furbescamente, si rifiutava aprioristicamente. Mancando l’incontro (scontro) tra maestro e allievi mancava la crisi e di conseguenza la crescita.

Questi temi, a me così cari, li compresi meglio qualche anno dopo quando venni in contatto con il teatreducazione. Non c’era più la scuola ma la volontà di persone adulte riunite in un percorso di crescita collettiva che potesse prima svelare e poi ricostruire.

Ho incontrato maestri capaci di farmi comprendere la forza e la difficoltà del fare teatro ed educazione. Ho scoperto le enormi contraddizioni che il fare teatro porta con sé, le difficoltà che nascono dalle diverse sensibilità in campo. Allo stesso tempo ho saputo scorgere l’importanza della riflessione, del tempo che si deve dedicare ad essa, della fatica della ricerca.

Oggi, lontana dal teatro, dalla scuola e forse anche dall’educazione, guardo a queste esperienze come tappe rilevanti nel mio percorso individuale di crescita. Il teatro ha sempre avuto su di me la capacità di aprire l’intricata scatola dell’emotività da cui poi sono scaturite le riflessioni e quindi, nell’insieme, i ricordi. Non credo che esista un mezzo analogo a questo. E non a caso il teatro ha saputo entrare così bene nelle scuole di ogni ordine e grado.

Sembra un giocattolo molto facile da maneggiare e alla portata di tutti, in virtù del fatto che non richiede “qualifiche”, e invece è il più difficile dei giochi, il più complesso e il più legato alla sensibilità di chi lo attua.

Nasco col teatro a scuola.
Dove la seduzione governa.
Dove non c’è quella libertà di pensiero.
Dove si attirano persone con mestiere e furbizia.
Dove l’attività extracurricolare necessita di un esperto che lavora e produce, progetta e semina per l’anno successivo.
Dove c’è un pubblico amico che apprezza l’impegno e ride.
Dove non ti puoi giustificare.
Dove se capisci, capisci.
Se non capisci, non capisci.
Dove lo spettacolo non conta ma conta il percorso.
Dove tutto serve.
Dove gli specchi non ci sono e le parole pesano poco. Sono un bel contorno variegato e ben presentabile.
Nasco però anche con l’idea del teatro come crescita personale. Come percorso educativo.
Teatro. Educazione. Non si vendono il teatro e l’educazione perché non sono arte.
L’arte è per pochi e non abita nelle scuole.
Il teatro e l’educazione li trovi in svendita. Senza la fila d’inizio saldi però.
Teatreducazione non è in vendita. Si offre. Ma è più facile comprare che accettare. Compro quello che voglio e non mi sento in debito.
(una delle fondatrici di Aite e medico)

*

Il terzo palcoscenico
di Federico de Fabrizi

Sono passati alcuni anni da quando la mia vita ha imboccato, in un incrocio, una traversa della strada di teatreducazione. Sento di aver fatto dei passi indietro. Me ne sono reso conto fin da subito di questa regressione.
Regressione: perché il sentimento dominante attualmente è il dispiacere, NON nostalgia o malinconia.
Regressione: perché così dicendo ho escluso la possibilità che teatreducazione sia ancora vivente. Come se fossimo stati gli unici ad aver vissuto e animato questo PROGETTO.

Sì, una testimonianza… questo mi è stato chiesto. Testimoniare vuol dire attestare fatti che si pensa di aver visto o vissuto. Ma Teatreducazione cos’ha di scientifico? Ma se ci pensiamo bene, in fondo la scienza cos’è se non una serie di tesi costruite sull’osservazione? E uno degli elementi caratteristici di questo progetto di teatreducazione è proprio lo “sguardo esterno“, l’osservatore. Colui che si pone fuori dal puro palcoscenico fisico, ma sempre dentro la prospettiva di ciò che si sta vedendo. Lo “sguardo esterno” quindi osserva, e – anche inconsciamente – stipula una serie di “tesi“. Una tra tutte, la scoperta di se stessi, mettendosi allo specchio con l’obiettivo di rompere l’immagine che si ha di sé davanti.

Così, consapevoli dei rischi, si prevede un salotto reale o virtuale, sede di discussione, collocato come “Terzo palcoscenico” di teatreducazione. Una posizione di pura convenzione, a mio avviso, perché difatti non ha una precisa collocazione cronologica né di priorità né di importanza. I salottini di confronto, i famosi specchi da rompere, le “stanze nere” in cui ritrovarsi, sono momenti che si vivono sia dopo un’esperienza, sia prima di un’altra.

