Vola monnezza. Vera o presunta, di monnezza si parla
Creato il 29 luglio 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Il post che abbiamo scritto ieri è nato male ed è finito peggio. Accade, anche ai migliori tenori del melodramma, di prendere una stecca. È successo a Pavarotti, a Domingo, a Carreras, accadde a Mario Del Monaco e Tito Schipa, a Enrico Caruso e a quel tenorino leggero leggero che si chiama Andrea Bocelli, figuratevi a noi che a malapena abbozziamo davanti al falò La canzone del sole. Chiediamo scusa a Massimo D’Alema. Alberto Tedesco non è una emanazione della sua corrente pugliese ma, da quello che abbiamo appreso, la proposta di diventare assessore alla sanità gli venne fatta direttamente da Nichi Vendola e sottoscritta da Dario Franceschini. Sul fatto che Tedesco sia un “mariuolo” non cambia nulla, su chi lo abbia voluto in quel posto si, e molto. Sarà anche vero che i dalemiani pugliesi usufruivano largamente dei servizi di Gianpi Tarantini, ma questo non c’entra nulla con l’ex Pd inseguito da un mandato d’arresto, tutt’al più potremmo parlare di un problema di “pilu” non sicuramente di “danè”. La seconda stecca è l’aver descritto la “carriera” di Francesco Nitto Palma e parlato della nomina a ministro dell’avvocato Anna Maria Bernini usando suppergiù gli stessi argomenti di Marco Travaglio sul Fatto. Siamo andati a leggerci l’editoriale del giornalista più famoso d’Italia e ci siamo resi conto che effettivamente il punto di vista era lo stesso, anche se sul caso specifico della Bernini noi abbiamo parlato di “politico incensurato” mentre Travaglio l’ha inserita fra coloro che non avevano ideato nessuna legge ad personam per il capo. A un certo punto è sembrato anche che avessi tratto da Travaglio la boutade sulla “class-action” degli elettori del Pd contro Bersani, ma abbiamo verificato che Travaglio "l’argomento Bersani”, almeno ieri, non lo ha neppure sfiorato. Resta la sgradevolissima sensazione di essere stati accusati di aver copiato e questa è una cazzata. Ma figuriamoci se andiamo a plagiare il giornalista più letto d’Europa, tutt’al più potremmo attingere a piene mani alle note variopinte di Alessandro Sallusti che lo seguono solo la mamma, la sua Danielona e Emilio Fede. Ma parliamo di cose serie. Alfonso Papa, quello che tutti hanno definito un “macho della madonna”, un “mastino” nonché il “daziere” di Gigi Bisignani, ha iniziato a parlare e dio solo sa quanto cazzo parla. Da Poggioreale, pur di trascorrere qualche giorno al mare con i figli, Papa ha descritto la vicenda che lo riguarda, come frutto di un complotto ordito ai suoi danni dallo stesso Bisignani il quale, vistosi scoperto, ha pensato di scaricare parte delle sue responsabilità sull’ex magistrato confluito nelle file del Pdl. “Mi ha voluto Berlusconi, mica cazzi”, ha dichiarato Alphonse ai pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio i quali, per tutta risposta, gli hanno negato gli arresti domiciliari. Ma in piena sindrome da disperazione, Papa ha tirato dentro la sua storiaccia anche esponenti del Pd. E, per la serie piove sempre sul bagnato, ha parlato di Vincenzo Morichini, amico di D’Alema e Bisignani e Alfonso Gallo, un affarista molto vicino al fantastico mondo dei Democrat. Inevitabile il ricorso a una famosa battuta di Massimo Troisi “Se mi dici che forse mi torturi, io parlo”. Nel frattempo, mentre scoppia un casino infernale fra le procure di Roma e di Napoli sull’inchiesta della cosiddetta P4, dai verbali d'interrogatorio di un altro imprenditore, Tommaso Di Lernia, viene fuori che dentro lo scandalo per gli appalti degli aeroporti c’è anche Altero Matteoli, ministro dei trasporti, ex sodale di Gianfranco Fini, attualmente in pianta stabile al Pdl. A questo punto se si scoprisse che il barbiere di Montecitorio è accusato di appropriazione indebita dei capelli di Umberto Bossi, per uso mercantile di “reliquiae septentrionalis”, non ci sconvolgeremmo più di tanto. Un fatto che avevamo invece fatto notare per primi (inizia ora il pericolosissimo gioco delle rivendicazioni temporali delle intuizioni), è legato al presunto affitto che Tremonti pagava regolarmente a Marco Milanese per l’appartamento romano. Milanese afferma che Giulio gli allungava mensilmente 4mila euro in contanti, forse il ministro aveva finito il carnet di assegni, forse gira con un pacco di moneta contante in tasca e gli riesce più facile prendere qualche banconota invece di fare un bonifico on-line, forse non sa fare né l’uno né l’altro o forse più semplicemente, visto che di quei soldi non esiste uno straccio di ricevuta, il ministro non pagava nessun canone di locazione. Piuttosto che venire a sapere che il ministro dell’Economia che si batte strenuamente da anni contro l’evasione fiscale, in qualche modo la sostiene, sarebbe meglio appurare che non pagava nessun affitto. Insomma vola monnezza, vera e puzzolente come quella di Napoli, metaforica ma altrettanto nauseabonda come quella della politica. Ma sempre di monnezza si tratta.PS. Grazie a Giuseppe Piscopo per l’illustrazione in esclusiva.
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