Pubblicato da vivalascuola su maggio 28, 2012
La scuola pubblica, con tutti i suoi difetti, è una palestra insostituibile di democrazia, libertà, pluralismo e partecipazione, valori essenziali sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana le cui pagine, come diceva Piero Calamandrei, sono costate il sacrificio e il sangue di tanti giovani fucilati, impiccati, torturati, morti per la libertà e la democrazia, nella dura lotta contro la barbarie nazifascista. Davvero i principi fondamentali della nostra Costituzione sono una risorsa di valore permanente a cui attingere sempre di nuovo. (Franco Toscani)
Unità nazionale e unità antifascista
di Antonia Sani
Dal brainstorming cui ho voluto sottopormi in vista del prossimo 2 giugno, nel turbinìo svolazzante di bandiere e stendardi, memorie di polemiche, di buone intenzioni, di ipocrisie retoriche, disseminate lungo questi 66 anni, un’immagine sono riuscita ad afferrarla e a trattenerla: sfondo rosso, scritta nera. Unità nazionale.
Parole ambigue e pregnanti nell’uso che se n’è fatto nel cammino della nostra Repubblica, una volta trasferite dal piano risorgimentale territoriale di “unità della nazione” a quello valoriale di condivisione di principi (e di memoria storica).
Quando il referendum del 2 giugno 1946 pose i cittadini di fronte alla scelta dirimente della forma di Stato, i riferimenti all’unità nazionale erano pura propaganda elettorale, particolarmente patetica negli imploranti appelli dei due re sabaudi. I 12.718.019 voti alla Repubblica e i 10.709.423 voti alla Monarchia indicavano un paese lacerato, ancora frastornato dalla tragedia della guerra, di cui la metà riconosceva, sì, al re il peso di responsabilità incancellabili, ma vedeva nello stemma dei Savoia il baluardo contro l’avanzata del comunismo, il pilastro che poteva sostenere il Vaticano (ironia della sorte!) ed avere garantita la tutela della “religione”…
Divise anche le donne, al voto per la prima volta. Presentate dall’elettorato maschile succubi dei mariti, del parroco o dei comunisti, in realtà assai più consapevoli, come dimostreranno gli anni futuri.
Diviso anche il mondo cattolico nella sua variegata galassia.
La nuova DC, che risulterà di gran lunga maggioritaria nell’Assemblea Costituente, raccoglieva cattolici antifascisti che avevano fatto la Resistenza, ma anche parte di quella destra exfascista priva di rappresentanza. (Un sondaggio prereferendum interno al partito aveva assegnato il 60% dei consensi alla Repubblica, il 17% alla Monarchia, il 23% agli incerti.). Ma nei primi scrutini la Repubblica stentava ad avanzare…
Al referendum si era arrivati dopo i terribili due anni di vendette incrociate, spietate, personali, che sembravano non finire mai… Altro che “unità nazionale”! Eppure “una” “unità nazionale” stava per verificarsi nei fatti, nella composizione dell’Assemblea Costituente: l’ “unità antifascista”.
Il decreto luogotenenziale n. 74 del marzo 1946 firmato da Umberto di Savoia, confermando la formazione di un’assemblea in grado di dare all’Italia una nuova Costituzione in luogo del vetusto (e pericoloso) statuto albertino (a prescindere dalla forma di Stato, monarchica o repubblicana, demandata – alla fine – alla scelta referendaria), escludeva dal voto tutti e tutte coloro che avevano occupato posti di responsabilità a vari livelli durante il regime fascista.
L’epurazione segnò la condanna ufficiale del fascismo e il riconoscimento di un legame comune tra socialisti, comunisti, repubblicani, liberali, cattolici che avevano insieme “fatto” la Resistenza. Nasceva ufficialmente l’ “unità antifascista”, quella che si era andata consolidando nei CLN (Comitati di Liberazione Nazionale) nel 1945.
Questo intendiamo comunicare ai più giovani quando affermiamo che la Repubblica è nata dalla Resistenza. Non è nata dal referendum “in sé”, è nata dall’incontro delle forze antifasciste nella Costituente che ne elaborarono la Carta fondamentale e ne fissarono valori e principi condivisi.