Perché i salottini del “terzo palcoscenico” possono durare in eterno, anche con lunghe pause intermedie. Questa richiesta avanzatami ne è una dimostrazione: dopo una pausa di 3-4 anni ne sento riparlare, capendo di essere ancora lì dentro. Quindi qualcuno, nel frattempo, ha tenuto l’ingresso aperto e l’uscita chiusa. Spero che abbiano messo un avviso in entrata “Pericolo di sradicamento del sé“.
(studente universitario e fondatore dell’associazione Teatro Naturale)

*

C’era un palcoscenico
di Luca Albertini

Credo fosse il 2004, quando ricevetti un invito a fare parte di un gruppo di lavoro teatrale la cui storia nasceva anni prima, tra i banchi di scuola, tra insegnante e alunni. Conoscevo alcuni di loro e l’iniziativa mi piaceva molto. Quindi accettai e mi ritrovai a lavorare con il gruppo da cui sarebbe poi nata l’esperienza di Teatro Naturale; tempo dopo.

C’era un palcoscenico al teatrino di Triante, una piccola struttura scenica all’interno dell’oratorio dell’omonimo quartiere monzese. La prima volta che mi invitarono, vidi delle persone che ascoltavano, ridevano, si muovevano quasi all’unisono e il fatto di essere un estraneo rendeva l’esperienza più interessante, nonostante fossi lì a lavorare insieme a loro, guidato dagli stessi stimoli del maestro e legato dalla sintonia di una conoscenza con alcuni di essi. Poi venne la consapevolezza e l’abbandono… Il maestro vigilava con aria assorta e improvvisa agitazione.

Fu ripresa la pièce Verranno padri buoni e furono apportate alcune modifiche. Ricordo una scena totalmente nuova, costruita su di me, scaturita da un ballo spensierato con una bambolina, nella quale riponevo grande affetto e cura, quasi la portassi per mano in un cammino ardito ma con grande serenità d’animo. L’opera fu portata, ricordo, anche a Milano, dove conoscemmo i ragazzi del gruppo di Quarto Oggiaro, guidati da Claudia Pastorini, e con i quali lavorammo per qualche tempo. Qualche mese dopo, nel corso di pochi giorni, in maniera quasi estemporanea, ci costituimmo in una associazione culturale denominata, appunto, Teatro Naturale, che si occupava di organizzare manifestazioni in ambito teatrale, e non solo, che avessero come tema l’infanzia e l’adolescenza. Ricordo che ci fu un periodo in cui sembrava che dovesse succedere molto e in parte è stato cosi: l’associazione Teatro Naturale prima di sgonfiarsi portò alla luce l’esperienza di Invento, un festival di teatro che si svolse nella ventosa cornice di Montefalcone di Valfortore, un piccolo centro in provincia di Benevento.

E’ stata, questa di Invento, una esperienza forte, come un bel romanzo che hai già letto una volta. In cui hai esaurito la mera curiosità di sapere come finisce e finalmente assapori i versi, le pause, i dialoghi. Questo è avvenuto nella seconda edizione di Invento, mentre la prima è stata travolgente – siamo tornati a casa storditi, incapaci di capire per ore.

Il parcheggio dell’Esselunga era piuttosto freddo e ci ospitava malvolentieri. Fummo abbandonati al nostro destino, vagavamo così. Poi contattai una associazione ubicata nel quartiere di San Fruttuoso a Monza per sapere se avessero uno spazio a disposizione da affittarci. Lo trovammo e fummo felici. In questo spazio accogliente nacque e morì la nostra esperienza di gruppo. O forse, di insieme di persone.
(studente universitario e fondatore dell’associazione Teatro Naturale)

* * *

Materiali: rimandi e approfondimenti

Altri interventi e riflessioni su teatreducazione qui e qui.

La pratica del diario. La maieutica (qui)
L’educatore regista (qui)

Una intervista a Silvano Sbarbati: La mia biblioteca (qui)

Teatreducazioneblog (qui)
Associazione Teatro Giovani (qui)

Un’associazione: Agita

Coordinamento delle rassegne nazionali di teatro della scuola: C.O.R.A (qui e qui)

Una compagnia impegnata sul fronte della didattica: Teatro del sole

Pedagogia e teatro qui.

