Noi siamo quelli che si possono cambiare,
i disponibili, i tappabuchi della scuola, quelli
che possono aspettare, che non lasciano
memoria, nomi senza volto e senza storia
a settembre in classe
a giugno fuori dal portone,
pedine d’una cinica scacchiera sgangherata
che vuole il pregio di dirsi istituzione.
(Francesco Sassetto, qui)
Una scuola precaria
di Claudio Nicrosini
Un tema difficile, un soggetto frammentato
Il tema del precariato fra i lavoratori della scuola, in un certo senso, risente della natura segmentata e frammentaria del suo oggetto. Ne è difficile uno sviluppo sintetico ed efficace, perché l’oggetto stesso “sfugge” e si modifica costantemente. Esistono, in effetti, diverse forme di precariato: diverse graduatorie, diversi contesti regionali, diverse rivendicazioni e diverse storie, intrecciate fra loro. Di più: il soggetto stesso di queste storie, il precario, come soggetto collettivo ha un’esistenza debole. Anche quando si costituiscono gruppi e coordinamenti di un certo rilievo, essi tendono ad assumere forme particolari o di breve durata.
Lavoratori con percorsi di formazione e reclutamento diversi, che cambiano posto di lavoro annualmente, e sono impiegati in contesti lavorativi diversi, con mansioni diverse. Storie di lavoro e di rivendicazione anche importanti ma che quasi sempre non fanno in tempo a sedimentare, o sedimentano in esperienze collettive e sindacali “instabili” e diversificate a livello locale.
Quanti sono i precari della scuola?
D’altra parte, il fenomeno generale del precariato nella scuola (lavoratori con contratti o incarichi a tempo determinato o di breve durata) è un fenomeno di massa. Se è persino difficile reperire delle cifre esatte, è però possibile riferirsi in modo attendibile a stime che indicano intorno alle 200.000 unità i lavoratori precari della scuola, a coprire poco meno di un quinto del personale complessivo. (1)
Un tale fenomeno, pur se articolato e contraddittorio al suo interno, non può che avere una portata generale e incidere sulla scuola nel suo complesso. (2) La lunga durata di questo fenomeno, pur ciclico e differenziato, ci dice inoltre anche che si tratta di un fenomeno strutturale.
Indicativa della natura del fenomeno stesso è la stessa difficoltà e ambiguità di registrarlo. Anche a livello ministeriale non sono forniti dati esatti o stime attendibili dei precari assunti attraverso chiamate dei singoli istituti. Questo rileva, in un certo senso, la precarietà dell’intero sistema di reclutamento e dell’amministrazione scolastica nel suo insieme.
Una situazione destinata ad aggravarsi
I recenti sviluppi indicano chiaramente che il fenomeno del precariato non volge affatto verso una soluzione e neanche, a differenza che in altre fasi storiche, verso un accomodamento provvisorio. (3)
Le ultime dichiarazioni ministeriali sulle immissioni in ruolo (che fanno riferimento a circa 66.300 immissioni in ruolo, di cui circa 30.300 fra i docenti) tacciono il fatto che queste assunzioni a tempo indeterminato, se e nella misura in cui avverranno, (4) non copriranno in nessun caso i pensionamenti previsti.
Anche nella migliore delle ipotesi, accreditando per vere le immissioni in ruolo indicate dal Ministero per questo e per i prossimi anni – immissioni il cui numero però rappresenta solamente un tetto massimo, essendo sottoposto a vincoli di verifica di bilanci –, la percentuale dei precari nella scuola sarebbe quindi destinata a crescere.
D’altra parte, tagli complessivi previsti dalla legge 133 del 2008 e dal piano programmatico di attuazione della legge (taglio drastico di tecnici, bidelli e personale delle segreterie, innalzamento degli alunni per classe, accorpamento di scuole, riduzione di orari curricolari, eliminazione di compresenze e di insegnamenti particolari, ecc.), hanno causato nei due anni passati e causano nell’anno corrente una riduzione complessiva del personale (circa 144.000 unità in meno fra ATA e docenti) (5) e l’espulsione dalla scuola di un elevato numero di precari (in decine di migliaia).
La manovra finanziaria 2011, in via di definizione, sembra se possibile solamente aggravare la situazione. Le stesse assunzioni in ruolo annunciate potrebbero avvenire in misura minore del previsto, in considerazione del fatto che molti insegnanti e ATA potrebbero essere costretti o spinti ad andare in pensione più tardi da nuove disposizioni relative ai pensionamenti. Il risultato sarebbe quindi solamente che il numero dei precari a rischio di espulsione dalla scuola tenderebbe ad aumentare.