Che non si trattasse di “unità nazionale” l’abbiamo più volte toccato con mano nei decenni seguenti, ad ogni 2 giugno, ad ogni 25 aprile: gli appellativi di “festa dei vigliacchi” da parte di nuove generazioni di fascisti costruiti ad hoc, una gestione della “Liberazione” avocata a sé dai partiti della sinistra, un abbandono del 2 giugno nelle mani di una grigia DC degli apparati…
La nostra “guerra fredda” fu il contrario dell’unità nazionale (e anche dell’unità antifascista) ma aveva il vantaggio di presentare le scelte politiche nella loro integrità e di fornire la spinta necessaria a difenderle.
La Costituzione – celebrata a buon diritto il 2 giugno (anche se la sua entrata in vigore è di due anni successiva al referendum), proprio in quanto la Repubblica dalla Costituzione ha tratto la sua linfa - non presenta nei suoi limpidi articoli segni di mediazioni al ribasso. E’ questo il frutto sorprendente dell’”unità antifascista” tra forze politiche di così diversa ispirazione.
Il ripudio della guerra è chiaro e netto, come lo sono l’affermazione e i limiti della libertà individuale, l’affermazione del diritto alla salute, all’istruzione (con quel “senza oneri per lo Stato” entrato in extremis per sottolineare la distinzione tra libertà educativa e funzione della Repubblica di istituire per tutti scuole di ogni ordine e grado), il diritto al lavoro ben circostanziato all’art. 4, il reato di apologia del fascismo…
Sono generalmente considerati aporie gli artt. 7, 20 in quanto cessioni indebite di sovranità statuale al Vaticano, ma la convinzione diffusa tra i padri costituenti (ad eccezione di pochi laici decisi a dar battaglia a oltranza) era che il tributo alla Chiesa si dovesse continuare a pagarlo…
I limiti, i non detto che oggi si possono scorgere nel dettato costituzionale portano il segno di quegli anni, non di mediazioni al ribasso; indicano essi stessi la natura dinamica del progetto costituzionale, che le generazioni successive avrebbero dovuto percorrere in direzione di una democrazia compiuta.
Ma non è stato questo il cammino intrapreso dalla nostra società.
I ripetuti appelli dei presidenti della Repubblica (e/o del Consiglio) a governi di unità/solidarietà nazionale in situazioni di particolare emergenza politica, sociale, economica (gli anni di piombo, le stragi di mafia, le crisi economico-finanziarie) aventi l’obiettivo di rassicurare l’opinione pubblica sull’esistenza di un “centro” forte e coeso in grado di respingere gli “opposti estremismi” (alimentati da perverse “strategie della tensione”…), gli attacchi mafiosi, in grado di ottenere dalla popolazione sacrifici insopportabili ma inevitabili, hanno purtroppo contribuito a indebolire nella popolazione le speranze di trasformazione della società che aveva caratterizzato con successo i programmi delle forze politiche laiche e della sinistra radicale, riducendole a minoranze con scarso seguito. I blackout operati dal servizio pubblico radiotelevisivo in questo ultimo ventennio hanno contribuito non poco a tale emarginazione, alimentando un populismo generico che ben poco ha a che vedere con la democrazia costituzionale.
Il prevalere di istanze contingenti dettate da congiunture economiche, da rapporti di politica internazionale, da aspirazioni a protagonismi territoriali, impensabili all’ epoca dell’”unità antifascista” (basta confrontare il concetto di Autonomie Locali nella Costituzione col riformato Titolo V, e il federalismo strisciante, secondo solo a un secessionismo sbandierato) ha finito con l’imporre ormai senza più scandalo una Costituzione materiale, dall’ingresso in Parlamento del Partito fascista sotto nemmeno troppo mentite spoglie, a una prassi in cui la guerra si può fare, le scuole private possono essere finanziate con denaro pubblico, i diritti sociali acquisiti possono venire cancellati, i diritti alle libere scelte di vita continuano a dipendere dal Vaticano, gli F35 si possono acquistare, le frecce tricolore e la parata militare del 2 giugno possono caratterizzare la festa della Repubblica, nonostante i progetti scolastici di educazione alla pace, le proteste e le polemiche. Di troppo pochi.
In questo panorama domina la trasversalità che può configurarsi come surrogato dell’unità nazionale. Le difficoltà finanziarie, la disoccupazione, la perdita del posto di lavoro, gli inarrestabili collegamenti telematici hanno dato vita a una koiné anomala, dove tutto diviene indistinto e tutto diviene possibile, in presenza di un’indifferenza acritica. Revisionismo storico… memoria condivisa…, perché no? Tutti i morti sono uguali. Campi di sterminio e foibe. Zuavi pontifici e garibaldini. “Noi x Roma”… ma è la Roma di Alemanno, di un sindaco che scende in piazza col Movimento per la Vita… Perché no? Si tratta di pulire gli argini del Tevere, il Tevere non è un “bene comune”?
