Pensatore, giornalista e scrittore pugliese. Uomo di cultura e immane sensibilità Pino Aprile è stato vicedirettore di ”Oggi” e direttore di “Gente”, ha lavorato in televisione con Sergio Zavoli nell’inchiesta a puntate “Viaggio nel Sud“. Autore di numerosi libri, alcuni di questi tradotti in diverse lingue, nel 2010 scrive “Terroni” saggio giornalistico sulla questione meridionale e sulle condizioni che hanno portato alla penalizzazione economica e sociale del Sud Italia. Nel 2013 scrive “Il Sud Puzza”, saggio dal titolo pungente ed amaro, già destinato a diventare un caso letterario.
-Da 150 anni il meridione si porta addosso un fardello insopportabile fatto di pregiudizi e retaggi culturali densi di menzogne e imprecisioni storiche. Secondo te perché il popolo meridionale ha accettato (di buon grado) un simile stato di cose?
Non lo ha accettato di buon grado, lo ha subito. E, con un meccanismo ben studiato dalla psicologia e dalla psicologia sociale, i meridionali hanno fatto propri i pregiudizi a proprio danno; si sono convinti di valere meno, aver diritto a meno. Accade ai vinti. E i meridionali sono gli sconfitti di una guerra condotta un secolo e mezzo fa contro di loro, il cui scopo dichiarato era l’Unità d’Italia. Invece, in un Paese formalmente uno, alcuni cittadini hanno diritto, con i soldi di tutti, a treni veloci, autostrade, aeroporti, cure migliori, scuole e università meglio attrezzate; e altri no. L’Italia non è mai stata unita, e i vincitori hanno conservato e aumentato i propri privilegi a danno dei vinti.
-Ad oggi sei tra le voci più eminenti del Sud. Ambasciatore di un’identità culturale e sociale per troppi anni avvertita come un disonore. Eppure qualcosa sta cambiando, numerosi sono i movimenti sorti negli ultimi anni pronti a rivalutare le proprie terre d’origine con fierezza e determinazione. Un’inversione di rotta importante dovuta ad un consapevole risveglio delle coscienze o ad un fenomeno passeggero e di tendenza?
Il pericolo maggiore, per il vincitore, è la memoria del vinto. Che va cancellata. E agli italiani è stata consegnata una storia “utile” a loro, più che vera. Basti ricordare il messaggio con cui il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha chiesto scusa a nome dell’Italia, dopo 150 anni, a Pontelandolfo, uno dei paesi del Beneventano che vennero messi a ferro e fuoco per rappresaglia dai bersaglieri. Ancora oggi non si sa quante furono le vittime (stuprate, depredate, seviziate, fucilate in massa o bruciate vive): almeno 400-1000, forse più. Un massacro “relegato ai margini dei libri di storia”, ha scritto il presidente. E chi li ha scritti quei libri? I meridionali, anche a causa degli insulti della Lega tollerati e assecondati da partiti ufficialmente non razzisti (con la Lega hanno trattato sia destra che sinistra), hanno riacquistato consapevolezza del proprio diritto al rispetto. E questo non è un fiume che si ferma.
-Basta guardare un po’ più attentamente per rendersi conto che negli ultimi anni le realtà economiche del Sud stanno aumentando. Spesso si parla di piccole realtà, frequentemente di natura agricola e turistica. Un fermento impercettibile che però, lascia presagire una possibile rivoluzione. Secondo te si può sperare in una ripresa economica sana ed autonoma del meridione?
Al Sud accade qualcosa di interessante, figlio della crisi che tocca tutto il Paese e non solo il nostro Paese. Sempre meno andare al Nord è la soluzione, come prima, perché mille euro a Milano, dovendo pagare casa e il resto, valgono molto meno di 600 euro al paese, dove hai già casa, i genitori e altri parenti che possono darti una mano; gente che già ti conosce e con cui non devi costruire relazioni, ma metterle a frutto; una qualità di vita che te la rende meno ansiosa. Migliaia di giovani di valore rinunciano a ottime offerte altrove e restano a casa loro, a tentare qualcosa di nuovo; altri lasciano posizioni di lavoro e sociali invidiabili e ritornano al paese, per dar vita a iniziative nuove, sulla scorta di esperienze fatte altrove. È presto per dire se questa è già la soluzione; lo è per molti, singolarmente; però, è qualcosa che non c’era e adesso c’è.