Il dato certo, in definitiva, è la totale incertezza cui è sottoposto almeno un quinto del personale della scuola. Posto di lavoro incerto, sede instabile, futuro imprevedibile nel contesto di una scuola gravata da tagli pesantissimi di organico. Quale modello di partecipazione, di didattica, di formazione degli alunni e dei docenti si può fondare su simili basi?
La segmentazione ciclica del personale della scuola
Occorre rilevare, d’altra parte, che i precari della scuola non rappresentano una realtà omogenea: sono divisi in segmenti i cui interessi particolari non sempre coincidono e anzi, spesso, sono apertamente contrastanti.
Segmenti di precariato distinti vengono creati ciclicamente, e sistematicamente messi in conflitto fra loro dalle disposizioni ministeriali relative alla diversa ripartizione degli incarichi e delle immissioni in ruolo e quindi, negli ultimi anni, dei tagli e dei licenziamenti.
Oltre alla distinzione e scarsa comunicazione fra ATA e docenti, ed oltre ai conflitti fra personale di ruolo e precari (soprattutto in relazione all’utilizzo per classi di concorso diverse da quelle di provenienza di personale di ruolo in esubero), si producono così, all’interno del corpo della scuola, altre discrepanze, meno evidenti ma non meno pesanti, fra gli stessi docenti precari.
Fra i docenti precari si possono distinguere:
☞ precari ancora in attesa di essere nominati in ruolo dopo aver vinto un concorso (l’ultimo dei quali è stato bandito nel 1999)
☞ precari che hanno frequentato le scuole di specializzazione (istituite nel 1998) o che hanno svolto dei corsi speciali abilitanti, che sono inseriti in graduatorie provinciali
☞ precari che lavorano solo su supplenze d’istituto (maternità, malattie, ecc.) e su “graduatorie d’istituto”, e sono in attesa di poter ottenere l’abilitazione e/o potersi inserire nelle graduatorie provinciali.
Il quadro che ne risulta è fortemente segmentato, e le difficoltà di organizzazione sindacale e di coordinamento derivano in gran parte da questa segmentazione. Questa base di lavoratori precari, d’altra parte, si colloca in un contesto scolastico che in gran parte è reso instabile dai recenti tagli. Gli stessi docenti di ruolo, soprattutto alle scuole superiori, scontano esuberi e sono spesso costretti, dopo anni di insegnamento a cambiare materia e programmi di insegnamento, a cambiare scuola, ecc.
Da Moratti a Gelmini: come dividere e frammentare
I diversi segmenti di precariato sono stati messi in conflitto da normative incongruenti fra loro prima, e dai tagli poi. A partire dal 2002 (ministro Moratti), con il blocco del piano di assunzioni previsto, si è aperto un duro conflitto fra i precari abilitati SSIS ed i cosiddetti precari storici, in relazione ai punteggi attribuiti e quindi ai criteri di reclutamento dei due diversi segmenti di precari.
Negli scorsi anni (ministro Gelmini), in regime di tagli, si è prodotto invece un aspro scontro intestino relativamente alla possibilità per i precari di spostarsi da una provincia ad un’altra, e sono stati avviati numerosi ricorsi pro o contro l’inserimento “a pettine” (cioè la possibilità di cambiare provincia ed inserirsi con il proprio punteggio nella nuova graduatoria).
La differenza dell’entità dei tagli da regione a regione, e talvolta da provincia a provincia, ha contribuito a far dilagare i ricorsi (10.000 in tutta Italia) volti ad ottenere la possibilità per i precari di cambiare graduatoria provinciale. Se per i precari inseriti in graduatorie provinciali in cui i tagli sono risultati molto consistenti una delle priorità era quella di ottenere la possibilità di trasferirsi in altra provincia, per continuare a lavorare, i precari di diverse province si sono opposti in molti casi a questa possibilità, temendo che il carattere incontrollabile dei trasferimenti pregiudicasse del tutto le graduatorie esistenti e rendendo imprevedibile il movimento di insegnanti da provincia a provincia.
I più recenti provvedimenti governativi non potranno che accrescere queste divisioni interne al precariato ed alla scuola, e contribuiranno (consapevolmente) a decentrare l’attenzione e depotenziare la resistenza ai tagli.