Sono le nuove vesti del fascismo, che ripudia la violenza, relegata negli opposti estremismi, ed è quindi pronto a far parte dell’unità nazionale, quando per essa si intende l’emozione collettiva di fronte a barbari eccidi come quello orrendo recentemente perpetrato nella scuola di Brindisi, o la proclamazione di quel NO alla mafia in cui tanta parte della nostra società civile si riconosce, ma incluse anche le battaglie collettive per allontanare dal proprio municipio la discarica, o gli insediamenti dei nomadi… Che differenza c’è tra una battaglia per la legalità e una per la “vivibilità” del proprio quartiere?
Gli ultimi richiami all’”unità nazionale” sono del nostro Presidente Napolitano, grande artefice di un Governo di tecnici sostenuto da una maggioranza anomala, forte, che stravolge il ruolo del Parlamento. Il Capo dello Stato sembra apprezzare questa trasversalità. ABC: Alfano, Bersani, Casini.
Davvero è solo per far paura alla Merkel? Passa tutto solo per paura dello spread, o trascolorano anche le idee, i punti di vista, il rispetto dei principi costituzionali della principale forza della sinistra, grazie a mediazioni quotidiane compiute in nome dell’unità nazionale? Passerà davvero il provvedimento di modifica degli Organi Collegiali della Scuola con l’appoggio del PD, mentre il mondo della scuola ne chiede la sospensione e il rinvio a quando il Parlamento avrà riconquistato il proprio ruolo, libero dal ricatto del governo tecnico? Passerà la privatizzazione della scuola statale con la chiamata diretta da parte dei Dirigenti Scolastici secondo l’esempio della legge regionale della Lombardia? Ma come sarà il nuovo Parlamento?
Questo 2 giugno 2012 cade in mezzo a tutto ciò.
Ci sarà il solito teatrino dedicato alla Repubblica nata dalla Resistenza, il riferimento all’unità di una nazione mai stata in realtà così frammentata e disorientata.
In più ci sarà la rinnovata proclamazione di lotta alla mafia o al terrorismo, dopo il barbaro assassinio del 19 maggio all’IPS Francesca Morvillo Falcone di Brindisi, un’occasione per un compiacimento di tutti i partiti per un’unità nazionale dimostrata dall’emozione generale intesa come segno inequivocabile di coesione sociale, del rispetto dei valori che stanno alla base della civile convivenza… Emozione di un giorno, mentre indisturbati siedono nel nostro Parlamento onorevoli eletti coi voti di corrotti, mafiosi, trafficanti, sordi agli appelli della popolazione.
In questo 2 giugno ci sentiamo più che mai attratti da coloro – movimenti, associazioni, forze politiche – che fuori dal Parlamento si battono per i diritti, per i beni comuni, contro la corruzione dei politici, per la salvaguardia della scuola pubblica sommersa dai tagli e da false valutazioni, contro una mafia che un volto ce l’ha… sono “fuori”, ma nel Parlamento dovranno entrare con l’energia e la determinazione che indussero i padri costituenti a tracciare il difficile cammino della democrazia, liberando quei seggi dai politici corrotti a caccia di consensi costi-quel- che-costi pur di restare sulla poltrona, continuare a intascare somme da capogiro e decidere leggi per il loro vantaggio.
La spinta decisiva può provenire solo da quella gran parte della popolazione che – svanita l’emozione della tragedia – si rituffa nei talk show e applaude a tutti e a tutto sentendosi spettatrice, senza idee, senza proposte se non quella di rendere meno precaria la propria esistenza. La consapevolezza di tutti costoro sarebbe determinante per sostenere le scelte di chi si batte per l’affermazione compiuta dei principi costituzionali, scelte che ne escludono categoricamente altre.
Non è un’assurda quanto improbabile unità nazionale quella che ci sentiamo di esaltare in questo triste 2 giugno: è l’unità antifascista della Costituzione.