*

Qualche libro
- I giovani e il teatro, quaderni di Teatro Educazione, L’orecchio di Van Gogh 2004
- Segni e Disegni, l’attualità del teatro educazione, L’orecchio di Van Gogh 2005
- Geografia del teatro della scuola italiana, Leonardo Editrice 2001
- Felice Perussia, Theatrum Psychotechicum, Bollati Boringhieri 2003
- Luigi Dotti, Lo psicodramma dei bambini, Franco Angeli 2002
- Silvano Sbarbati, Parole contente – la scrittura non creativa, L’orecchio di Van Gogh 2005
- Fabrizio Cruciani, Registi pedagoghi e comunità teatrali nel Novecento, Editoria e Spettacolo 2006

* * *

La settimana scolastica

Cominciamo dalla fine, l’intervista domenicale su la Repubblica del ministro Gelmini. “Sono pronta ad ascoltare i ragazzi” dice il ministro. “Nel tempo si è perso qualsiasi rapporto con loro, e mi dispiace“. Si tratta di un ravvedimento del ministro? Visto che in altre occasioni il ministro ha sempre parlato degli studenti che manifestano come “non rappresentativi” e “strumentalizzati dai centri sociali e dalla sinistra“.

E sugli errori nei test per il concorso a preside che dice?Sono errori gravi, non mi capacito“. E sulla gaffe sul tunnel tra il Cern e il Gran Sasso? “Bastava chiedere scusa, e farci su un po’ d’ironia“. E sulle umiliazioni inflitte agli insegnanti italiani? “Non sono riuscita a spiegare come il paese debba ricredersi sul ruolo dell’insegnante. Ha perso valore sociale, prestigio“.

Anche a proposito della politica scolastica di questi anni il ministro parla espressamente di tagli, cosa che aveva sempre negato, e addirittura assicura:

“Basta, i tagli sono finiti. Nel 2012 la pianta organica dei docenti sarà stata ridotta di 80mila unità e lì ci fermeremo… il mio ministero non è più in grado di sopportare diminuzioni di finanziamenti…”.

Insomma, nonostante continui a parlare di “merito” e di “eccellenza“, il ministro ha un tono più umile e riflessivo. Effetto dei problemi interni al suo partito, o dell’imbarazzo per i propositi politici del premier? O della sveglia data dagli studenti con le manifestazioni del 7 ottobre, da Giustizia e Libertà che manifesta l’8 a Milano e dalla Cgil, in piazza l’8 a Roma contro la politica del governo nei confronti dei dipendenti pubblici?

Le reazioni degli studenti non si fanno attendere: un’apertura che arriva “fuori tempo massimo“. Dichiarazioni “francamente sconcertanti“. Uno scaricabarile con Giulio Tremonti degno della “migliore commedia all’italiana“. E i giudizi sono severi: opportunismo, finto interesse, ipocrisia, incomprensione profonda delle motivazioni che scorrono alla base delle proteste. Gli studenti della Rete della Conoscenza rivolgono 10 domande al ministro Gelmini.

Improvvisamente apprendiamo che avevamo ragione… In 3 anni sono stati davvero tagliati 80mila insegnanti. Quando lo denunciavamo non eravamo dunque pericolosi sovversivi” commenta su il Fatto quotidiano Marina Boscaino, che attribuisce il dietrofront del ministro Gelmini a un “sollecito contributo alla rapida rottamazione (senza rimpianti) di Tremonti“.

Si potrebbe anche pensare a un nuovo look del ministro, che già il 5 ottobre era intervenuto con un atteggiamento di difesa delle famiglie italiane, dopo che il segretario generale dell’Unione Nazionale Consumatori (UNC) Massimiliano Dona aveva criticato la richiesta di contributi volontari da parte delle scuole alle famiglie. Il ministro Gelmini con un comunicato si era schierato dalla parte dei cittadini: “La trasformazione dei contributi volontari delle famiglie alle scuole in contributi obbligatori rappresenta infatti un atto illegittimo“.

Peccato che la richiesta di contributi da parte delle scuole sia il risultato di tre anni di tagli. Non si fa attendere la replica ironica delle Associazioni Professionali dei Dirigenti Scolastici Andis e Disal:

“Certamente il bilancio sociale universale, risolverà i problemi delle scuole italiane, farà lievitare i docenti, gli impiegati e i collaboratori scolastici che mancano, riempirà le casse per rinnovare macchinari obsoleti da 20 anni, per pagare le visite fiscali, e farà sparire le crepe che ogni giorno aumentano senza nessuno che le vada a coprire…”

Intanto la scuola fa i conti dei tagli: in Sicilia ad esempio, ma anche i tagli totali di posti di lavoro della gestione Gelmini-Tremonti, come emergono in una tabella curata dalla Cgil, che distingue i tagli per categoria e per anno.