La novità dell’anno: un nuovo canale di reclutamento, il TFA
Il governo si appresta ad organizzare un nuovo canale di “reclutamento”, attraverso l’istituzione di un percorso universitario detto TFA (Tirocinio Formativo Attivo). (6) Una certa percentuale di docenti (non meglio specificata e su cui si apriranno ampie battaglie e ricorsi), se il progetto dovesse andare in porto, dovrebbe accedere all’insegnamento attraverso un canale parallelo a quello delle graduatorie provinciali già esistenti, previo svolgimento di corsi attivati presso l’università e di un tirocinio presso le scuole.
Una parte dei docenti, quelli non abilitati (esattamente come una parte degli studenti universitari) attende l’attivazione di questi corsi. Una parte la teme, perché reputa che attraverso questo nuovo canale si scavalchino le graduatorie esistenti, che per lo meno garantivano una certa trasparenza nella gestione delle supplenze e delle immissioni in ruolo e, parzialmente, un criterio basato sull’anzianità di servizio.
Non è escluso che il ministero faccia in modo che si apra un’ennesima guerra a colpi di ricorsi e che il sistema di reclutamento tramite graduatorie provinciali entri in crisi. In un certo senso il precariato è possibile solo se si rinnova costantemente e cambia forma. Occorre dividere e frastagliare ciclicamente il corpo dei precari e del personale della scuola in genere. In questo modo, infatti, non è possibile che si consolidi un’esperienza sindacale e una resistenza energica nelle scuole.
I disegni accantonati ma alle porte: Aprea e Pittoni
Questo meccanismo politico-amministrativo di segmentazione ciclica del precariato attraverso un rinnovo sempre parziale e contraddittorio delle modalità di attribuzione degli incarichi e di immissione in ruolo, ha una lunga serie di precedenti nella storia della scuola della Repubblica. In regime di tagli, però, ha scatenato guerre fra precari a suon di ricorsi, che hanno trascinato su versanti opposti anche i sindacati (e talvolta diviso gli stessi sindacati a seconda della provincia).
La stessa possibilità di gestire in modo ordinato e coerente il reclutamento dei docenti attraverso concorsi e percorsi abilitanti è sembrata essere messa in discussione e, in seno alle forze del centro-destra, sono state formulate diverse ipotesi per una revisione complessiva del reclutamento basata su albi regionali e chiamata diretta degli insegnanti da parte dei presidi (vedi disegno di legge Aprea e disegno di legge Pittoni). Simili ipotesi (volte a scardinare l’omogeneità nazionale della scuola statale e a rendere totalmente passivo, anche di fronte ai tagli, il corpo docente), sono state provvisoriamente accantonate, ma rimangono alla porta. D’altra parte, le divisioni fra i precari e l’enorme numero di ricorsi contribuiscono dal canto loro a rendere estremamente debole il sistema di reclutamento basato sulle graduatorie.
I ricorsi del 2011 e una rivendicazione unitaria dei precari della scuola
Solo di recente alcuni ricorsi basati sulla normativa europea, ed in particolare sulla direttiva 70 del 1999 (che in Italia per ora è stata recepita solo in ambito privato) hanno in qualche modo cambiato la prospettiva delle azioni legali intraprese negli ultimi anni. I precari hanno cercato cioè di far valere anche nella scuola, a partire dai tribunali del lavoro, il diritto all’assunzione a tempo indeterminato al terzo rinnovo contrattuale o dopo 36 mesi anche non consecutivi di impiego sotto lo stesso datore di lavoro – in questo caso il MIUR.
L’esito di questi ricorsi si è dimostrato per ora complessivamente soddisfacente, soprattutto nel caso dei precari impiegati su cattedre fino al 31 agosto. Il riconoscimento da parte dei tribunali del lavoro, in questi casi, dei danni per abuso di contratto a tempo determinato, ha senz’altro spinto a determinare un certo incremento delle immissioni in ruolo per l’anno 2011-2012 per evitare questa eventualità.
Ma, soprattutto, la rivendicazione dell’applicazione della direttiva europea anche nel pubblico impiego contribuisce ad affermare un principio di programmazione degli organici e delle assunzioni, delineando la prospettiva semplice ma estremamente ambiziosa di un’unica modalità di immissione in ruolo a prescindere dalle modalità di reclutamento iniziale: dopo tre anni anni di lavoro in totale o al terzo rinnovo contrattuale.