* * *
La scuola e la Costituzione italiana
di Franco Toscani
Per sviluppare una breve riflessione sul nostro lavoro scolastico, prendo l’avvio da una conversazione svoltasi qualche anno fa in francese, ad un convegno della rivista “Filosofia e teologia” (di cui sono uno dei redattori), tra me e il professor Philippe Capelle, filosofo francese e collaboratore della rivista suddetta, autore di dotti libri su Heidegger e docente presso una delle prestigiose università di Parigi.
Una volta appreso con stupore il fatto che insegnavo in un liceo, Capelle mi disse fra l’altro, con un tono estremamente sincero e accorato: “Ah, io non saprei più insegnare in un liceo…”. Rimasi sorpreso, anzi sbalordito e la interpretai all’inizio come una battuta scherzosa; così gli risposi: “Professore, non faccia il modesto…”. Lui però aggiunse che diceva sul serio e si riferiva al fatto che, essendosi concentrato nei suoi studi, ormai da molti anni, su autori e argomenti specifici, non rammentava più bene l’intero percorso della filosofia occidentale nella sua lunga storia.
In questi anni ho ripensato spesso a questo episodio e ora lo rammento volentieri, da poco trascorsi i festeggiamenti dei 150 anni di vita del nostro paese, per invitare tutti noi docenti, logorati talvolta dalla stanchezza e dall’affanno dei quotidiani travagli e delle nostre vite, a non perdere di vista il significato essenziale del nostro lavoro, il suo valore, le sue peculiari caratteristiche in un periodo storico, come il nostro, caratterizzato da un notevole degrado civile, morale, politico e culturale, da un diffuso smarrimento delle coscienze e da un disorientamento che può paralizzare o sviare le nostre esistenze.
Credo infatti che il nostro lavoro sia molto arduo e affascinante nel contempo. Arduo perché non è davvero facile essere sino in fondo bravi insegnanti; qualcosa sbagliamo sempre o è da correggere, limare, sistemare e non cessiamo mai di imparare qualcosa di nuovo, anche dai nostri stessi errori. Affascinante perché si tratta, insieme ai nostri ragazzi e ragazze, aiutati anche da loro, di crescere, maturare, riflettere, ponderare, comprendere, diventare umani sempre di nuovo, dirigerci verso una società migliore, verso una nuova civiltà planetaria: anche qui, un processo interminabile.
Il nostro – ciò va ribadito con forza – è il ruolo insostuibile della coscienza e del pensiero critico, della libera riflessione e della continua riproposizione delle domande di senso, della strenua e incessante interrogazione sull’uomo e sul mondo, dell’educazione e della formazione (Bildung) complessiva degli individui. Non possiamo dimenticare questo compito o rinunciare a esso.
Non nascondiamoci le mille difficoltà in mezzo alle quali ci troviamo ad operare, a cominciare dalla politica ben nota dei tagli, dall’attacco esplicito alla scuola pubblica portato avanti in questi anni di berlusconismo e di neoliberismo sfrenato, dallo svilimento continuo della sua funzione e del suo significato da parte di alcune forze politiche e sociali.
Nonostante tutto ciò e altro ancora, noi dobbiamo essere consapevoli del ruolo prezioso che svolgiamo e fare il nostro dovere, resistere come soldati, sino all’ultimo, costi quel che costi (come suggeriva anche Robert Musil ne L’uomo senza qualità). La scuola pubblica, con tutti i suoi difetti, è una palestra insostituibile di democrazia, libertà, pluralismo e partecipazione, valori essenziali sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana le cui pagine, come diceva Piero Calamandrei, sono costate il sacrificio e il sangue di tanti giovani fucilati, impiccati, torturati, morti per la libertà e la democrazia, nella dura lotta contro la barbarie nazifascista.
Davvero i principi fondamentali della nostra Costituzione sono una risorsa di valore permanente a cui attingere sempre di nuovo. Sono per noi le verità “antiche come le montagne”, direbbe il Mahatma Gandhi. Facciamo solo alcuni esempi. Mi riferisco all’articolo 3, che suona:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Questo articolo ha un solo grande difetto: esso non è ancora pienamente realizzato. Resta però come un’idea-limite, una stella che ci orienta nella prassi quotidiana per combattere gli infiniti privilegi e ingiustizie, soprusi e prepotenze, disuguaglianze e storture, mali e irrazionalità che ci impediscono di vivere in una civiltà più degna dell’uomo.