Così nel 2009/10 sono state tagliate 42.102 cattedre, nel 2010/11 25.600 e nel 2011/12 19.700 per un totale di 87.402. Per il personale Ata i tagli nel 2009/10 sono stati 15.167, nel 2010/11 15.167 e nel 2011/12 14.167 per un totale di 44.501.

A questi tagli si aggiungeranno quelli previsti dalla finanziaria del luglio 2011, relativi alla ristrutturazione della rete scolastica, all’accantonamento di posti di lavoro per docenti inidonei, al rientro dei lavoratori comandati presso Ansas/Invalsi. I posti persi per gli ATA saranno 6.930, mentre per dirigenti e docenti 1.277.

Questo mentre riprendono le condanne in tribunale per tagli e illeciti. Ad esempio il Tar del Molise annulla la decisione dell’ufficio scolastico regionale di assegnare un numero di ore di sostegno inferiori a quelle indicate nella diagnosi funzionale e richieste nel programma educativo. Un’altra sentenza del tribunale di Forlì Cesena impone risarcimento e scatti di anzianità per altri 27 docenti precari.

Alla Flc-Cgil si deve anche un documento che calcola in modo accurato quanto viene perso dai lavoratori della scuola per il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità e ne chiede il ripristino. Anche lo Snals-Confsal chiede al Governo il rispetto degli impegni assunti per il pagamento degli scatti di anzianità al personale della scuola.

E’ in questo clima di improvvisazione e non rispetto delle regole che matura una nuova fuga dalla pubblica amministrazione. Le nuove regole sulla pensione e i possibili ritocchi futuri hanno messo paura ai dipendenti pubblici e nei primi nove mesi dell’anno si è assistito ad un aumento di richieste di pensionamento del 5,27%. In particolare ad essere aumentati sono stati i ritiri anticipati che sono passati da 39.477 a 52.973. Chi può se ne va. Entro il 2014 nell’amministrazione si dovrebbe assistere a un calo di ben 300.000 dipendenti.

Uno dei temi che dominano questo inizio di anno scolastico e il più dibattuto ancora questa settimana è il concorso a preside. Di fronte a proteste e segnalazioni il ministero dell’Istruzione aveva parlato di “pochi e irrilevanti errori” presenti nella batteria di test per la prova preselettiva del 12 ottobre, il 6 ottobre sul sito del Miur appare la comunicazione: rimossi 975 test su 5750, quasi uno su cinque. Per difendersi dalle critiche sul numero altissimo di quesiti sbagliati, il ministero segnala sul web l’elenco degli esperti che hanno preparato i testi per la selezione, che si può leggere qui.

Inoltre c’è una coda: gli errata corrige contenevano ancora errori che sono stati corretti successivamente ma non segnalati ufficialmente. Particolarmente curiosa una “svista“: il documento ministeriale fa riferimento al test n. 710 dell’area 5. Ma com’è possibile, ci si è domandati, dal momento che il numero di items di quest’area è di 709?

Discussioni ha suscitato questa settimana il fatto che dal 2008 che il Miur non ha più pubblicato ufficialmente, ovvero sul sito del ministero, i risultati integrali degli scrutini di fine anno, limitandosi a stringati comunicati stampa. Adesso si scopre che negli anni del Governo Berlusconi non c’è mai stata alcuna crescita dei bocciati alle medie superiori, che avrebbero dovuto essere il risultato della linea dura del ministro Gelmini. La realtà è un’altra, che i respinti alle scuole superiori dal giugno 2008 al giugno 2011 sono scesi quasi del 2%.

Passando all’università. Nel rapporto dell’OCSE Education at a Glance 2010 tra le 14 nazioni considerate (Italia, Austria, Francia, Belgio, Spagna, Giappone, Finlandia, Islanda, Norvegia, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Olanda e Svezia) il nostro paese si colloca al sesto posto come tasse universitarie, ma ultimo come percentuale di studenti beneficiari di contributi per diritto allo studio. Inoltre il fondo integrativo statale per le borse di studio è recentemente passato da 246 a 76 milioni (-69%) equivalente al taglio di 45.000 borse su 150.000 erogate (che già coprivano solo l’82.5% degli aventi diritto).

Sempre in tema di università, da uno studio della Federconsumatori emerge che le università del Nord sono più care, in media, del 28,3%. Distanza che si fa ancora più evidente prendendo in considerazione l’ultima fascia, quella per i redditi più alti: le università del Nord risultano in questo caso più care del 68% rispetto a quelle del Sud.