La normativa europea, già recepita in Italia eccetto che per il pubblico impiego, imporrebbe finalmente una programmazione ed una trasformazione radicale dell’amministrazione scolastica ed arginerebbe, di fatto, i tagli (imponendo sicuramente un’integrazione del personale amministrativo ed un organico aggiuntivo nelle singole scuole). La rivendicazione dell’applicazione della legislazione europea anche nel pubblico impiego, in ogni caso, potrebbe unire senza difficoltà tutti i segmenti precari esistenti (7) oltre che i vari settori della scuola.
Docenti precari, scuola precaria
I precari della scuola rappresentano in un certo senso uno dei lati più deboli della scuola, o almeno il lato più debole del personale della scuola. Un lato che, da solo, non è in grado di difendersi, se la scuola pubblica nel suo complesso non si difende.
Il problema del precariato, come segmentazione del personale e precarietà contrattuale e lavorativa, contribuisce alla generale precarietà del mondo della scuola, quella precarietà in senso lato, alimentata dai tagli, che viene sempre più chiaramente percepita come discontinuità e approssimazione della didattica, carenze delle strutture, assenza di reali forme di condivisione e partecipazione. Il mondo della scuola, per difendersi, deve affrontare il problema della sua precarietà, e quindi anche risolvere il problema del precariato lavorativo al suo interno.
Le più basilari conquiste educative e partecipative degli anni ’70 risultano in gran parte depotenziate anche dalla precarietà di una parte ampia e importante del personale della scuola. Il “corpo” docenti, in realtà, nelle scuole non è tale. Nella stragrande maggioranza delle scuole almeno il 20% dei docenti risulta estraneo di fatto alle dinamiche del collegio docenti. I precari (che molto spesso sono gli insegnanti più giovani o meno anziani), non hanno alcuna certezza della continuità di anno in anno, né quindi svolgono un ruolo propositivo nei consigli di classe. Infine, non possono ricoprire cariche elettive nei consigli di circolo e d’istituto.
Ne risulta un corpo docenti menomato, in un certo senso zoppo, ed una scuola stanca. Formalmente dotati degli stessi diritti nei collegi, di fatto i precari (come minimo un insegnante su cinque) non sono in grado di partecipare attivamente alla programmazione delle attività ed all’organizzazione della didattica. La scuola è privata di energie nuove; gli insegnanti più anziani hanno ben poco modo di comunicare le esperienze maturate nel corso degli anni e contribuire a elaborarne di nuove; gli insegnanti giovani non maturano in un contesto in cui sia possibile un confronto di esperienze ed una formazione condivisa. Ne deriva che nelle scuole il lavoro collettivo, il confronto fra docenti, la formazione di gruppo degli insegnanti per lo più risultino debolissimi quando non inesistenti.
Anche i rapporti fra insegnanti, studenti e famiglie, necessariamente, sono negativamente condizionati dalla vasta e diffusa precarietà della scuola. Le conseguenze, da questo punto di vista non sono solo di tipo strettamente educativo. Viene ampiamente depotenziato il modello di partecipazione che, almeno in parte, le mobilitazioni degli anni settanta avevano guadagnato.
In un certo modo qualsiasi mobilitazione decisa in difesa della scuola pubblica e qualsiasi rinnovamento culturale profondo volto ad un suo radicale rinnovamento dovrebbero necessariamente avere fra i loro punti di partenza il tema della soluzione della segmentazione e delle precarietà esistenti. E i precari, dal canto loro, non riusciranno ad aggregarsi in forme più lungimiranti e durature se non tenendo ben fissi il tema più generale della precarietà della scuola nel suo complesso, oltre che la necessità della difesa della scuola pubblica e di un suo forte rinnovamento culturale e partecipativo.
Note
1. Gli ultimi dati ministeriali risalgono all’anno scolastico 2009-2010 e indicano in circa 194.000 unità il personale a tempo determinato, su un totale di circa 1.052.000 lavoratori. Il dato è inclusivo di docenti e personale non docente (ATA), e riguarda tanto i contratti fino al 30 giugno che quelli fino al 31 agosto. Tuttavia non sono conteggiati i lavoratori che tutti gli anni svolgono sostituzioni su malattia, maternità, ecc. (le cosiddette supplenze brevi, attribuite dalle singole scuole).
2. Nelle sole graduatorie provinciali di Milano e Monza-Brianza al loro recente rinnovo (anno scolastico 2011-2012) risultano inclusi circa 17.300 lavoratori precari (di cui 13.000 docenti 4.300 ATA).