Nell’articolo 33 della Costituzione, inoltre, leggiamo fra l’altro:
“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
Come è ben noto, vi sono alcune forze culturali, sociali e politiche che in questi ultimi vent’anni hanno esplicitamente lavorato e spinto per annullare la preziosa indicazione “senza oneri per lo stato”, che invece va mantenuta proprio per non svilire il ruolo e il decoro della scuola statale, specialmente in un periodo di grave crisi della finanza pubblica.
Il mio pensiero va ora ai tanti colleghi e alle tante colleghe che lavorano nella nostra scuola con responsabilità e coscienza.
Le mie non sono qui parole di circostanza, dettate dall’autocelebrazione o da un superficiale “buonismo”. Io sperimento ciò che scrivo, vedo quotidianamente lavorare in modo spesso ammirevole – con impegno, dedizione e scrupolo – una parte ampia delle mie colleghe e dei miei colleghi, del personale direttivo, ausiliario e di segreteria, nonostante quell’analfabetismo sentimentale-affettivo di cui anche la scuola soffre, così bene messo in luce molti anni fa, in Eros e civiltà, da Herbert Marcuse e, più recentemente, da Umberto Galimberti.
Tale spaventoso analfabetismo mina la nostra civiltà e contribuisce a costituire l’odierno “disincanto del mondo”, la crisi dell’intera nostra società, che è soprattutto una crisi rovinosa di speranza e fiducia negli esseri umani.
Nessuno può fare i miracoli né può sapere quali esiti avranno i nostri sforzi. Sappiamo soltanto che i nostri studenti, se stimolati a dovere, potranno affinare le loro capacità critiche, svolgere approfondimenti personali, imparare l’arte di maturare come persone, essere attenti, ricettivi e disponibili a un apprendimento fruttuoso. Con il loro aiuto decisivo e col contributo dell’intera comunità scolastica, noi possiamo ancora fare quotidianamente, con coscienza e tanta pazienza, un buon lavoro. Ne abbiamo la certezza.
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Materiali
Discorso ai giovani sulla Costituzione
di Piero Calamandrei
C’è una parte della Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società. Perché quando l’articolo vi dice: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, riconosce con ciò che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto, e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione! Un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani…
Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: lo lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno, in questa macchina, rimetterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere quelle promesse, la propria responsabilità.
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Per una scuola della Repubblica
di Piero Calamandrei
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato…
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La settimana scolastica
Ore 8 e 10. Prima ora: versione di greco. Sono tutti lì davanti a te. Penso all’articolo letto poco prima su Melissa Bassi, sul ritorno in classe dopo la tragedia. Li guardo, mi fa male lo stomaco. Allora, passeggio avanti e indietro. Mi siedo, cerco di cacciare quel pensiero orribile dalla testa. Torna prepotente. Questa volta voglio catturare l’immagine di ognuno di loro. Stanno bene e sorridono, ma qualcosa è cambiato.
Così scrive una insegnante e ce lo rende palese: l’attentato alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi segna questa fine d’anno scolastico. Il fatto, come ha detto il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi D’Oria, ha “rotto un tabù e attaccata la scuola. Non era mai avvenuto“. La reazione c’è stata, a Palermo alla commemorazione della morte del giudice Giovanni Falcone, dove il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha fatto un bel discorso dicendo tra l’altro ai giovani presenti:
E perciò voglio dirvi: completate con impegno la vostra formazione, portate avanti il vostro apprendistato civile, e scendete al più presto in campo, aprendo porte e finestre se vi si vuole tenere fuori, scendete al più presto in campo per rinnovare la politica e la società, nel segno della legalità e della trasparenza. L’Italia ne ha bisogno; l’Italia ve ne sarà grata.
La manifestazione del 26 maggio a Brindisi è stata molto partecipata. Marco Barone propone di fare del 19 maggio la “giornata della scuola“. Ma mentre si esprimono inquietudini sulla tipologia di attentato e sulla situazione di stallo delle indagini, ci si interroga anche sulla ritualità di certe dichiarazioni. Ad esempio, il ministro Profumo ha prontamente dichiarato che
Colpire da vigliacchi una scuola è colpire l’Italia intera, perché lì si forma il suo futuro.