Anche per questo in occasione dell’inizio degli anni accademici, le Organizzazioni universitarie (Adi, Adu, Andu, Cisl-Universita’, CoNPAss, Flc-Cgil, Link, Rete29Aprile, Sun, Udu, Ugl-Universita’, Uilpa-Ur, Usb-Pubblico impiego) promuovono una iniziativa nazionale unitaria di mobilitazione nella giornata dell’11 novembre contro i continui tagli ai fondi per l’ordinario funzionamento, la riduzione del 95% dei fondi per il diritto allo studio, il ridimensionamento dell’offerta didattica, il blocco del reclutamento e delle carriere, l’espulsione di migliaia di precari.

Ricordiamo infine le mobilitazioni del mese di ottobre. Il 12 ottobre sarà la volta della CISL, che ha indetto a Roma gli “Stati generali di scuola, università, ricerca, pubblico impiego, soccorso pubblico e sicurezza“. Il 15 ottobre vedrà mobilitazioni in tutta Europa, nel Mediterraneo e in altre regioni del mondo contro le politiche dei governi per fronteggiare la crisi, tutte rigorosamente liberiste, con l’adesione di numerosi soggetti (Fiom, Globalproject, Sel, Rete28Aprile, Usb, Sinistra Critica, settori del popolo viola, Arci, Cobas, Rifondazione Comunista). Per il 28 ottobre la UIL ha indetto uno sciopero di tutto il pubblico impiego contro le politiche del Governo. Allo sciopero verranno affiancate iniziative locali, organizzando manifestazioni nelle principali città italiane: il 14 ottobre a Firenze, 21 ottobre a Milano, 28 ottobre a Roma.

* * *

Vademecum di resistenza alla scuola della Gelmini approntato da ReteScuole.

Per chi vuole approfondire, ReteScuole ha raccolto le iniziative legislative estive del governo che riguardano la scuola. Su PavoneRisorse si può leggere una approfondita analisi delle ricadute sulla scuola della finanziaria di agosto 2011.

Il decreto Brunetta qui.

Il vademecun della CGIL sulle sanzioni disciplinari qui.

Tutte le “riforme” del ministro Gelmini.

Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.

Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.

Guide alla scuola della Gelmini qui.

Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.

Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.

Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.

* * *

Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.

Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.

Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Gilda, Cub.

Finestre sulla scuola: ScuolaOggi, OrizzonteScuola, Aetnanet. Fuoriregistro

Spazi in rete sulla scuola qui.

(Vivalascuola è curata da Nives Camisa, Alessandro Cartoni, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

  • Nuove uscite Piemme

    Nuove uscite Piemme

    Buongiorno, lettori e lettrici! Vi presento le ultime due uscite per la casa editrice Piemme: "All'inferno non c'è glamour" di Lucy Sykes e Jo Piazza, un romanz... Leggere il seguito

    Da  Ilary
    CULTURA, LIBRI
  • Sua Maestà Italia

    Maestà Italia

    Dopo il padiglione del Nepal, l’unico abbandonato per necessità, rimasto a simbolo di un momento interrotto; accanto al padiglione della Corea, coinvolgente... Leggere il seguito

    Da  Dallomoantonella
    CULTURA, FOTOGRAFIA
  • Fare spazio – Firenze

    Fare spazio Firenze

    Centrale del baratto a Firenze La mitica Centrale del Baratto di via Faentina 43r a Firenze cambia pelle, ma non sostanza. Seguite tutti i nuovi corsi per cui... Leggere il seguito

    Da  Wfirenze
    CULTURA, EVENTI, VIAGGI
  • After di Anna Todd

    After Anna Todd

    AfterSerie Afterdi Anna Todd  Titolo: After Autore: Anna Todd Edito da: Sperling Kupfer Prezzo: 14.90 € Genere: Romanzo, new adult Pagine: 448 Trama: Acqua e... Leggere il seguito

    Da  Nasreen
    CULTURA, LIBRI
  • Il food trucks a New York, Barcellona e Parigi

    food trucks York, Barcellona Parigi

    La nuova moda è arrivata e le protagoniste sono furgoncini e carovane meravigliose. Stiamo parlando dei food truck, ovvero cibo di prima qualitá sulle... Leggere il seguito

    Da  Witzbalinka
    CULTURA, VIAGGI
  • La vetrina degli incipit - Giugno 2015

    vetrina degli incipit Giugno 2015

    L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali... Leggere il seguito

    Da  La Stamberga Dei Lettori
    CULTURA, LIBRI