3. Un quadro generale dell’evoluzione normativa e delle esperienze rivendicative dei precari della scuola in Italia si può trovare in Patroncini, Il lavoro del supplente, Roma, 2000; una sintesi di tale lavoro è reperibile sul forum del Coordinamento nazionale precari scuola, sotto la voce: “utilità”: qui.
4. Il decreto 4 agosto 2011, in relazione alle assunzioni in ruolo premette: “Fatta salva la verifica da parte del MIUR [Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca] d’intesa con i MEF [Ministero dell'Economia e delle Finanze] e con il dipartimento della funzione pubblica e fermo restando il regime autorizzatorio in materia di assunzioni…”; e più avanti specifica che le immissioni in ruolo saranno condizionate ed avverranno solamente “… nel rispetto degli obiettivi programmati dei saldi di finanza pubblica”. Ogni numero annunciato in realtà rappresenta quindi solo un limite massimo. Ben più significativa, invece, sarebbe un’indicazione sulle assunzioni minime previste. Per altro ad oggi, ad esempio, non è possibile conoscere il numero di assunzioni in ruolo effettuate a Milano / Monza-Brianza per l’anno scolastico 2011-2012. Il provveditorato e gli uffici regionali responsabili dell’ambito territoriale non hanno ancora pubblicato un elenco che ci fornisca questi dati.
5. 87.400 insegnanti e 44.500 ATA in meno in tre anni. Questi i tagli triennali imposti dal piano programmatico della legge 133 del 2008.
6. Un primo decreto, datato 10 settembre 2010 inizia a definire i vincoli di accesso ai percorsi formativi di questo nuovo segmento di docenti (il testo è reperibile a qui). Il 4 aprile 2011 ha fatto seguito un secondo decreto (il testo è reperibile al qui).
7. Una petizione generale che prende spunto dai ricorsi avviati è reperibile a qui. Tale petizione è stata di recente fatta propria dal coordinamento precari scuola nazionale, ed è auspicabile che trovi nuovo slancio nei prossimi mesi.
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Una breve storia del precariato della scuola
Se il precariato è onnipresente nella storia della scuola italiana, tuttavia occorre prendere atto che tra il precariato degli anni settanta e quello del 2000 vi sono differenze costitutive rilevanti. Il precariato all’inizio degli anni settanta era più numeroso: era quasi la metà del personale allora in servizio, il che vuol dire che si aggirava permanentemente intorno al mezzo milione di unità. Era egualmente diffuso a
livello nazionale, nelle diverse classi di concorso e nei diversi gradi di scuola. Ed era il frutto del boom scolastico e della mancanza di programmazione: la crescita della scolarizzazione tra il 1960 ed il 1975 era stata così impetuosa da mandare in “tilt” non solo la macchina amministrativa della scuola italiana insieme agli equilibri sociali, ma anche il tradizionale sistema di reclutamento basato sul concorso, fino ad allora nazionale.
(continua qui)
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La settimana scolastica
La settimana ha visto l’inizio dell’anno scolastico 2011-2012, l’anno conclusivo del ciclo di tagli stabiliti dalla l. 133/08 che hanno visto la scuola perdere in tre anni otto miliardi di euro e 133.000 posti di lavoro. Grandi servizi sono dedicati all’evento nei quotidiani nazionali (vedi ad es. qui, qui, qui, qui, qui, qui).
Qui segnaliamo invece una sintesi delle novità dell’anno scolastico.
E’ anche l’anno in cui per la prima volta lo stanziamento del ministero per il fondo d’istituto delle oltre 10.000 scuole italiane scende al di sotto dei 100 milioni di euro. Per il 2011, sono previsti infatti poco meno di 79 milioni, contro i 127 milioni dell’anno scorso. Dal 2001 il finanziamento è diminuito del 71%: erano 521 i miliardi di lire, pari a 269 milioni di euro, che dieci anni fa arrivavano nelle casse scolastiche. Sono questi i fondi con cui le scuole realizzano il Pof (il Piano dell’offerta formativa) e l’aggiornamento dei docenti.
Inoltre le norme contenute nelle manovre finanziarie di questa estate 2011 introducono nuovi tagli diretti alla scuola e un’ulteriore diminuzione dei fondi alle Regioni e agli Enti locali, che attualmente contribuiscono per il 17% alla spesa per l’istruzione (vedi qui).