Ma la dichiarazione non basta e giustamente Maurizio Tiriticco dà voce alle preoccupazioni del mondo della scuola quando scrive:
Nessuno tocchi i ragazzi! Così si è espresso Piero Grasso! E nessuno tocchi la scuola! Il cordoglio del Ministro Profumo, indubbiamente sincero e sentito, non è sufficiente!… I nostri ragazzi non dobbiamo toccarli! Ma neppure le nostre scuole! Lo dica il Ministro Profumo! Lo chiedono Melissa e i suoi compagni feriti e tutti i ragazzi italiani che in molte delle nostre scuole soffrono per strutture antiquate e cadenti! Signor Ministro! Alla lettera di cordoglio faccia seguire una politica nuova per il nostro sistema di istruzione! Anche contro il suo stesso governo! Nel nome di Melissa… e di Laura Morvillo! Due donne che hanno pagato… con la vita!
Anche Paolo Latella denuncia la povertà della scuola e di chi ci lavora:
L’insegnante non può e non deve rappresentare la povertà. Gli stipendi da fame sono il simbolo della sconfitta di questo stato, che non tutela i propri lavoratori e le loro famiglie… L’insegnante povero è diventato il simbolo negativo di questa nazione, dove l’istruzione è meno importante dei realities. La cultura ha meno valore di un abbonamento “premium”
Come se ciò non bastasse, il ministro Fornero invoca licenziamenti più facili anche per gli statali e l’estensione del nuovo art. 18 al pubblico impiego equiparando totalmente il settore pubblico a quello privato, ignorando che già adesso lo Stato licenzia.
Ignora del tutto la realtà della scuola italiana invece il ministro Profumo, che risponde che “la colpa è dei giornalisti“ che “fanno apparire la situazione catastrofica” a una giornalista che lo interroga su classi-pollaio, mancanza di supplenti e personale ATA, precariato, presidi reggenti di più scuole, carenza di soldi per il normale funzionamento.
“Un atteggiamento che rivela una mancanza totale di conoscenza della realtà della scuola italiana degli ultimi dieci anni“: così infatti i giudizi che sindacati, associazioni di genitori, famiglie hanno espresso il giorno dopo le dichiarazioni del Ministro. E queste le domande ineludibili:
A chi giova continuare ad ignorare disagio e proteste, in un clima di insoddisfazione e di scontento che ormai investe anche molti docenti motivati e competenti?
Eppure in questi stessi giorni la stampa diffonde la ricetta contro l’attuale crisi del premio Nobel per l’economia Paul Krugman:
Abbiamo bisogno che i nostri governi spendano di più, non di meno perché quando la domanda privata è insufficiente, questa è l’unica soluzione. Assumere insegnanti. Costruire infrastrutture. Fare quello che fu fatto con la seconda guerra mondiale, possibilmente scegliendo spese utili.
L’Italia si muove diversamente. L’Unione degli Universitari denuncia che le spese per l’istruzione continuano a diminuire drasticamente: per effetto dei tagli di Tremonti-Gelmini in 6 mesi il fondo per il diritto allo studio universitario è stato ridotto da 246 a 12 milioni di euro, praticamente del 95%, escludendo dal sostegno economico più di 145.000 studenti che si sono visti riconoscere per merito e per reddito dallo Stato il diritto ad avere la borsa di studio, ma sempre dallo stesso si sono sentiti dire che questa borsa non la riceveranno mai.
Ci sono problemi anche nella normale gestione delle scuola. Sapevamo già che il Miur fa mancare i soldi per le supplenze. Sono sottostimate dal Miur le necessità di organico. Gli uffici non riescono a provvedere alla mobilità nei tempi stabiliti. Adesso apprendiamo che secondo una nota ministeriale sul bilancio 2012 per risparmiare 10 milioni di euro non ci sarà nessuno stanziamento per permettere ai professori di sostituire temporaneamente il dirigente scolastico in caso di ferie o di suoi impegni per gli esami di Stato. Possiamo immaginare le pesanti ripercussioni. “E’ la prima volta che diecimila istituzioni scolastiche italiane si trovano a fronteggiare una simile situazione” commenta Salvo Intravaia. “Chi guiderà le istituzioni scolastiche durante le ferie del capo d’istituto?“.
E dal nuovo rapporto AlmaLaurea che fotografa la realtà dei laureati emerge che negli ultimi quattro anni la percentuale dei giovani laureati pronti a lasciare l’Italia è salita al 44%, con una crescita di otto punti percentuali. D’altra parte, è risaputo che senza equità e ricerca i giovani restano fuori.
Le soluzioni di chi governa? Vediamone qualcuna annunciata in settimana.
