«Telecom perde mezzo punto», «Fiat ricorre al giudice», «Il presidente di Confcommercio si confessa», «PFM parte in tour», «Settimana prossima, al più tardi mese prossimo mi sposo». L’articolo deve aver offeso qualcuno, sì, dev’essere accaduto proprio questo, perché da qualche anno è vilipeso, evitato, abolito. Nessuno osa ancora, ma tempo pochi mesi tutti diranno «Rai rinuncia ai reality show», «Università di Roma esplode», «Commissione Giustizia a scuola di giurisprudenza», «Beatles saranno commemorati in giugno», «Incrocio prossimo giri a sinistra».
«Gino è uno di quelli che ama lo sport», «Non sono uno che giudico senza sapere». Ormai si parla e si scrive così: in televisione, nei giornali, sulla metro, al mercato; lo fa il droghiere, l’avvocato, l’editorialista, la portinaia, il professore, il giudice, il chirurgo plastico, il cuoco, i presidenti emeriti della repubblica. Fuorché i linguisti “usaioli”; ma non datevi pena: presto o tardi si adegueranno: sono persuasi che il loro mestiere consista nel registrare pedissequamente l’uso, non già nell’orientare, per amor di Dio. Si accoderanno i lessicografi, si accoderanno i grammatici, potete giurarci, pur continuando a pensare «Uno di quelli che amano», «Non sono uno che giudica». Perché c’è un limite alla vergogna, non per altro.
Intervistatrice: «A quanto le bistecche?». Beccaio: «Sulle 15 euro». Intervistatrice: «Ah, credevo peggio. Sole 2 euro in più rispetto all’anno scorso». La lira è morta e sepolta, ma il suo genere sopravvive. Trovatemi un amore più forte, più smisurato di questo.
«Non pensare che l’abbia fatto tanto per, io ragiono prima di agire»; «Hai sempre avuto il maledetto vizio di parlare giusto per.»; «Quel birbante ne combina di ogni, quando ti vede»; «Cos’è per me la seduzione? Intanto, non sono certo il tipo che davanti al marito fa lo spogliarello piuttosto che.». Come definire questi modismi che si diffondono sempre più largamente (per ora, se abbiamo ben visto, solo negli ambienti cólti del Settentrione)? Sospensioni? Reticenze? Aposiopesi? E a che si deve quest’improvviso bisogno di stringatezza nei parlanti più antonomasticamente prolissi dell’Occidente? Il tema merita studio.
«Il rigore ci può stare, e ci sta pure l’espulsione, ma non ci stava che desse un pugno all’arbitro». Ci sta che grammatici e lessicografi registrino anche questo.
Bipartisan? Nulla in contrario, per carità, non vogliamo passare per puristi flatulenti (ancorché la lingua italiana disponga d’equivalenti a iosa, e assai più efficaci), ma gradiremmo assai che la prima sillaba si pronunciasse bai, come si deve.
Fu, salvo errore, Giampiero Galeazzi, verso la fine degli anni Settanta, il primo cronista del tennis a usare il verbo perdere con la stessa reggenza del passivo di battere ‘sconfiggere’, ‘vincere’. E da allora non c’è tennista cronista allenatore tifoso raccattapalle giudice di sedia o di linea che non dica o scriva «Il tennista Federer ha perso da Ferrero».
Ed ecco maanchismo (ma + anche + suffisso) ‘buonismo, eccessiva disponibilità e tolleranza, veltronismo’. Attendiamo fiduciosi il momento di nonsolismo, ecompagniabellismo, ecceteraecceterismo, delrestismo…