Questo è un bilancio del triennio Gelmini-Tremonti:
La scuola pubblica italiana ha perso tutti i suoi aspetti di eccellenza, senza introdurre alcun miglioramento nei suoi punti deboli. Via il tempo pieno e la buona scuola elementare e dell’infanzia, gravemente indebolite le migliori esperienze di integrazione delle differenze (disabili e migranti), pesantemente ridotte anche le attività laboratoriali. Senza risorse per individualizzare i percorsi formativi si aggraverà la dispersione scolastica e peggioreranno i livelli di apprendimento, mentre l’edilizia scolastica rimane nelle stesse condizioni di inciviltà. Se a questo si aggiunge l’accanimento con cui il governo infierisce contro i lavoratori della scuola, colpevoli innanzitutto di essere elettori poco affezionati al centro destra, appare chiara una situazione senza vie di uscita.
(Fabrizio Dacrema, qui)
Questa a titolo esemplificativo è la situazione nella scuola milanese:
413.796 allievi (+4.735) di cui 50.000 di provenienza extracomunitaria (+3.000). In aumento vertiginoso le cosiddette classi-pollaio (28/31 alunni), a rischio sicurezza.
L’inserimento dei diversamente abili interesserà 12.950 alunni che saranno affidati a 4.800 docenti di sostegno.
Sono 3.466 le cattedre fatte sparire a Milano dalla Gelmini nell’ultimo triennio.
500 i docenti in esubero, privi di titolarità nella secondaria.
Con 1.500 posti tagliati, si riducono a 11.000 le unità di personale ATA assegnato alle scuole, mettendo a rischio il funzionamento amministrativo, la sicurezza, la vigilanza e l’assistenza all’handicap.
Sono 120 le scuole di Milano e provincia senza Dirigenti Scolastici, 34 nella Brianza per un totale di 154 Dirigenti con doppio incarico.
Oltre un centinaio le scuole senza un DSGA titolare, sostituiti da altrettanti Assistenti Amministrativi in utilizzo.
E tutte le scuole costrette a chiedere “contributi” sempre più alti alle famiglie.
(Pippo Frisone, qui)
In queste condizioni non c’è da stupirsi se arrivano notizie di scuole senza sedie, classi pollaio anche con più di 50 studenti, presidi a cui sono affidate più scuole, a una preside addirittura 17 scuole. Nomine dei precari nel caos e classi senza docenti, e per chi è immesso in ruolo blocco degli stipendi.
A inquadrare la situazione italiana nel contesto internazionale arriva il rapporto sull’educazione diffuso dall’Ocse.
Per quanto riguarda le retribuzioni dei docenti. Dal 2000 al 2009 gli stipendi nella scuola italiana sono diminuiti dell’1%, mentre nel resto dei paesi Ocse hanno registrato aumenti medi del 7%. Non solo. Un insegnante della scuola media nel Belpaese deve attendere 35 anni di servizio per ottenere il massimo salariale, quando la media Ocse ne prevede invece 24. E comunque, in generale, i docenti italiani guadagnano il 40% in meno rispetto ad altri connazionali con lo stesso grado di istruzione.
Quanto alla spesa destinata all’istruzione, nel 2008 in Italia era pari al 4,8% del Pil: 1,3 punti percentuali sotto la media Ocse (6,1%). Un dato che posiziona il nostro Paese al 29° posto sui 34 Paesi che aderiscono all’Organizzazione. Tra l’altro, solo l’8,6% della spesa totale in istituti di istruzione è stata fornita da fonti private, la metà rispetto alla media Ocse. Tra il 2000 e il 2008, la spesa nella Penisola per la scuola primaria, secondaria e post-secondaria non universitaria è aumentata solo del 6% contro la media Ocse del 34%.
Numero dei laureati: il rapporto evidenzia che in Italia sono il 14% della popolazione adulta (solo Turchia e Brasile ne hanno meno) e il 20% della fascia di età 25-34 anni contro 37% della media Ocse (il che relega l’Italia al 34° posto su un totale di 37 Paesi considerati). Il loro tasso di occupazione è del 79% contro l’84% Ocse.
Una conferma per l’anno 2009-2010 arriva dal Cnvsu (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario): sono sempre meno gli studenti delle superiori che si iscrivono all’università, nel 2009/2010 si è toccata la quota più bassa degli ultimi dieci anni: 65,7 per cento di diplomati immatricolati all’università.