Il ministro Profumo parla di un “pacchetto merito“ che dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri venerdì prossimo e risollevare le sorti della scuola valorizzando “il merito e l’eccellenza in base a sistemi premiali e selettivi“. Aristarco Ammazzacaffè lo chiama “la saga dei “primi della classe”, ovvero, dello “studente dell’anno” e dei “Campioni di Olimpiadi”. Scetticismo sulle misure; discutibile, come commenta Francesca Puglisi, un merito “senza equità, senza uguaglianza delle opportunità“; incerte le risorse per finanziare il “pacchetto“. Forti perplessità da parte di Giorgio Israel per una serie di questioni: il non tener conto del contesto, la non chiarezza sul ruolo dell’insegnante, l’insistere sul sistema dei test. Di contesto – e di valori di fondo sottesi alla meritocrazia – parla Andrea Bagni, che così conclude:
Quando ci sarà il comunismo – tutti con le stesse possibilità non solo davanti ai concorsi ma anche anche davanti alle librerie che si hanno in casa, alla lingua che si parla in famiglia, alla musica che si sente nel salotto, alla cultura che si frequenta fin da piccoli – allora si potrà parlare di meritocrazia. Prima mi sembra meglio stare dalla parte di chi non merita.
La Regione Lazio insegue la strada neoliberista del “buono scuola“: con modifica alla legge regionale n. 29 del 1992, “Norme per l’attuazione del diritto allo studio“, propone di inserire un articolo finalizzato a stornare risorse per rimborsare le famiglie che pagano rette nelle scuole paritarie fino al 25% delle spese sostenute, da 300 a 1.300 euro di contributo, raddoppiabili in caso di alunni disabili. Un ennesimo travaso di soldi dalla scuola pubblica statale alle scuole private. Lo stesso che ha in mente il ministro Fornero per il sostegno ai disabili. Voci di privatizzazione anche per le scuole italiane all’estero.
Contro il “buono scuola” in versione lombarda l’Associazione Non uno di meno e ReteScuole di Crema lanciano un appello che si rivolge agli organismi dirigenti nazionali delle forze sociali e dei partiti di centrosinistra e di sinistra, per invitarli ad assumere in sede parlamentare e governativa, nonché nella Conferenza Stato-Regioni, una posizione di netta contrarietà alla legge. Opposizioni annunciate anche dalla Flc Cgil.
Francesca Puglisi, responsabile scuola del PD, promette invece discontinuità in un eventuale futuro governo con la partecipazione del suo partito:
Quando torneremo a governare rimetteremo in vetrina i gioielli di famiglia del sistema scolastico italiano: scuola dell’infanzia, tempo pieno e modulo a 30 ore con le compresenze. Vogliamo innovare dal basso la scuola secondaria di primo e secondo grado, quella in cui si manifesta il calo degli apprendimenti e la dispersione degli studenti e delle studentesse italiane, attraverso lo scambio di buone pratiche, l’infrastrutturazione tecnologica delle scuole e la formazione in servizio degli insegnanti.
Intanto proseguono le condanne del Miur per abuso di precariato: tutti i ricorsi presentati presso il giudice del lavoro stanno ottenendo in primo grado i successi annunciati con la stabilizzazione dei precari o risarcimenti danni per migliaia di euro, riconoscimento dell’anzianità giuridica ed economica maturata i mesi estivi di luglio e agosto e degli scatti di stipendio. Il giudice di Trani immette in ruolo altri tre supplenti dal 1 aprile 2009. 5 sentenze in favore dei precari ricorrenti arrivano dal Tribunale di Reggio Emilia che ha disposto, tra l’altro, un risarcimento del danno per complessivi 70.000 euro, un’altra da Cuneo. Altre condanne per il Miur a Teramo e Caserta e a Nola per i posti accantonati per le immissioni in ruolo, mentre una sentenza del tribunale di Monza ordina non solo di ripristinare l’assistenza precedente, ma di garantire le ore di sostegno necessarie alle esigenze dei ragazzi disabili.
E altri ricorsi sono al via. La Flc Cgil ha dato mandato ai suoi legali di predisporre i ricorsi per la mancata attribuzione del miglioramento economico spettante al personale docente e ATA che ha maturato la posizione stipendiale successiva (gradone) a decorrere dal 1 gennaio 2011 al 31 dicembre 2011.