-Da qualche anno gira per il web una toccante lettera ad opera di Giuseppe Quartucci che vuole raccontare una diversa versione dei fatti accaduti a seguito dell’Unità dell’Italia. Alla luce di quanto successo, tu oggi, senti di essere Un Italiano?
Ma noi siamo italiani. È una cosa bella essere italiani, a patto di ricordare cosa significa: la nostra è una identità plurale e dinamica, nel senso che uno, per esempio, prima è napoletano, poi campano, poi meridionale, poi italiano e, naturalmente, europeo. Così come un palermitano è prima tale (guai confonderlo con un catanese, e viceversa), poi siciliano, poi ancora siciliano, poi meridionale, poi italiano, eccetera. E tutti siamo un po’ arabi, slavi e normanni, spagnoli e francesi, greci e romani, etruschi e longobardi (più a Sud che in Lombardia, visto che i longobardi ebbero uno stato più grande e più duraturo fra Campania, Puglia, Lucania e dintorni)…
Da tutti abbiamo preso qualcosa che ci ha arricchito e fatti diversi in molte cose e uguali in tante altre. È un’identità che continua a crescere, ancora oggi, proprio per il continuo apporto di cose nuove, altrui, che diventano nostre, “italiane”. Il caffè viene dall’Africa ed è diffuso in tutto il mondo, ma per tutti, il vero caffè è “italiano”, anzi “napoletano”. Identità non è un modo di essere, ma di fare le cose. Ed è giusto questo che il mondo ci invidia e ammira: mangiare italiano, vestirsi italiano, cantare italiano, l’arte italiana, la italian way of life, quel carattere fantastico, per cui riusciamo a cambiare continuamente, restando noi stessi. E, per quanto possa sembrar paradossale, proprio l’essere così plurali, ci rende inconfondibili.
-L’ultimo libro che hai scritto si intitola “Il Sud Puzza. Storia di vergogna e di orgoglio”. In numerose interviste ti è stato chiesto di cosa puzzasse questo Sud, ma io sono una romantica e voglio chiederti, invece, di cosa profumano le nostre terre?
Chiudi gli occhi, in città, e poi sul mare, e poi in campagna… Fallo in tutto il mondo, poi fallo nel Sud d’Italia. Quel profumo, anche di accenti, è la differenza. È la ragione per cui non c’è posto della Terra in cui tanti popoli hanno voluto venire e fermarsi, con le buone o con le brutte: da tutto il Nord, l’Ovest, il Sud e l’Est dell’Europa e anche da più lontano. E hanno voluto fondersi, con le loro tradizioni, le loro lingue, i loro cibi, in un unico popolo dai molti volti, i molti colori, i molti sapori: i meridionali. Perché i popoli si fanno a tavola e a letto. E noi abbiamo mangiato e fatto l’amore con tutti.
-Secondo Pino Aprile, cosa vuol dire -oggi- essere Un Terrone?
Un italiano del Sud che sa cosa gli avevano nascosto; cosa gli fanno per renderlo “minore”. E che non lo accetta più.
-Un’ultima domanda. Nord e Sud: Concetto, categoria dello spirito o posizione geografica?
Geografia, latitudine; cioè: niente. La latitudine non garantisce nulla di buono né di male, soltanto un po’ di abbronzatura in più o in meno. Gli uomini si qualificano con le loro azioni. Gli stupidi e i disonesti cercano di farlo con qualcosa di cui non hanno merito, essendone incapaci. Ai più imbecilli può bastare la latitudine, o il colore della pelle. Prendete Borghezio, Salvini e complici in razzismo: vorreste somigliare a loro o essere degli sporchi negri come Nelson Mandela, Martin Luther King, Ray Charles… Così, la conquistata consapevolezza del diritto all’equità negata in un secolo e mezzo, porta molti meridionali a dirsi orgogliosi di esserlo. Ma non ha senso: l’orgoglio è qualcosa che si conquista personalmente, ognuno per quel che fa e per come lo fa. Essere meridionali, se ti piace il sole, il mare, una cucina più ricca, è solo un colpo di fortuna.