Il 13 settembre il ministro Gelmini così commenta:
I dati del rapporto Ocse sull’istruzione in Italia confermano la necessità di proseguire nella direzione delle politiche adottate dal governo e ne indicano alcuni risultati positivi.
Dichiarazione che lascia increduli tanti commentatori. “La bocciatura arriva dall’Ocse ed è pesante” scrive La stampa, “I dati dimostrano come negli ultimi tre anni le scelte politiche del reggente del Miur abbiano allontanato la scuola italiana dall’Europa” secondo l’Anief. “Per arrivare all’Italia bisogna scendere in fondo alla classifica, giù fino al 29° posto su un totale di 34. Piena zona retrocessione” scrive il Corriere della Sera. “C’è un limite alle interpretazioni, e alle bugie” per la Repubblica. Per l’Unità si tratta di “numeri che dovrebbero preoccupare l’Italia e spingere il governo a invertire la rotta o il paese a cambiare governo“. Per Famiglia cristiana “dopo l’ennesima bocciatura del nostro sistema scolastico, al ministero di viale Trastevere, anziché strapparsi i capelli, hanno deciso di autopromuoversi“.
Occupazione. Altri dati arrivano dall’Ocse che, nel suo Employment Outlook, basato su dati di fine 2010 fotografa lo stato di precarietà occupazionale del nostro Paese. In Italia, il 27,9% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è disoccupato e il 46,7% di chi invece lavora ha un impiego temporaneo.
“Non facciamoci atterrire da questi dati e problemi negativi. Dobbiamo affrontarli con consapevolezza e lucidità in un contesto europeo“, ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Ilvo Diamanti invece fa un appello amaramente ironico: Non studiate!
Non studiate, ragazzi. Non andate a scuola. Tanto meno in quella pubblica. Anni buttati. Non vi serviranno neppure a maturare anzianità di servizio, in vista della pensione. Che, d’altronde, non riuscirete mai ad avere. Perché la vostra generazione è destinata a un presente lavorativo incerto.
E Mimmo Pantaleo, Segretario Generale FLC CGIL:
La nostra ambizione è far diventare senso comune la consapevolezza che senza investire in conoscenza non si può affermare il valore del vivere insieme abbattendo i muri della indifferenza e della paura e cambiando il modello di sviluppo. Più istruzione e più educazione sono le condizioni per cancellare la precarietà esistenziale delle nuove generazioni garantendo loro il diritto ad avere un futuro.
Due dibattiti hanno animato questo inizio d’anno scolastico. Uno è stato innescato dai giovani di Comunione e Liberazione che protestano con il ministro per il fatto che i giovani laureati che aspirano a lavorare nella scuola si vedono le porte sbarrate per chissà quanti anni; i giovani di CL lanciano un appello dal titolo: «L’Italia è un Paese per vecchi? Il “Decreto Gelmini” chiude ai giovani l’accesso all’abilitazione all’insegnamento» che in breve raccoglie 12.000 firme anche di esponenti dell’opposizione.
L’appello avrebbe scatenato le ire immediate del ministro dell`istruzione, Mariastella Gelmini: in un’intervista nega che in Italia l’insegnamento sia precluso ai giovani. Ma è stata presto fatta la pace, a seguito dell’assicurazione che sarà alzato il numero di posti nei TFA riservati ai giovani aspiranti alla abilitazione all’insegnamento ed è stata subito sospesa la raccolta di firme.
Ai giovani di CL risponde Brunello Arborio dal Forum Mai più precari nella scuola.
Dobbiamo purtroppo costatare che alle vostre legittime richieste manca un’analisi della situazione in cui versa la scuola. Innanzi tutto vorremmo informarvi che la maggior parte dei precari ha iniziato da giovane ad insegnare ritrovandosi a 50 anni ancora precario, quindi le colpe non vanno ricercate verso quelle persone che hanno servito lo Stato per tanti anni e che oggi si trovano in situazione di precarietà perché anch’essi sono stati giovani ed hanno vinto concorsi… il vostro appello non deve scontrarsi verso questa generazione di 50enni, ma su chi ha voluto tutto ciò…
Nel vostro appello sembrate ignorare che negli ultimi 3 anni il governo ha tagliato 140.000 posti, di cui circa 90.000 insegnanti, ed 8 miliardi di finanziamenti alla scuola pubblica…
Se sarete pronti a lottare con noi per una scuola pubblica statale laica, gratuita, aperta a tutti e di qualità, con finanziamenti ed organici adeguati, allora saremo pronti a lottare con voi per dare a tutti la possibilità di insegnare. Se invece siete favorevoli ai tagli, alla Riforma Gelmini, alla privatizzazione della cultura, allo smantellamento della scuola statale, ai finanziamenti per le scuole private, a criteri di reclutamento clientelari e nepotistici, se sarete pronti al servilismo nei confronti della politica in cambio del “posto“, allora lasciateci dire che fareste bene a cambiare lavoro, la scuola italiana non ha bisogno di docenti simili.