Un nuovo ricorso al Tar del Lazio si sta avviando per l’annullamento del decreto direttoriale n. 7 del 16 aprile 2012 con il quale il Miur ha predisposto la riconversione “forzata” sul sostegno del personale docente in esubero (segnaliamo fra l’altro che vista un’adesione inferiore alle aspettative è stato prorogato fino a venerdì 8 giugno 2012 il termine per l’acquisizione della disponibilità volontaria a partecipare ai corsi di sostegno dei docenti appartenenti a insegnamenti in esubero). Secondo i ricorrenti tale decreto penalizza:
- I docenti precari specializzati sul sostegno, che sarebbero scalzati da più di 10.000 docenti in esubero;
- Gli insegnanti di sostegno di ruolo da diversi anni in servizio nella stessa scuola, che sarebbero scavalcati nelle graduatorie d’istituto dai “soprannumerari” con tanti anni di servizio sulla disciplina ma riconvertiti frettolosamente sul sostegno.
- Gli alunni con disabilità, che si troverebbero come docenti di sostegno persone prive di esperienza sul sostegno e, soprattutto, di motivazione, a parte quella derivante dal timore di essere “ricollocati” o addirittura “licenziati”.
Come commenta Fabio Luppino, questo “Non è un Paese per giovani, nemmeno per meno giovani“.
Sono continuate in settimana discussioni sui test Invalsi svoltisi dal 9 al 16 maggio. Un insegnante denuncia che nel suo istituto a Saluzzo le prove si sono tenute nonostante il parere contrario espresso legittimamente e sovranamente, a suo tempo, dal Collegio dei docenti e hanno escluso immigrati e disabili. All’Istituto Einaudi di Montebelluna la scuola ha deciso di convocare consigli di classe e avviare sanzioni disciplinari contro gli studenti che hanno boicottato i test. I docenti dell’Istituto Tecnico Giordani di Napoli approvano la decisione del dirigente scolastico di sospendere i ragazzi che non si erano presentati alle prove Invalsi. Altre irregolarità sono segnalate da Paolo Latella. Qualche discussione innesca anche Andrea Ichino che invoca l’intervento dell’esercito per sorvegliare le prove Invalsi. Il sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini invece è più che soddisfatta: “I genitori hanno capito che i test sono nell’interesse dei loro figli“.
Marina Boscaino fa un’analisi critica della questione e riporta un bilancio sul sistema dei test dell’americama esperta di Scienze dell’Educazione Diane Ravitch:
Se questi sono i nostri obiettivi, l’attuale, angusta focalizzazione sul nostro regime nazionale di test non è sufficiente per raggiungere nessuno di essi.
Sempre in tema di confronti internazionali, Benedetto Vertecchi segnala che dalla Francia viene la notizia di una revisione del sistema di rilevazione/valutazione del profitto e un invito a riflettervi in termini politici, anche quando in discussione ci sono aspetti del funzionamento della scuola che potrebbero sembrare soprattutto tecnici.
Per finire, segnaliamo una rettifica da parte del Miur delle tabelle di assegnazione degli insegnamenti alle nuove classi di concorso e una buona notizia che arriva da Palermo, dove la docente precaria Barbara Evola è diventata assessore all’Istruzione nella nuova Giunta comunale giudata dal sindaco Orlando.
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Segnalazione
Eurydice, la rete di informazione dell’Unione Europea sui sistemi educativi, mette a disposizione un quadro informativo su alcune realtà nazionali selezionate in base alla loro significatività geografica e istituzionale. Vengono descritti sinteticamente i sistemi scolastici dei paesi Ue: educazione prescolare ed obbligatoria, criteri di ammissione, organizzazione, curriculum, valutazione e certificazione: vedi qui.
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Su ForumScuole tutti i tagli all’istruzione per il 2012.
Su ReteScuole le iniziative legislative estive del governo che riguardano la scuola. Su PavoneRisorse una approfondita analisi delle ricadute sulla scuola della finanziaria di agosto 2011.
Il decreto Brunetta qui e il vademecun della CGIL sulle sanzioni disciplinari qui.
Tutte le “riforme” del ministro Gelmini.
Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.
Altre guide alla scuola della Gelmini qui.
Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.
Manuali di resistenza alla scuola della Gelmini qui e qui.
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Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.
Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.
Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Gilda, Cub.
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(Vivalascuola è curata da Nives Camisa, Giorgio Morale, Roberto Plevano)