Una delle discussioni ricorrenti delle ultime settimane, fatte però con delle amiche in carne e ossa, non qui sul blog, riguarda la capacità di un fattore geografico “X” di influire sull'indole, sul carattere e sullo sviluppo di una persona. Detta così sembra una cosa molto cervellotica, o magari assai banale, e in parte lo è. In realtà, sono discorsi che probabilmente tutti hanno fatto almeno una volta nella vita. Vi è capitato mai di visitare un determinato paese, domandandovi "chissà come sarei adesso, se fossi nato qui..."
Tuttavia vorrei spazzar via fin da subito le accuse di banalità, precisando che non parlo dell'essere nato in Italia piuttosto che in Tiber, in Nepal o nelle Comore, bensì di minime variazioni chilometriche. Vivere nella campagna suburbana condiziona più che vivere in una paesino di montagna? Abitare in città aumenta la creatività rispetto a chi vive in provincia?
Da appassionato di psicogeografia, devo ammettere che l'argomento solletica la mia immaginazione. Visto che la tematica è fin troppo ampia, preferisco concentrarmi su ciò che, nello specifico, è stato oggetto delle discussioni di cui vi ho accennato.
Esistono dunque luoghi che assorbono le energie vitali di persone particolarmente sensibili o emotive? E ancora: esistono luoghi che sono dei naturali repellenti per quel che riguarda la creatività, lo spirito artistico, l'apertura mentale?
Ovviamente per "luoghi" non intendo un mero insieme di connotazioni geofisiche. Non è un fiume in più o in meno, che influisce nei campi sopracitati. La determinante è sempre l'uomo, e come esso si è integrato sul territorio.
Gli esempi specifici che ho in mente, senza voler offendere nessuno, riguardano certe zone definite per convenzione come “provinciali”, a poche decine di chilometri da centri urbani medio-grandi, ma al contempo calati in un contesto provinciale, periferico. Le pianure del nord-est Veneto, per esempio. Alcune zone agricole della bergamasca o del bresciano. Certe enclavi emiliane. Immagino che il medesimo discorso valga per mille altri microrealtà italiane.
Cos'hanno in comune tutti questi posti appena citati? Piccole comunità praticamente immutate negli anni. Tradizioni legate a un mondo contadino, poi evoluto nel piccolo-medio artigianato locale. Mentalità legate alla reciproca conoscenza, altarini compresi, la quale comporta una naturale diffidenza verso elementi estranei, esterni e stranieri.
Conosco un ragazzo, artista per definizione, per indole e per lavoro, che afferma a più riprese di sentirsi addosso la negatività del luogo in cui vive (in questo caso la provincia vicentina). Questo solo perché non è allineato con il resto della comunità, composta in prevalenza da operai, agricoltori e piccolissime imprese a conduzione famigliare. Questa negatività percepita è tale che a volte non trova altra soluzione, per altro sbagliata, se non quella di chiudersi nel suo laboratorio artistico e non uscire di casa per giorni e giorni.
La mia non vuole essere una critica snobista, bensì una sorta di indagine alla buona tra voi lettori del Blog sull'orlo del mondo. Credete che nascere, crescere o comunque vivere in tali contesti possa in qualche modo complicare la vita di chi non si sente “allineato” a certi ritmi, a certi meccanismi automatici?
Esempio molto banale: la famiglia Rossi ha una lunga tradizione di artigianato nel campo dell'idraulica. Il nonno ha creato la piccola impresa ereditata poi dal figlio, e in cui lavorano anche nipoti, fratelli e parenti assortiti. È lecito che qualcuno di questi possa avere ambizioni del tutto estranee a tale contesto? Che ne so, fare il fumettista, il pittore, l'insegnante di violino?
La risposta banale parrebbe: «Sì, diamine! Siamo nel 2011!»
Ma a volte non è così. O meglio, c'è chi ha la forza di fregarsene per seguire la propria strada, c'è chi invece, per quieto vivere, per paura o per calcolo, semplicemente accantona i sogni e si allinea alle tradizioni.
Io ne conosco di persone che hanno fatto questo tipo di scelta. Magari non così radicale, ma comunque non poi dissimile. Quelli che hanno i famigliari che ti dicono che “hai l'età per mettere su casa”, perché se non lo fai rischi di sembrare diverso. Perché se superati i 30 non sei sposato allora in te c'è qualcosa che non va. Così come se non hai il posto fisso, o se non lavori nella fabbrichetta dello zio.
Sembrano discorsi assurdi ma io stesso li ho sentiti mille volte.
Se si vive in un contesto in cui i valori sono legati ai soldi, al possesso di case e terreni, al patriarcato, e a una pluriennale tradizione etico-morale (cattolica, leghista, comunista o quel che è), si hanno essenzialmente tre scelte:
A) Adattarsi. Il che vuol dire omologarsi più o meno ai ritmi della comunità. Abbandonando tutto ciò che ci classifica come "diversi", dai gusti sessuali, alla passione per la scrittura, al rifiuto della sopracitata tradizione etico-morale prevalente.
B) Andarsene. Che, visto i tempi che corrono, è sempre meno facile.
C) Resistere. Per quanto possibile fregarsene. Anche se a volte il peso dei giudizi altrui, troppo spesso sussurrati alle spalle, alla lunga può avere effetti deleteri. Sull'autostima, sull'umore, sul modo di porsi nei confronti del mondo.
Non sono pochi gli scrittori e i registi che hanno legato parte della loro produzione al concetto (metaforico o meno) di “provincia ostile”. Microcosmi che celano realtà parallele e segrete, dove la patina di normalità nasconde un senso di appartenenza ancestrale, selvaggio, autarchico. Comunità che difendono le tradizioni, anche quando essere appaiono ripugnanti o brutali, con ogni mezzo a loro disposizione. E il pericolo, in questi contesti narrativi, viene sempre dal diverso, dall'elemento di rottura.
Penso a Lovecraft e ai suoi paesini del New England. Al gotico rurale di Eraldo Baldini. A Bassavilla di Danilo Arona. Alla casa dalle finestre che ridono, di avatiana memoria.
Solo pochi esempi tra i tanti che potrei citare, ovviamente.
Luoghi dove il diverso è colui che in città, o comunque altrove, sarebbe accettato, o perlomeno passerebbe inosservato.
E voi? Non vivrete per caso in qualche Dunwich italiana, vero?