(vedi qui)
Un’altra discussione è stata avviata da un articolo di Mariapia Veladiano:
… Bisogna impedire l’incosciente dissipazione delle esperienze positive che i tagli vorrebbero cancellare…
… Una scuola del patto. La scuola può stringere patti. Fra studente e docente, scuola e famiglia, scuola e società. Tutte le indagini ci dicono che la fiducia delle famiglie verso la scuola tiene, sorprendentemente…
… Credo che la scuola abbia il compito di smascherare ogni “gerarchia nascosta delle relazioni”. I problemi, le difficoltà, i disagi non vanno “comunicati” ai genitori, ma condivisi con loro e i figli… Ciascuno esce dalla solitudine del suo ruolo, si condivide il successo. E anche l’insuccesso, che non può più essere buttato addosso all’uno o all’altro.
… una scuola più povera è sempre anche più iniqua. Soprattutto in tempo di crisi. Vogliamo rassegnarci davvero?… All’ultimo atto della riforma ci si può contrapporre solo con iniziative vitali, concrete. È un’azione prima di resistenza e poi di alleanza con chi si sente responsabile. E soprattutto conosce ciò di cui parla. Non si può fare una riforma della scuola senza la sapienza dei docenti.
A rispondere è il maestro Marcello D’Orta:
… Mi sembra una ricomparsa della cultura del ‘68, quando si scandivano slogan come “fantasia al potere”, o “vietato vietare”. Il ritorno di una cultura che, soprattutto all’interno della scuola, ha prodotto gli sfaceli ai quali assistiamo ogni giorno. Siamo nell’anarchia completa, dove sono saltate tutte le figure di riferimento.
Replica fra gli altri Vincenzo Pascuzzi:
… D’Orta e il suo intervistatore sorvolano sul presente e volgono lo sguardo indietro nel tempo. Guardano addirittura al mitico e famigerato ’68, non all’oggi o a ieri, ma 40 e più anni fa! Il perché è chiaro ed evidente: si vuole evitare di fare un bilancio consuntivo dei tre anni e mezzo trascorsi dall’attuale ministro a viale Trastevere. Allora, invece di giustificarsi e difendersi, si attacca: il ’68 è un alibi buono per tutte le stagioni, quasi un luogo comune…
Segnaliamo due sentenze del giudice del lavoro: incostituzionale la decurtazione dello stipendio per malattia (prevista dal Decreto Brunetta); docente veronese ottiene dalla Corte costituzionale l’abolizione di un articolo della legge trentina che mette i docenti di fuori provincia in fondo alle graduatorie. E ancora una sentenza che vede soccombere il ministero: sulla impari distribuzione dei posti in ruolo tra Nord e Sud, il MIUR rischia nuovo commissariamento.
Per finire proponiamo un testo che sta piacendo a molti, di Alessandro D’Avenia:
Che cosa avrei voluto sentirmi dire il primo giorno di scuola dai miei professori o cosa vorrei che mi dicessero se tornassi studente?
Per scoprirlo, leggere qui.
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Vademecum di resistenza alla scuola della Gelmini approntato da ReteScuole.
Guida al corretto utilizzo delle Graduatorie di istituto a.s. 2011/12 qui.
Per chi vuole approfondire, ReteScuole ha raccolto le iniziative legislative estive del governo che riguardano la scuola. Su PavoneRisorse si può leggere una approfondita analisi delle ricadute sulla scuola della finanziaria di agosto 2011.
Il decreto Brunetta qui.
Il vademecun della CGIL sulle sanzioni disciplinari qui.
Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.
Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.
Guide alla scuola della Gelmini qui.
Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.
Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.
Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.
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Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.
Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.
Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Gilda, Cub.
Finestre sulla scuola: ScuolaOggi, OrizzonteScuola, Aetnanet. Fuoriregistro…
Spazi in rete sulla scuola qui.
(Vivalascuola è curata da Nives Camisa, Alessandro Cartoni, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)